scuola pace
L'istituto Alvaro Gobetti a Torino l'11 marzo 2022 (Ansa).
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A scuola parliamo dei costruttori di pace

La pace non si fa da sola, ma si costruisce. È la parola stessa a ricordarlo, infatti la derivazione latina evidente (pax, pacis) nasconde un’antichissima radice sanscrita (pag-, pak-) che significa «legare», «unire», «saldare». Come dire, la pace è l’esito di accordo, compromesso, di un dialogo che va a buon fine, non è un frutto maturo bell’e fatto di cui godere. E si fa coi nemici, non con gli amici, anche questo è bene tenerlo a mente.

La storia che si affronta a scuola mette al centro della sua indagine lo studio delle organizzazioni sociali e politiche che si sono avvicendate nel corso di cinquemila anni e, per raccontare tutto questo, si raccontano espansioni, battaglie e guerre, questioni economiche, personaggi che hanno fatto appunto la storia attraverso le loro imprese militari e politiche.

C’è spazio per l’invenzione della scrittura, per l’evoluzione delle tecniche agricole, per i progressi dello spirito delle leggi, per lo sviluppo tecnico e tecnologico, ma tutti questi argomenti sembrano sempre fare da contorno ai fatti ritenuti decisivi, cioè battaglie, guerre, invasioni, vittorie e sconfitte, sangue.

Si studia dell’Antico Egitto e dei suoi schiavi, si affronta la Grecia nella sua grandezza, ma si fanno i conti con le guerre persiane e con quelle intestine tra le città greche. E così via, dalla sanguinosa espansione romana alle imprese militari di Cesare, fino alla caduta dell’impero e agli scontri con le popolazioni barbariche, da cui ereditiamo la parola «guerra» peraltro, e via via fino agli scontri tra i poteri forti del Medioevo, papato e impero. Poi, ancora, la costruzione degli stati moderni tra battaglie con centinaia di migliaia di morti. Giochi di palazzo, tradimenti, morte. Ancora scontri, ancora guerre, ancora sangue fino al Novecento, il secolo capace di devastare uomini e mondi più di ogni altro.

Inevitabile, per certi versi, perché la storia occidentale è fatta di ira, come insegna Omero, di conquista e di espansione. Sempre. Nonostante i corsi di storia seguano questa narrazione costellata di violenza dalla scuola primaria agli atenei universitari, siamo sempre convinti di vivere in una condizione di «pace occidentale». Almeno, lo eravamo fino all’avvento del terzo millennio. Quando si sono sgretolate queste false certezze. E così il terrorismo televisivo di Gerusalemme ha toccato il cuore del nostro mondo, con gli attentati negli Stati Uniti e nelle capitali europee dal 2001 in avanti, fino alla notte del 24 febbraio 2022, con l’aggressione russa all’Ucraina che ha portato in Europa carri armati, missili e un riarmo che sembrava un fatto del passato. Da libri di storia, appunto, dimenticando che la storia siamo noi.

Ecco che emerge l’esigenza di inserire, nel bagaglio di conoscenze dei ragazzi, anche le vite, le idee e le azioni di chi ha vissuto per la pace. Mostrando che la pace è una via coraggiosa, non incolore, e che vivere per costruirla è da eroi, non da tiepidi. E poiché l’esperienza della pace in questo nostro mondo c’è stata, e qualcuno l’ha costruita con le idee e con le azioni, è il momento di trovare spazio per aprire queste strade di conoscenza: c’è spazio per tutto a scuola, non sarà impossibile trovare spazio per chi ha costruito un mondo – o un’idea di mondo - migliore.

In quest’ottica, l’Occidente può contare straordinari costruttori di pace, donne e uomini che hanno impiegato il loro tempo per dare forma a una realtà diversa da quella in cui vivevano, non fatta per forza di prevaricazione, ma di pace, appunto, di alternativa possibile e migliore. E’ bene che la scuola ne racconti le idee e le azioni, affinché siano di esempio e di ispirazione. E di speranza.

Per cui spazio alle intuizioni di Padre Ernesto Balducci, di cui si festeggia il centenario proprio in questo mese di aprile. Il sacerdote toscano ha delineato negli anni Ottanta del secolo scorso le sfide dell’uomo del terzo millennio, scrivendo pagine straordinarie sulla necessità di «educare alla mondialità», intendendo costruire un «uomo planetario», basandosi sulla fiducia nell’uomo stesso e nelle sue possibilità di rifondare un’etica planetaria per essere cittadino del mondo.

Spazio a Balducci, ma anche a personalità come Simone Weil, pensatrice straordinaria e provata dal totalitarismo e dalla malattia, ma capace di spendersi per «un’anima che continui ad amare […] perché se l’anima cessa di farlo, precipita già qui sulla terra in uno stato quasi equivalente all’Inferno».

Spazio ai grandi costruttori di pace con i loro scritti, da Lev Tolstoj a Hannah Arendt, fino a chi ha parlato di pace con il proprio agire quotidiano, da Oscar Romero a Gandhi, fino a Pino Puglisi. E sono solo alcuni esponenti di un elenco provvisorio che sarebbe necessario trattare con maggiore accuratezza. Uomini e donne che possono e devono trovare spazio tra i banchi e nelle lezioni di questi giorni, e non solo, perché siamo abituati all’Inferno dantesco, lo abitiamo, ma non è l’unico mondo possibile. Dante Alighieri non avrebbe scritto anche la cantica della possibilità, il Purgatorio, e quella della felicità raggiunta, il Paradiso. Ma l’ha fatto, sta a noi ricordarcelo e agire di conseguenza. Da piccolissimi costruttori di pace.


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