euro che brucia
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I progetti strampalati del Pnrr

Una consistente tranche dei fondi che il programma di aiuti prevede di investire nei comuni italiani (tra metropoli e paesini di campagna) è già a rischio. I motivi? Mancano idee, risorse, competenze. In compenso, sono già partiti progetti stravaganti e del tutto inutili, come la realizzazione di ippodromi, campi di padel e piantine di pioppi bianchi al posto di quelli neri...

Vinceremo la sfida del ripopolamento!». Prima di scoprire la talentuosa Elly Schlein, Dario Franceschini era anche un funambolico ministro della Cultura. Tante le prodezze, ma una resta memorabile. Il padrino della segretaria dem è stato il padre del «Piano nazionale borghi». Inarrivabile l’intento: recuperare i più remoti paesini della penisola. Armato di un miliardo di euro del Pnrr, il ministro annunciava la rinascita di amene frazioncine. Come Livemmo, nella Valle Sabbia: 196 anime e 20 milioncini assegnati, oltre 100 mila euro ad abitante. S’attendono dunque a breve centinaia di baldi giovanotti e migliaia di turisti. Intanto, il comune di Pertica Alta non riesce ad assoldare nemmeno tre volenterosi per occuparsi delle conseguenti carte e scartoffie: un ingegnere, un geometra, un impiegato. L’unico dipendente assegnato alla frazione è il cinquantasettenne Marino, che guida perfino lo scuolabus. L’intento franceschiniano, però, è chiaro: bisogna trasformare l’amena località in un «borgo Cre-attivo». Arte e cultura, residenze d’artista, festival internazionali, start up, albergo diffuso, piste ciclopedonali. Servono programmi, concessioni, appalti. E ora come si fa?

Mettetevi il cuore in pace. Le Livemmo d’Italia sono migliaia. Sperduti paesini di campagna, ma pure tentacolari metropoli. Sono oltre tremila, quantifica l’ultima relazione della Corte dei Conti sull’avanzamento del Pnrr, che prevede 60 miliardi da investire nei comuni: e 16 sono già a rischio. Mancano persone e capacità. Dopo essersi scapiccollati per avere più danari possibili, da Portopalo a Predoi si scopre che spendere e spandere può diventare improbo. Soprattutto con l’Europa a far da cerbero. Benevolente ai tempi della stesura del piano da 191 miliardi, quando a Palazzo Chigi regnava l’adorato Mario Draghi. Inflessibile con l’irregolare Giorgia Meloni.

Cercasi volenterosi a Livemmo. Ma pure nell’altrettanto remota «A’ Cunziria», nel Catanese. Lo scrittore Giovanni Verga aveva ambientato da queste parti il mitologico duello tra compare Alfio e compare Turiddu nella Cavalleria rusticana. È un’ex conceria, completamente disabitata, con 40 decrepite casette. Lo chiamano il «borgo fantasma». Ma persino questo luogo scordato da tutti pullulerà di menti eccelse: centro congressi, scuola di teatro, arena diffusa, tanti musei. Anche stavolta, sono stati destinati 20 milioni allo scopo. Ma ora il fortunatissimo comune di Vizzini, vincitore della lotteria franceschiniana, trema. Sono passati 14 mesi dal giorno del trionfo. E non s’è mossa una pietra.

Centinaia di progetti sono a rischio. La terza tranche di fondi da 19 miliardi è stata bloccata. Illuminante esempio di sperpero: i 300 milioni di euro per sei milioni di alberi. Che l’Italia rischia di perdere. Soldi destinati alla «forestazione urbana, periurbana ed extraurbana». Ovvero la realizzazione di boschi nelle 14 città metropolitane, per 6.600 ettari. Sembra facile, no? Individuare aree adatte e piantare alberi. Niente progetti, autorizzazioni, liti all’italiana. E in città dotatissime di personale, soprattutto nel Sud. Fa niente. Siamo alle solite. Avvilenti ritardi e lunari mancanze.

Tocca alla Corte dei conti ragguagliare. Solo nel 2022, sono stati stanziati 84 milioni di euro. Quasi 16 sono finiti a Messina. Bisognava «mettere a dimora» 444.612 piantine entro la fine del 2022. I carabinieri inviati dalla magistratura contabile hanno però abbassato le braccia: nemmeno un alberello. A Catania dovevano piantarne 118 mila. E invece «non è stata messa a dimora alcuna essenza forestale». A Palermo se ne prevedevano quasi il doppio, 217 mila, ma i lavori sono stati «sospesi». Prima ancora di cominciare, però.

A Napoli siamo alla «progettazione». A Reggio Calabria, invece, si sono dati da fare. I carabinieri hanno accertato con sollievo la sostituzione delle piante di populus nigra con quelle di populus alba. Peccato solo che l’area versi già «in stato di abbandono, con gli alberi soffocati da piante infestanti». Nella Bari guidata da Antonio Decaro, presidente dell’Anci, sindaco dei sindaci, «sono state impegnate le sole risorse destinate all’attività di progettazione, pari a euro 97.316». E nella Roma di Roberto Gualtieri, già ministro dell’Economia nel governo giallorosso, colui che teorizzava «pochi ma grandi progetti»? L’uomo non è solo uno storico di buone letture, ma pure un amministratore d’ingegno. «Mieterai a seconda di ciò che avrai seminato» insegnava Marco Tullio Cicerone. Così Gualtieri, piuttosto che piantumare, per rispettare i tempi decide di «seminare in vivaio». La benemerita svela però l’arcano: «Non può essere assimilata alla forestazione urbana e, pertanto, neanche essere oggetto di collaudo ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Pnrr». Peggio: «Trattasi di attività extra progettuale che esula dagli interventi finanziabili».

E a Milano, la città più inquinata d’Italia? Giuseppe Sala non è riuscito nemmeno a scovare 30 ettari da destinare alla nobile causa. La metropoli ha perso 12 milioni di euro da destinare ad alberi, piuttosto che alla solita fuffa ambientalista. Quella che ha convinto il sindaco meneghino, per esempio, a istituire la Ztl più grande e inutile d’Europa, riuscendo nella favolosa impresa di far aumentare sia smog che traffico. Sala però preferisce sorvolare, puntando il ditino arcobaleno contro i maldestri colleghi e l’avverso governo: «C’è il rischio concreto di perdere fondi del Pnrr».

Già, concretissimo. Come sta sperimentando, a Firenze, un altro sindaco piddino nei fatti e ultragreen a parole: Dario Nardella. Pure la sua città è stata esclusa dai finanziamenti per lo stesso motivo: «Non è stata in grado di reperire la superficie minima da rimboschire pari a 30 ettari» scrive la Corte dei conti. Niente alberi. E nemmeno cemento, a dire il vero. La Commissione europea ha bocciato la ristrutturazione dell’«Artemio Franchi», l’unico stadio che era entrato nel Pnrr. Con l’economista arcieuropeista Lorenzo Bini Smaghi, già nel comitato esecutivo della Bce, a commentare velenosetto: «Mi domando quale possa essere la reazione dei contribuenti nordeuropei all’idea che le loro tasse vengano usate in questo modo».

Perfino il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in passato si lasciò andare al sarcasmo sui vasti proponimenti degli amministratori italici: «Vorrei sapere se quei soldi saranno usati per la Next generation oppure per la Present generation». Già: con tutto il rispetto per l’estro tricolore, come influiranno stadi e palazzetti sulle sorti dei giovani virgulti? E i campi da padel finanziati in ogni angolo della penisola? Cosa c’entrano con la sventolata «rigenerazione urbana» a uso delle future leve? Quali sarebbero le ricadute sociali, ambientali, occupazionali? Pochine, comincia a insinuare Bruxelles.

Eppure, il piano di aiuti e investimenti si chiama proprio Italia Domani. E dovrebbe avere un preciso intento: «Lasciare una preziosa eredità alle generazioni future». Anche l’evocativo «Bosco dello sport» di Venezia è stato fermato. Una spesa di quasi 304 milioni di euro, di cui circa 94 del Pnrr. Prevede uno stadio da 16 mila posti e un palasport da 10 mila. Un maxiprogetto di cui si vagheggia da almeno vent’anni. Andrebbe completato, tra l’altro, nel 2026. Sì, ciao. Perché, nel frattempo, è cominciata la battaglia amministrativa con il ricorso al Tar del Veneto.

Nessun rischio invece per l’ippodromo che sarà costruito a Marsala, in Contrada Scacciaiazzo, grazie ai due milioni e mezzo generosamente concessi. Un ippodromo, capito? Con l’ippica in perdurante e irreversibile crisi. Da costruire nella sperduta campagna trapanese. Ma il sindaco, Massimo Grillo, rivendica: «Tra le strutture sportive, era l’unico finanziamento che potevamo ottenere». Ma non era meglio investire in altre strutture, magari per l’infanzia? Eh no, informa il sindaco. Quello sì, che sarebbe stato uno spreco: «Avremmo rischiato di avere più asili che bambini!». n

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