Andy Warhol, “Lucio-Amelio” 1975, acrilico e serigrafia su tela,105 x 105, cm. Collezione Giuliana Amelio.
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L’omaggio di Andy Warhol a un ruffiano napoletano

Non è una novità la mostra al Pan di Napoli dal titolo “Vetrine ” (fino al 20 luglio). Molte di quelle opere di Andy Warhol sono state presentate diverse volte ai napoletani nel corso degli ultimi 20 anni. Tuttavia vale una visita, anche solo per ricordare Lucio Amelio: figura leggendaria di grande gallerista. E per ridimensionare un luogo comune sull'arte di Drella.

Se “Vetrine” racconta l’innamoramento dell’artista per Napoli, il perno di questo rapporto d’amore, il vero «Ruffiano» della liaison, è stato proprio Amelio. È dunque il suo ritratto l’epicentro di questa mostra.

Warhol fa un salto nel passato: sceglie di rappresentare Amelio con una mano poggiata sul mento, come nell’antichità si rappresentavano i filosofi. Non è un caso: Amelio non era un gallerista qualunque. Era un uomo colto e cosmopolita, un intellettuale capace di grandi affabulazioni. In quest’opera ad acrilico, l’artista usa un linguaggio controrivoluzionario. Snobba decenni di astrattismo e torna al ritratto figurativo. Lo fa con l’estetica della pop art, cui siamo tutti abituati, con immagini che ricordano il cinema e la pubblicità. Ma il gesto e l’espressione sono quelli tipici dei ritratti rinascimentali. Warhol, insomma, ritrae il suo gallerista così come un artista del Cinquecento avrebbe ritratto il suo mecenate. Neppure questa è una coincidenza. Lucio Amelio è stato l’ultimo grande propulsore della cultura artistica napoletana. Come Francesco I de Medici aveva portato a Firenze i più raffinati talenti della pittura cinquecentesca, così Amelio ha concentrato a Napoli le punte più avanzate della ricerca internazionale. Nella sua galleria sono passati nomi come Gilbert & Gorge, Robert Raushemberg, Keith Haring e Robert Mappelthorpe. Amelio ha dimostrato che una galleria non è soltanto un’impresa commerciale, ma è anche un’agenzia culturale, che presuppone un progetto e una visione.

Il vero capolavoro di Amelio, in questo senso, è stato quello di aver fatto incontrare - proprio a Napoli - le due primedonne dell’arte contemporanea mondiale, il diavolo e l’acqua santa, due artisti provenienti da mondi opposti e contrapposti: il tedesco Joseph Beuys, concettuale, ecologista, animato da idealismo politico; e l’americano Andy Warhol, edonista, apparentemente cinico, spietato cantore della società dei consumi. Insieme, i due, grazie al loro mentore, saranno protagonisti di mostre e scorribande per la città. Porteranno Napoli sotto i riflettori internazionali. Lasceranno opere importanti in città. E dalla città saranno, a loro volta, stregati. 

Per entrambi sarà un colpo terribile quello del 23 novembre 1980, quando il terremoto sconquassa Napoli per un raggio di molti chilometri. L’impressione della devastazione finirà nelle loro opere. Beuys scriverà per il «Mattino» di Napoli un editoriale che non sarà mai pubblicato: censurato perché giudicato eversivo per lo Stato e la Chiesa. Anche Warhol metterà al centro della sua opera il quotidiano partenopeo, ma senza retorica: la prima pagina del «Mattino» diventerà un’epigrafe. Il disperato appello ai soccorsi e il titolo “Fate presto!”, strillato su 5 colonne, saranno riprodotti in un trittico. E sarà un richiamo ideale a quei trittici che nel Trecento erano posti sugli altari delle chiese, dove insieme con le madonne si mostravano i martiri e le stragi degli innocenti.

L’opera di Warhol può sembrare algida e superficiale. La sua estetica è stata definita di volta in volta disincantata, provocatoria, nichilista. Ma è un'analisi che sembra più un luogo comune. Invece la sua arte ha molto a che fare con il sacro, la vita e la morte. Tre temi che soltanto la grande arte sa mettere insieme. Quella stessa grande arte che Andy Warhol e Lucio Amelio hanno saputo offrire a Napoli e al mondo.

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