Altro che isolamento. La politica estera è la vera vittoria di Giorgia Meloni

Serviva un governo di destra affinché l’Italia tornasse ad avere una politica estera. Gli anni delle grandi coalizioni e dei governi a trazione Partito Democratico sono state l’era del grande intorpidimento delle proiezione oltre confine del paese, governi immobili in Europa e passivi nel mediterraneo. Oggi, con il governo Meloni, si ha l’impressione che lo Stato sia tornato a muoversi con decisione verso l’estero. Sarà il nazionalismo intrinseco alla principale forza di governo, sarà la concretezza del premier o forse anche uno scenario internazionale mutato rapidamente, ma a conti fatti - anche grazie all’eccezionale contributo dell’ENI e del suo management - l’Italia procede spedita nell’intenzione della diversificazione energetica: si firmano accordi in Libia e in Algeria sul gas, si rafforza la relazione con l’Egitto, si sfrutta il sostegno americano per imporsi come paese che può giocare il ruolo di perno nel Mediterraneo.

Anche in Europa il governo si muove con giudizio: nessuno scontro con la Commissione Europea, avanti con il PNRR riformato da alcuni eccessi ecologisti e dirigisti, una dialettica finalmente più assertiva verso l’aggressiva politica estera francese, un avvio cauto di collaborazione maggiore con la Germania. Dal prossimo incontro tra Scholz e Meloni capiremo qualcosa in più: se Berlino vuole un trattato con l’Italia e soprattutto se Roma può essere il bilanciamento di una relazione franco-tedesca che pare molto deteriorata. Al centro ci sono le questioni industriali: mentre la Francia è un concorrente dell’Italia, la Germania è quasi sempre un cliente, dunque gli incentivi ad un miglior rapporto con i tedeschi sono maggiori. Sempre dalla cancelleria si passa per definire la politica economica e finanziaria europea - e scongiurare un ritorno all’austerity che oggi sarebbe quasi mortale per noi - così come la Germania può fornire un impulso per una maggiore collaborazione sull’immigrazione. Cosa offrire in cambio? Il solito sbocco sul mare nostrum: porti, logistica, energia. Tutte questioni critiche per il sistema tedesco, su cui un’Italia ben governata può offrire sponde e aiuti. Infine, la Meloni volerà a Kiev. Incontro con Zelensky più dimostrativo che effettivo, ma fondamentale per inviare l’ennesimo segnale di lealtà agli americani.

A Washington sono tranquilli, l’Italia - pur nella diversità valoriale tra la destra di Meloni e i progressisti di Biden - è un alleato affidabile e solido nella contrapposizione alla Russia e nel controllo della proiezione geopolitica cinese. Anche se, su quest’ultimo fronte, il governo non dovrà abbassare la guardia, in particolare sul controllo delle infrastrutture che interessano a Pechino (porti in primis). Di fronte a questo affresco, all’esterno deve raccordarsi l’interno, sarebbe a dire che servono riforme utili in grado di sostenere la politica estera. Su questo sarà misurato il governo: rigassificatori, porti, gasdotti, sgravi fiscali per le imprese, politica industriale efficace per far crescere le partecipate di Stato. Il 2023, complice una situazione energetica migliore del previsto e una economia che regge, sarà l’anno in cui la capacità del governo Meloni di trasformare obiettivi e accordi in realtà sarà misurata. La politica estera resterà un sogno ambizioso o si trasformerà in sviluppo e strategia?

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