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L'ospitalità di lusso non conosce la parola «crisi»

Non si ferma l’appetito degli investitori per gli hotel di lusso e l’Italia resta una delle mete più desiderate al mondo, lo certificano i dati di Assoturismo che vedono per quest’anno un totale recupero degli afflussi del pre-pandemia. Il 2019 fu un’annata storica per l’industria dell’ospitalità italiana con quasi 437 milioni di notti trascorse, di cui 221 milioni registrate da turisti stranieri e 131 milioni di arrivi. E numeri così grandi attirano grandi capitali.

«Il 2022 ha confermato il forte interesse del mercato immobiliare per il segmento dell’hôtellerie in Italia. Gli investimenti alberghieri sono stati pari a 1,4 miliardi di euro (relativi a transazioni di hotel e asset con destinazione d’uso alberghiera futura), confermando il focus degli investitori internazionali e delle principali catene alberghiere a crescere nel nostro paese» conferma a Panorama Collezione Claudia Bisignani, Head of Hotels & Hospitality di JLL Italia, big del settore del real estate. «Nei sette anni precedenti, infatti, escludendo la transazione relativa al Portafoglio Belmond del 2019, la media annua di investimenti nel settore era stata pari a circa 1,2 miliardi di euro, ci attestiamo quindi sui massimi storici. Nell’attuale scenario macroeconomico, caratterizzato da incertezza per l’andamento dell’inflazione e incremento dei tassi di interesse, si assiste tuttavia a un rallentamento delle transazioni, con un volume registrato nel primo trimestre 2023, che si è attestato a 139 milioni di euro (-59% anno su anno), con una flessione principalmente spiegata da una diminuzione del ticket medio delle transazioni, rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente» spiega Bisignani che poi precisa: «Nonostante tale flessione, il mercato continua a esprimere un buon dinamismo, trainato anche dalle ottime performance registrate in tutti i principali mercati alberghieri italiani, che lascia presagire un’ottica positiva sui volumi attesi per la fine dell’anno, sebbene in un clima caratterizzato da un atteggiamento più prudente».

Quindi, nonostante ci muoviamo in uno scenario economico che induce alla cautela, l’Italia è sempre più attrattiva per gli investitori e per le grandi catene alberghiere.

Negli ultimi 10 anni, secondo quanto rilevato dalla ricerca Thrends, c’è stata una forte evoluzione del settore, che avvicina sempre di più la realtà italiana al mercato europeo e anglosassone. A livello di numeri, si è passati da 1.324 hotel della fine del 2013 a ben 2.105 di fine 2022, superando per la prima volta la soglia delle 2 mila strutture, con un incremento del più 59 per cento.

In termini di camere disponibili, si è arrivati a 210 mila unità, con un aumento del più 44 per cento.

Per quanto riguarda la presenza delle grandi catene alberghiere in modo particolare, in termini di hotel si è passati dal 4 per cento del 2013 al 6,6 per cento di oggi. A livello di camere, la crescita è molto più accentuata: le camere di alberghi appartenenti a una catena nel 2013 erano il 13,4 per cento del totale, mentre oggi sono il 19,7 per cento. In pratica, ora in Italia una camera d’hotel su cinque appartiene o è gestita da una catena alberghiera.

Ma chi sono gli stranieri che investono nel settore alberghiero italiano? «Si tratta principalmente di player internazionali. Tra questi ci sono i fondi di Private Equity che vedono l’Italia come il paese delle grandi opportunità per le operazioni di tipo Added Value, finalizzate a creare valore attraverso il repurposing di immobili di diverse asset class o il riposizionamento e rebranding di molte strutture alberghiere, ancora di proprietà di famiglie italiane, la cui gestione diretta stenta a stare al passo con le nuove aperture» conferma Bisignani. «Ma anche i grandi gruppi alberghieri internazionali che sono interessati a entrare o a espandersi nel mercato italiano. E, da ultimo, gli investitori istituzionali e gli High Net Worth Individual storicamente attratti da Trophy Assets e prodotti core, in grado di preservare il valore dell’investimento nel tempo e di associare ai minori rendimenti, operazioni di prestigio e visibilità».

Allo stesso modo, il rapporto Thrends mostra anche un’altra tendenza in atto e cioè l’incremento significativo del numero dei resort: i gruppi alberghieri presenti sul suolo italiano con questo tipo di strutture, infatti, sono passati da 138 a 264. «Nell’ultimo biennio, i resort hanno assunto un ruolo primario grazie a una stagionalità mediamente più estesa (verso gli 8-9 mesi), favorita anche da una maggiore internazionalizzazione dei flussi turistici» sottolinea la Head of Hotels & Hospitality di JLL Italia. «Nel periodo post pandemia, infatti, si è assistito a una ripresa assai più rapida del turismo leisure (ovvero il fenomeno del “revenge travel”), rispetto a quello business. E si è ampliato anche l’interesse degli investitori: non solo verso le tradizionali destinazioni come Sardegna, Sicilia e Toscana, ma anche la Puglia e le regioni dei laghi del Nord (Lago di Como e Lago di Garda) e le destinazioni di montagna. In Puglia, per esempio, diversi operatori sono già entrati nel mercato o sono prossimi a entrare come Rocco Forte, Belmond, Mandarin Oriental, Baglioni e Four Seasons mentre sul Lago di Como, è ormai ben avviato un processo di riposizionamento che prevede una serie di aperture per lo più afferenti il segmento lifestyle e top-end luxury (Edition, Ritz Carlton). E poi c’è il Lago di Garda che grazie all’accessibilità dal Nord Europa, gli ottimi collegamenti e i numerosi generatori di domanda presenti nell’area, sta acquisendo una rilevanza tra le destinazioni resort».

Per quanto riguarda la montagna, invece, una meta su tutte è Cortina d’Ampezzo «che spinta dalle Olimpiadi Invernali 2026 sta vivendo una importante riqualificazione della sua offerta alberghiera favorita anche dalle recenti transazioni (Hotel Bellevue Suites & Spa, Hotel Cristallo, Hotel Ancora, Hotel Savoia) che comporteranno l’ingresso di importanti brand lifestyle e luxury e una ulteriore diversificazione dei flussi turistici internazionali, in un mercato che è stato sostanzialmente rappresentato dalla domanda nazionale».

A livello di grandi città, invece, dopo anni di strapotere meneghino è Roma a farla da padrona, allineandosi con un po’ di ritardo alle principali capitali europee.

«A Roma dal 2018 a oggi, nel segmento dei 5 stelle sono stati transati 16 hotel corrispondenti a un controvalore di circa 1,3 miliardi di euro e ancora tra il 2023 e il 2026 sono previste circa 19 nuove aperture per un totale di 2 mila nuove camere» conferma Bisignani. «Il mercato capitolino, storicamente caratterizzato da alberghi di proprietà famigliare, sta infatti vivendo un nuovo ciclo di vita e un processo di riposizionamento che riporterà l’area di via Veneto ai vecchi splendori in considerazione delle nuove aperture (W Hotel, Intercontinental Roma, Edition Rome, Nobu Rome, Baccarat) pertanto l’offerta del segmento ultra-luxury è finalmente allineata alle principali capitali internazionali in considerazione delle recenti e prossime aperture previste nel centro di Roma (Six Senses Hotels & Resorts, Bulgari Hotel, Rosewood Hotels & Resort, Orient Express, Mandarin Oriental). E i risultati già si vedono considerando che nel segmento luxury i dati actual 2022 mostrano una crescita del ricavo per camera disponibile (REVPAR) del 47 per cento rispetto al 2019».

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