Lo stop al reddito di Cittadinanza è il segno che lo Stato deve si aiutare ma soprattutto creare lavoro

Raramente le promesse vengono rispettate nella politica di oggi. Vincoli economici, elefantiasi burocratica, velocità dei media costringono spesso a marce indietro e deviazioni di rotta. Lo stesso governo Meloni è dovuto scendere spesso a compromessi sul proprio programma e scegliere un approccio graduale per attuare le proprie politiche. È dunque un caso raro e meritevole quello del provvedimento che modifica il reddito di cittadinanza riconducendo la misura a maggiore morigeratezza e razionalità.

Il reddito di cittadinanza inventato dal Movimento 5 Stelle non ha mai funzionato nella parte dell’inserimento lavorativo, si è prestato ad abusi e lavoro in nero, si è trasformato in un mero sussidio che non incentiva alla formazione e al lavoro. Andava modificato e così è stato fatto.

Dal prossimo mese 170mila persone perderanno il sussidio e saranno spinte verso un mercato del lavoro che secondo tutte i parametri è in risalita. Chi ha disabili e anziani in casa preserverà l’erogazione del sussidio così da evitare disagi sociali. C’è chi protesta ma è fisiologico, d’altronde chi non protesterebbe dopo aver ricevuto un sussidio per anni?

L’esecutivo aveva promesso la modifica e ha fatto bene a tirare diritto. L’Italia dei produttori che vota in prevalenza a destra questo si aspettava: non la cultura del sussidio e del piagnisteo, ma quella del lavoro e dell’intraprendenza. L’opposizione si accalora in difesa del reddito ma l’unico che può guadagnare qualcosa sul piano elettorale è Conte, l’estensore del sussidio quando era a Palazzo Chigi, che può consolidare il voto dei delusi mentre per il Pd di Schlein, votato in prevalenza da dipendenti pubblici e redditi alti, c’è poca possibilità di lucrare consenso.

Naturalmente la cancellazione parziale del reddito non deve spingere il governo a cullarsi troppo sugli allori: in Italia ci sono milioni di persone in difficoltà, preda del lavoro nero, con poche possibilità di migliorare la propria condizione. Tolto il sussidio serviranno allora altre riforme, l’abbassamento del cuneo fiscale ad esempio e sgravi per chi viene assunto uscendo dal programma del reddito di cittadinanza. Si può anche aprire una discussione sul salario minimo per quelle categorie dove la contrattazione sindacale è inesistente o poco diffusa e rafforzare le zone economiche speciale per far crescere investimenti esteri e apertura di nuove attività.

Lo Stato non deve garantire il sussidio a pioggia, ma stabilire le condizioni affinché il lavoro si crei. Insomma bene la rimodulazione del reddito per renderlo meno gravoso per le casse statali e più incentivante per chi non ha lavoro ma può trovarlo e farlo, ma non va dimenticato che chi vuole lavorare ha bisogno di politiche che l’aiutino a farlo.

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