Springsteen e non solo: perché I big della musica vendono il loro catalogo

Nessun cantautore americano, dopo Bob Dylan, ha raccontato le strade infinite, le angosce esistenziali e le contraddizioni dell’America degli ultimi cinquant’anni come Bruce Springsteen. A lui dobbiamo il merito di aver mantenuto in vita la fiamma del rock, non come mera musica di intrattenimento, ma come strumento universale per prendere posizione e per risvegliare le coscienze assopita di una società ripiegata su sé stessa, indifferente e iperconnessa, brandendo la sua chitarra scrostata come un'arma benevola. Le sue canzoni sono ricche di vita vissuta, storie di emarginati, corse notturne attraverso le infinite e polverose highways americane, voglia di riscatto, dolorose cadute e inaspettate risalite. Un tesoro di circa 300 canzoni e 20 album che valgono milioni di dollari, per l'esattezza 500 milioni di dollari, una notizia clamorosa che è stata riferita da fonti anonime a Billboard e al New York Times. Oltre ai suoi classici, che non hanno certo bisogno di presentazioni, Springsteen ha composto brani di successo anche per altri artisti come Because the Night di Patti Smith, Blinded By the Light di Earth Band di Manfred Mann e Fire delle Pointer Sisters.

Secondo le due testate americane, la Sony Music Publishing avrebbe acquisito i diritti di publishing delle canzoni del Boss e Sony Music i master dei suoi album per una cifra complessiva di mezzo miliardo di dollari. Un accordo da record, superiore ai 400 milioni per Bob Dylan e ai 150 milioni per il 50% del catalogo di Neil Young, che permetterà al 72enne del New Jersey di trascorrere una terza età serena, senza la necessità di esibirsi per quattro ore a sera o di accontentarsi dei guadagni sempre più bassi degli album fisici e di quelli (non del tutto soddisfacenti) dello streaming.

Sono sempre di più gli artisti che, negli ultimi mesi, hanno venduto l' intero catalogo alle loro etichette storiche (come Springsteen, che è sotto contratto con la Columbia dal 1973) o a grandi fondi di investimento come Hipgnosis Songs Fund e Primary Wave, che negli ultimi due anni hanno comprato i diritti di artisti del calibro di Fleetwood Mac, Neil Young, Shakira, John Lennon e Dire Straits. Negli ultimi mesi anche gli eredi di Bob Marley, David Crosby, Mötley Crüe, Red Hot Chili Peppers, Timbaland, Mark Ronson, David Guetta, Calvin Harris, Barry Manilow, Killers, Skrillex e 50 Cent (solo per citarne alcuni) hanno venduto i loro diritti discografici in cambio di lauti assegni.

Canzoni che frutteranno ogni anno milioni di euro a chi le ha acquistate, grazie soprattutto all'utilizzo dei brani nelle pubblicità, nei film e all'interno delle serie televisive dei colossi dello streaming video, un mercato che, complice il calo degli ascolti delle tv generaliste, è in costante crescita. Operazioni milionarie, che offrono una lezione alla discografia del 2021: non sono i like sui social o i numeri artatamente gonfiati dello streaming (grazie allo strumento delle playlist) a certificare il successo di un artista, ma le grandi canzoni, in grado di rimanere nel tempo. Piccoli miracoli di melodia, armonia, ritmo e parole da tre-quattro minuti, che restano scolpiti nell'immaginario collettivo e che non risentono della polvere del tempo. Nel panorama musicale attuale, dominato da lugubri cantilene trap, ripetitivi pezzi reggaeton ed effimere canzoni pop realizzate con pochi suoni sintetici, sono davvero pochi i brani in grado di generare royalties anche tra vent'anni, rendendo di fatto invendibili o poco remunerativi tanti cataloghi degli artisti oggi in voga. Forse la major dovrebbero concentrarsi di meno su marketing, ospitate televisive e strategie social per investire maggiori risorse economiche sull'unico asset in grado di generare profitti costanti nel tempo: le canzoni.

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