Combattimenti a Douma, Siria
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Siria, una colonia russa nel Mediterraneo?

Lo scorso 14 marzo il presidente Vladimir Putin ha annunciato a sorpresa il ritiro delle forze militari russe dalla Siria. Sulle ragioni di questa scelta sono state avanzate diverse ipotesi, anche molto discordanti. Ma qual è la situazione sul campo oggi? Le truppe di Mosca hanno davvero lasciato la Siria?

Fonti locali dell’opposizione siriana hanno dichiarato, in base a testimonianze raccolte sul posto, che l’esercito moscovita si sarebbe parzialmente ritirato solo dopo aver realizzato i suoi obiettivi e tutelato i suoi interessi in Siria. Uno degli scopi principali sarebbe stato quello di dare un sostegno ad Al Assad per annientare i suoi oppositori, in particolare le milizie dell’Esercito Siriano Libero (Esl), e riconsegnare al governo di Damasco città e villaggi controllati dalle forze ribelli, in particolare a Hama e Homs.

La strategia di Putin
La strategia di Putin, quindi, sarebbe quella di ritirarsi da vincitore e il tempismo del suo annuncio sarebbe stato funzionale alla partecipazione di Al Assad all’ennesima tornata di consultazioni a Ginevra. Consultazioni da cui le opposizioni si sono ritirate.

Forte delle nuove conquiste sul campo, realizzate grazie agli alleati, il presidente siriano ha persino indetto elezioni parlamentari. La farsa del voto, come la definiscono le opposizioni, si è svolta il 13 aprile in un Paese devastato da ormai oltre cinque anni di guerra, con oltre metà dell'elettorato impossibilitato a votare. L’esito scontato, con la vittoria di candidati del partito governativo Baath, è stato ampiamente divulgato dai media governativi, in una Siria dove ormai la realtà supera la finzione.

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Immagini delle elezioni in Siria del 13 aprile 2016
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10 aprile 2016. Combattenti dello Jaish al-Islam (Esercito islamico), il gruppo ribelle più importante nella provincia di Damasco, fieramente opposto sia al regime siriano e sia al gruppo "Stato islamico", difendono una posizione nella città in mani ai ribelli di Douma, ai margini orientali della capitale.
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Civili a Palmira, Siria, 9 aprile 2016
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Immagini delle elezioni in Siria del 13 aprile 2016
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18 marzo 2016. Un gruppo di siriani commemora lo scoppio della guerra in Siria, 5 anni dopo il suo inizio, urlando slogan contro il presidente Assad, durante una protesta a Saqba, nella provincia orientale di Al-Ghouta, fuori Damasco, Siria.
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22 marzo 2016. Dei bambini giocano lungo una strada del quartiere di Teshreen a Damasco, Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
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22 marzo 2016. Due bambini giocano lungo una strada del quartiere di Teshreen a Damasco, Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
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22 marzo 2016. Un ciabattino all'interno del suo negozio lungo una strada del quartiere di Teshreen a Damasco, Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
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22 marzo 2016. Dei bambini giocano lungo una strada del quartiere di Teshreen a Damasco, Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
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31 marzo 2016. Il pasticcere Abo Al-Noor stende la pasta all'interno del suo forno a Douma, fuori Damasco, in Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
22 marzo 2016. Dei bambini giocano lungo una strada del quartiere di Teshreen a Damasco, Siria, controllato dalle forze dei ribelli ostili al presidente Assad.
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10 marzo 2016. Un bambino di nome Syrian Othman al-Najjar, 12 anni, lavora in un'autofficina, collocata al piano inferiore dell'abitazione di famiglia a Damasco.
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11 marzo 2016. Un uomo coperto dalla polvere durante il tentativo di un gruppo di soccorritori di estrarre un uomo rimasto sotto le macerie dopo un attacco aereo dell'esercito sul quartiere di Salhin, ad Aleppo, Siria.
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14 marzo 2016. Un combattente dell'Esercito islamico (Jaish al-Islam) corre verso la linea del fronte nel quartiere di Jobar, alla periferia orientale di Damasco.
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29 marzo 2016. Un soldato siriano all'interno della città storica di Palmira, nella provincia di Homs, in Siria, dopo che l'esercito siriano ne ha ripreso il controllo, sottraendola ai miliziani dell'ISIS. Dopo essere caduta nelle cui mani il 20 maggio 2015, gli islamisti hanno distrutto almeno il 20% del sito archeologico, Patrimonio dell'Umanità Unesco.
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28 marzo 2016. Un gruppo di bambine si dirige verso la scuola in un giorno di pioggia, lungo una strada di Dar'a, nell'area sud-occidentale della Siria.
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13 marzo 2016. Un uomo in bicicletta lungo una strada di al-Qaboun, un sobborgo in mano ai ribelli a nord-est della capitale Damasco.
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7 marzo 2016. Tre uomini trasportano aiuti, sotto forma di gasolio, consegnati dalla Mezzaluna Rossa del Qatar nella città in mano ai ribelli di Beit Sawa, alla periferia della capitale Damasco.
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31 marzo 2016. I resti dell'Arco di Trionfo.
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31 marzo 2016. I resti del Tempio di Bel.
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31 marzo 2016. Il Tempio di Bel.
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31 marzo 2016. I resti del Tempio di Bel.
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31 marzo 2016. I resti dell'Arco di Trionfo.
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31 marzo 2016. I resti del Tempio dedicato alla divinità canaanita Baalshamin, distrutto dai miliziani dell'ISIS nel settembre 2015, visti attraverso due colonne corinzie.

Precedenti storici
Il caso del ritiro – non ritiro delle milizie russe da un Paese oggetto dell’interesse di Mosca, sottolineano alcuni analisti, ricorda altri precedenti. Come esempio più attuale viene citato il caso dell’Ucraina e il sostegno di Mosca, sebbene non ufficiale, all’esercito dello Stato Federale della Nuova Russia. Anche il caso della Georgia rappresenta un altro esempio importante.

L’esercito russo si è ritirato formalmente dal Paese nel 2008 per tornarci pochi mesi dopo, con l’inizio della guerra nel sud dell’Ossezia. Così è stato anche in Cecenia, dalla quale la Russia si è ritirata nel 1992 per tornarvi due anni dopo e restare fino al 1996, pur mantenendo una sua base militare a Groznyj. In Cecenia i russi sono nuovamente tornati nel 1999 e mantengono a tutt’oggi e loro basi.

Questa politica costituirebbe un tentativo, da parte di Mosca, di riaffermare la sua presenza e il suo peso a livello internazionale dopo il crollo dell’impero sovietico. Anche la Siria, quindi, rappresenterebbe un ulteriore tappa di questo progetto di ampliamento.

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Damasco-Mosca, interessi congiunti
Le relazioni tra Russia e Siria sono consolidate ormai da decenni. L’Unione Sovietica è stata il primo Paese a riconoscere l’indipendenza di Damasco dal colonialismo francese, nel 1946. Già nel novembre 1955 Mosca aveva una sua ambasciata in Siria e, oltre a consolidare gli scambi culturali, in particolare con le locali comunità ortodosse, forniva al Paese mediorientale un sostegno concreto di natura economica e logistica. L’anno successivo venne firmato un importante accordo, che prevedeva che la Russia diventasse fornitore ufficiale di armi alla Siria. Nel 1963, quando ci fu il colpo di Stato che destituì il presidente Amin Hafez, portando al potere il generale Hafiz Al Assad e il partito Baath, le relazioni con la Russia conobbero un ulteriore sviluppo. Anche dopo la fine dell’Impero sovietico, le relazioni bilaterali restarono molto forti.

I siriani non si sono mai definiti, né considerati comunisti, e agli slogan antimperialisti sdoganati dalla propaganda governativa non corrispondeva, specie tra i membri della borghesia sunnita e cristiana delle maggiori città, una reale simpatia politica per le ideologie marxiste. Con l’era di Putin le basi militari russe al porto di Tartous sono state ampliate ed è aumentato in modo considerevole il rifornimento di armi di ogni tipo da Mosca a Damasco, compresi razzi e missili di lunga gettata. Il governo di Putin ha messo a disposizione dell’alleato Bashar Al Assad anche esperti militari.

L’alleanza con la dinastia di Al Assad, padre e figlio, è da sempre una garanzia per gli interessi e la presenza russa nella zona. La Siria, infatti, è l’unica base russa nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, una spina nel fianco per gli americani, che sul resto dell’area godono di posizioni privilegiate con le loro basi. Per Damasco l’amicizia con Mosca è stata funzionale negli ultimi decenni, per mantenere al potere gli alawiti, una minoranza militarizzata e non eletta che ha accentrato su di sé tutti i poteri.

Le trivelle russe in acque siriane
A consolidare definitivamente i rapporti bilaterali, secondo lo studioso Mark N. Katz, della George Mason University, sarebbe stata la visita di Bashar Al Assad a Mosca nel 2005.

Alla Russia non interessa affatto, afferma lo studioso, che la Siria migliori le sue relazioni con i Paesi dell’Occidente per evitare di perdere la sua posizione di privilegio negli scambi economici. Proprio nel 2005 i due Paesi hanno raggiunto un accordo per ridurre del 73% il debito siriano con Mosca che ammontava a 12,4 miliardi di dollari e sono stati investiti 1,5 miliardi in progetti congiunti.

Nonostante l’inizio della crisi in Siria nel 2011, i due Paesi hanno firmato nel 2013 un accordo ventennale che prevede la concessione all’azienda russa Suyuzneftegas di effettuare trivellazioni in acque siriane, per l’estrazione di petrolio e gas. La notizia è stata diffusa anche dall’agenzia governativa siriana Sana. Con questo accordo, hanno dichiarato le opposizioni siriane all’estero riunite nella Coalizione Nazionale, il governo siriano sta ripagando la Russia per i suoi bombardamenti sulle città insorte.

Al ehtilal, l’occupazione russa
Da questo quadro emerge che il sostegno russo ad Al Assad ha origini lontane e che dall’inizio della rivolta popolare contro il regime le relazioni tra Mosca e Damasco hanno conosciuto una nuova stagione.

Gli oppositori considerano la presenza delle truppe di Putin in territorio siriano “ehtilal” un’invasione a tutti gli effetti, che ha il solo scopo di tutelare gli interessi del Cremlino nell’area mediorientale.
Insieme alla Cina e all’Iran, la Russia continua a fornire armi alla Siria, rafforzando le posizioni di Bashar Al Assad. Mosca e Pechino hanno usato più volte il veto per bloccare ogni risoluzione Onu che implichi la condanna del regime siriano, come è accaduto il 5 ottobre del 2011, il 4 febbraio del 2012, il 29 luglio del 2012 e il 22 maggio 2014.

Il sostegno militare
A maggio del 2013 la Russia ha rafforzato la sua presenza nel Mediterraneo schierando una dozzina di navi militari al largo del porto di Tartous, considerato il maggiore scalo marittimo siriano. L’arrivo di uomini e mezzi in Siria è stato ininterrotto e a febbraio 2016 un aereo RF-64514, carico di apparecchiature elettroniche per lo spionaggio e il controllo, è stato inviato dalla Russia alla Siria.

Le navi del Cremlino hanno continuato a rifornire l’esercito al comando di Bashar Al Assad di armi e hanno partecipato attivamente ai bombardamenti contro diverse città siriane. Anche dopo l’annunciato ritiro delle sue truppe, Mosca ha continuato a mandare in Siria mezzi militari e rifornimenti. Fonti governative hanno, infatti, reso noto che la Jauza, la rompighiaccio russa addetta al rifornimento di armi, è salpata dal Mar Nero diretta a Tartous proprio il 17 marzo scorso. Secondo le stesse fonti, avrebbe portato un nuovo carico di armi destinate al governo di Damasco.

“La guerra santa” ortodossa
Il 30 settembre 2015 la Russia ha annunciato l’inizio dei bombardamenti contro l’Isis in Siria. Questa data rappresenta un punto di svolta nella storia siriana. L’annuncio è stato dato del ministro della Difesa Igor Konashenkov, che aveva parlato di un “impegno diretto contro lo Stato islamico, che non avrebbe coinvolto i siti civili e le infrastrutture”. La Chiesa russa ha definito, attraverso il suo portavoce, reverendo Vesvolod Chaplin, l’intervento in Siria come “Una guerra santa”. Chaplin ha affermato: “La Chiesa ortodossa sostiene la decisione della Russia di far intervenire la sua aviazione in Siria contro le forze dell’Isis”.

I bombardamenti contro i ribelli anti-Assad
Sin dall’inizio dei bombardamenti, tuttavia, attivisti per i diritti umani e militari oppositori siriani hanno smentito la versione di Mosca, denunciando e documentando che i veri obiettivi delle incursioni aeree erano postazioni dell’Esl e siti civili.

Anche gli Stati Uniti hanno contraddetto, sin dal primo giorno di intervento, la versione russa, affermando che l’offensiva su Homs non era affatto contro postazioni dell’Isis, ma contro i civili e i ribelli anti-Assad. Negli ambienti dell’opposizione siriana è noto il caso del video di “Tajammo Al Ezza”.

Le autorità russe hanno diffuso in rete immagini del bombardamento sul complesso militare nella periferia di Hama, affermando di aver colpito una base dell’Isis. In un’intervista web all’emittente siriana dell’opposizione “Ain ala Al Watan”, il maggiore dell’Esercito siriano libero Jamil Al Saleh, a capo del “Tajammo Al Ezza”, ha smentito la versione russa, affermando che il complesso è controllato dall’Esl e che la postazione Isis più vicina è ad almeno 150 chilometri di distanza.

Obiettivi civili
L’ Umayya Center for Researches and Strategic Studies ha pubblicato un libro del giornalista Ammar Yaser Hau, che fornisce un elenco delle stragi contro i civili commesse dall’aviazione russa in Siria a partire dal 30 settembre 2015 al 30 dicembre 2015.
In tre mesi la Russia ha compiuto almeno settantanove offensive aeree che hanno colpito le città di Raqqa, Palmira, Damasco, Homs, Hama, Lattakia e Aleppo, provocando il 7% delle vittime civili cadute in quel periodo.

Significativa la testimonianza raccolta dal giornalista che ha intervistato, tra gli altri, Raed Al Salah, direttore della Protezione Civile in Siria. Al Salah ha denunciato la morte di oltre undici volontari sotto il fuoco dell’aviazione russa, aggiungendo che tutti i loro interventi a seguito delle incursioni dei velivoli di Mosca sono stati in zone residenziali. “Sono state usate armi non convenzionali come le bombe a grappolo, in particolare ad Aleppo, Idlib e Homs”, ha affermato il responsabile. “Molti dei corpi che abbiamo raccolto erano completamente ustionati. La ferocia delle armi russe è pari a quella delle armi di Al Assad”.

Il bilancio delle vittime
Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, l’aviazione russa avrebbe provocato, da settembre 2015 a marzo 2016, oltre 5000 vittime, il 40% delle quali sono civili. Tra le vittime si contano più di 400 bambini, mentre i membri dell’Isis rimasti uccisi sono 1600.

Quali sono dunque i motivi della dichiarazione di Putin?
Diversi analisti arabi e musulmani hanno esaminato le dichiarazioni del presidente russo, avanzando una rosa di ipotesi.

1 - Un ritiro strategico prima che la situazione peggiori.
Secondo questa versione, il presidente russo Vladimir Putin avrebbe deciso di ritirarsi improvvisamente dalla Siria per evitare perdite umane e materiali. In particolare, la Russia avrebbe voluto prevenire lo scontro con le forze turche e saudite, coadiuvate dalle milizie americane, che hanno annunciato di pensare a un intervento di terra in Siria. La guerra in Siria sarebbe stata un ottimo campo di prova per testare le nuove armi russe e incoraggiare molti Paesi a comprare armi dal governo di Mosca. Sarebbe stata anche la dimostrazione del fatto che le nuove armi sovietiche sono sofisticate ed efficaci tanto quanto quelle americane.

2 - Un accordo segreto tra il re saudita Salman Bin Abdel Aziz e Putin
Russi e sauditi, con la benedizione americana, sarebbero arrivati a un accordo segreto per risolvere la crisi siriana. I contenuti di questo accordo riguarderebbero l’aumento del prezzo del greggio nei prossimi mesi, per aiutare la Russia ad affrontare meglio l’attuale crisi economica che imperversa nel Paese. L’unica condizione posta dall’Arabia Saudita sarebbe stata proprio il ritiro russo dalla Siria.

3 - Restano anche Iran e Hezbollah
Nonostante le notizie del parziale ritiro di Hezbollah dalla Siria verso il Libano, sul campo non ci sarebbe alcun riscontro sulla reale diminuzione delle milizie iraniane dal territorio siriano. Teheran, infatti, non rinuncerebbe al più importante (e unico) suo alleato in Medio Oriente, Bashar Al Assad. Dietro alla dichiarazione del disimpegno sciita, quindi, ci sarebbe una strategia precisa che punterebbe a stabilire una certa tregua nella zona, per rafforzare la posizione del governo siriano ai colloqui di pace.

4 - La base nel Mediterraneo e la questione del gas
Nonostante i diversi annunci, l’esercito russo avrebbe lasciato mezzi di terra e velivoli militari in Siria, con lo scopo di mantenere e controllare pienamente la situazione sul campo. La motivazione principale della presenza di Mosca al fianco delle milizie siriane sarebbe la volontà di mantenere la sua base nel Mediterraneo e soprattutto impedire il passaggio di condutture di gas dal Qatar all’Europa. Putin punterebbe a mantenere la supremazia e il controllo della distribuzione nel vecchio continente, lavorando per impedire la realizzazione del piano americano. Secondo gli analisti, gli Usa, in accordo con Turchia e Qatar, vorrebbero mettere nell’angolo la Russia e ridurre il suo peso nelle trattative internazionali.

5 - Verso il federalismo siriano
Tra le ipotesi avanzate recentemente per l’uscita dall’attuale crisi in Siria, c’è quella della federalizzazione, che prevede anche la creazione di uno stato curdo nel nord-est del Paese. Ipotesi, questa, a cui sono contrari Turchia e Iraq. La presenza dell’Isis in Siria, secondo alcuni analisti, sarebbe stata funzionale all’intervento diretto della Russia nel conflitto e avendo giocato un ruolo attivo nella crisi siriana, ora Mosca vorrebbe dettare legge e decidere anche per lo smembramento del Paese.

6 – Putin, il tutore della cristianità d’Oriente
Secondo i sostenitori di questa ipotesi, Vladimir Putin avrebbe deciso di intervenire in Siria per tutelare le comunità cristiane ortodosse minacciate dall’Isis. La decisione di partecipare attivamente al conflitto e mettere in sicurezza i villaggi e i siti cristiani, ha reso il leader russo, un eroe agli occhi della cristianità del mondo, offesa dall’immobilismo degli Stati Uniti e dell’Europa. Anche l’incontro tra Papa Francesco e il patriarca ortodosso Kirill e il riavvicinamento del mondo cristiano cattolico a quello ortodosso, sarebbe un’espressione di gratitudine per ciò che ha fatto Mosca in territorio siriano.

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