Il Cardinale Carlo Maria Martini
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Martini, il papa mancato che chiedeva il Concilio vaticano III

L’ondata di affetto che ha circondato fino alla morte, avvenuta oggi al Collegio Aloisianum di Gallarate (Varese), il cardinale Carlo Maria Martini non è estemporanea. Il porporato gesuita, torinese di nascita e milanese di adozione, da oltre trent’anni era diventato un punto di riferimento per credenti e non. Da quando cioè Giovanni Paolo II lo chiamò dalla Pontificia Università Gregoriana, dov’era preside del Biblicum, l’Istituto di studi sulla Sacra scrittura, per portarlo alla guida della diocesi di Milano. Una scommessa rischiosa da parte di Wojtyla, che aveva visto in quello studioso dagli occhi azzurri e lo sguardo un po’ glaciale, un vero pastore di anime.

Lo stesso Martini ha raccontato tante volte lo shock per quella chiamata, alla quale rispose di sì solo in nome dell’obbedienza senza discussioni che i gesuiti devono al Papa. Eppure Martini, lasciati i libri e afferrato il pastorale, ha saputo lasciare un segno nelle menti e nei cuori. Da quando si fece consegnare le armi dai terroristi negli anni di piombo, a quando lanciò la cattedra dei non cedenti per il dialogo con la città. Stenti a credere che un uomo all’apparenza abbastanza freddo e scostante possa essere riuscito ad avere tanto seguito. Un successo anche editoriale: non è un mistero che, ancora oggi, i libri del cardinale Martini vendono più dei libri di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Tenendo presente che in realtà, Martini ha scritto pochissimo a parte i libri e i saggi accademici. La stragrande maggioranza dei suoi volumi sono infatti raccolte di suoi discorsi, lettere pastorali, omelie.

Eppure conquistano i lettori con un linguaggio semplice e diretto, mai banale, che sa parlare a credenti e non credenti. Obbediente al Papa e alla gerarchia, Martini non è però mai stato un prete “ortodosso”. Ancora vivente Giovanni Paolo II, aveva chiesto un Concilio Vaticano III per discutere di preti sposati, divorziati, magistero della Chiesa in materia sessuale, bioetica, eutanasia. E nelle sue interviste e in alcuni suoi libri (l’ultimo con il senatore Ignazio Marino), spesso chiedeva di riaprire la discussione su questi temi nella comunità cristiana. Nel conclave che ha eletto Benedetto XVI nel 2005, Martini ha preso 9 voti al primo scrutinio ma è stato un catalizzatore di preferenze dei cardinali sulla “minoranza riformista” del collegio cardinalizio, composta, tra gli altri, dal cardinale argentino Bergoglio e dal tedesco Lehmann. Poi si è tirato indietro e ha lasciato che molti suoi voti confluissero su Ratzinger. Martini e Ratzinger tanto diversi ma tanto simili sotto molti punti di vista.

Tanto che Benedetto XVI aveva una stima straordinaria per questo porporato, così come l’aveva Giovanni Paolo II nonostante le profonde divergenze che avevano proprio sui temi della morale. Martini lascia un’eredità di pensiero e di seguaci che forse non ha pari in questo momento nella Chiesa mondiale, perché rappresenta un modo di sentire e di vedere il futuro della Chiesa che non è appiattito sulle mode del presente ma non è nemmeno prigioniero del passato. Una libertà che probabilmente, come gli antichi monaci medioevali, gli è garantita dalla lunga consuetudine con la sacra scrittura. Uno studio approfondito e costante della Parola di Dio, una capacità di ascolto dell’attualità del messaggio cristiano, che lo ha tenuto libero dai condizionamenti del pensiero teologico istituzionale.

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