ANSA/ FABIO CAMPANA
Economia

Pensione, è giusto che le donne ci vadano prima?

Alla fine il governo si è deciso: per le donne che vogliono ritirarsi dal lavoro a 63 anni con l'Ape Social (l’anticipo pensionistico senza penalizzazioni) rimarrà un piccolo trattamento di favore. Ci sarà infatti uno sconto sui requisiti contributivi pari a 6 mesi per ogni figlio che hanno dovuto crescere nel corso della loro vita e che spesso ha comportato per loro un sacrificio in termini di carriera. 

Il bonus contributivo potrà essere al massimo di due anni. Dunque, mentre i lavoratori maschi che vanno in pensione con l’Ape Social devono avere 63 anni di età e almeno 30 anni di contributi, le donne con figli potranno mettersi a riposo anche con 28 o 29 anni di carriera alle spalle (purché naturalmente rientrino nelle categorie che hanno diritto a usufruire dell’anticipo pensionistico social).

L’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni ha voluto così accontentare le richieste dei sindacati, che sottolineano da tempo come l’età della pensione di vecchiaia italiana sia ormai la più alta d’Europa, anche per le donne che tradizionalmente hanno goduto in passato delle finestre di uscita dal lavoro anticipate (fino al 2010-2011 potevano mettersi a riposo a 60 anni, 5 anni prima dei colleghi maschi). Ma è giusto o sbagliato che le lavoratrici del gentil sesso vadano in pensione prima degli uomini?

Come funziona in Europa

Attorno a questo interrogativo si è dibattuto molto negli anni scorsi, anche prendendo spunto da quel che avviene all’estero. In gran parte degli altri paesi europei, infatti, donne e uomini vanno in pensione alla stessa età. Ci sono poche nazioni che fanno eccezione. E’ il caso della Gran Bretagna dove le lavoratrici femmine possono ritirarsi a circa 62 anni e mezzo contro i 65 anni degli uomini. Stesso discorso per l’Austria dove le donne si ritirano a 60 anni anziché a 65.

Non ci sono invece trattamenti di favore in altri paesi dove tuttavia - sottolineano i sindacati- l’età pensionabile è più bassa rispetto ai 66 anni e 7 mesi fissati in Italia. In Spagna e Germania c’è ancora il requisito dei 65 anni per uomini e donne (che salirà gradualmente soltanto nell’arco di un decennio) mentre in Francia la soglia anagrafica resta inchiodata a 62 anni. A ben guardare, però, la parificazione dell’età pensionabile è un destino ineluttabile per tutti i Paesi. A stabilirlo è infatti una sentenza delle Corte di Giustizia Europea del 2008, che ha vietato ai singoli Stati di fare disparità di trattamento a seconda dei sessi.

Non va tuttavia dimenticato che, almeno secondo le statistiche, in Italia le donne hanno di solito stipendi mediamente più bassi e hanno maggiori difficoltà a fare carriera rispetto agli uomini. Non solo e non tanto per pregiudizi culturali quanto piuttosto perché sono di solito penalizzate dal punto di vista professionale durante le gravidanze e non riescono a conciliare la vita lavorativa e quella familiare, al punto di essere costrette a licenziarsi. Proprio per queste ragioni, nei decenni scorsi si è pensato di creare una corsia preferenziale per il gentil sesso nei requisiti per la pensione.

Più che di un trattamento di favore in vecchiaia, però, le donne avrebbero probabilmente bisogno di essere aiutate molto prima, quando appunto sono costrette a barcamenarsi come possono per prendersi cura dei figli senza rinunciare alla carriera.

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