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Gaetano Quagliariello (Ansa)
Politica

Riforme costituzionali. Quagliariello: «Scelta una via tortuosa»

Dopo il primo “faccia a faccia” ufficiale, prima dell’estate, con la segretaria del Pd Elly Schlein, e dopo aver cercato di condividere il più possibile il percorso con i suoi oppositori, per saggiarne la volontà comune, per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tempo di puntare tutto sull’elezione diretta del capo del governo, un vecchio pallino del centro-destra italiano sin dai tempi di Silvio Berlusconi. Si poteva anche puntare sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica ma la premier, dopo aver mantenuto un rapporto privilegiato con il Presidente della Repubblica Mattarella, ha sempre saputo che l’obiettivo più realizzabile sarebbe stato proprio il premierato, non a caso tema tra i più importanti dell’agenda elettorale dello scorso anno. E così la “la riforma delle riforme” (definizione della ministra per le riforme istituzionali Elisabetta Casellati, vero dominus del progetto di riforma) si disvela ora all’interno di un disegno di legge costituzionale snello, di soli 5 articoli, capaci di compendiare tutto il pensiero riformatorio del Governo Meloni e della maggioranza che la sostiene.

Il disegno di legge.

L’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri (premier). Ad oggi sono tre gli articoli della Costituzione a subire modifiche: l'88 che regimenta il potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere, il 92 proprio sulla nomina del presidente, ormai definito “premier” e il 94 che affronta la mozione di fiducia e sfiducia al governo. Come ormai noto, la prossima legislatura vedrà il capo del governo -in carica per 5 anni- eletto direttamente dai cittadini nel corso di un turno elettorale unico.

Il premio di maggioranza. La novità del sistema elettorale maggioritario prevede un premio del 55% assegnato su base nazionale: così si assicurerebbe una maggioranza del 55% dei seggi nelle Camere a candidati e liste collegate al candidato-premier risultato vincitore.

I nuovi poteri del Presidente della Repubblica. Altro passaggio fondamentale: il Capo dello Stato non sarebbe più titolare del potere di nominare il presidente del Consiglio (come oggi riconosciuto dall’art. 92 della Carta costituzionale), ma diverrebbe titolare del conferimento dell’incarico al candidato risultato eletto. Rimarrebbe invariato, invece, il potere di nominare i ministri, su indicazione dello stesso Presidente del Consiglio

Finalmente la c.d. “norma antiribaltone”. Nella nostra debole democrazia, soggetta ai sempre più cangianti umori delle forze politiche, il tema del cambio di maggioranza in corso di legislatura è da sempre il punto debole. Ora, stando al testo predisposto, è prevista una procedura di rinforzo: se il presidente del Consiglio dovesse dimettersi o decadere dal suo incarico per qualunque motivo, l’iniziativa passerebbe al presidente della Repubblica che potrà scegliere tra affidare l’incarico di formare un nuovo esecutivo proprio al premier dimissionario o scegliere un altro parlamentare che sia, ovviamente, collegato al presidente del Consiglio. Insomma si garantirebbe almeno una continuità politica e si eviterebbe il ricorso al voto anticipato.
Addio ai Senatori a vita, per come li intendiamo oggi. Salterebbe, in pratica, l’antica prerogativa del Presidente della Repubblica di nominare i senatori a vita. Gli attuali, comunque, rimarrebbero in carica fino alla fine del mandato.

Panorama.it ha chiesto a Gaetano Quagliariello, già ministro per le riforme istituzionali nel governo Letta (2013-2014), chiarimenti sull’importante riforma.

Professore Quagliariello, la riforma sembra in dirittura d’arrivo.

«Si, e non sottovaluto cosa significhi collegare il potere esecutivo alla sovranità del popolo. Resta, tuttavia, una questione aperta: perché si è scelta la via dell’elezione diretta del presidente del consiglio (del premier…) anziché quella del Capo dello Stato, per come -invece- è accaduto per la stragrande maggioranza dei paesi che hanno dovuto effettuare una tale scelta costituzionale?».

Ci aiuti lei a capire!

«Credo di non andare lontano dalla verità se dico che la maggioranza parlamentare e governo abbiano voluto tutelare un organo costituzionale che nell’ultimo periodo ha dato grande sicurezza agli italiani. Sto parlando del Presidente della Repubblica così come oggi lo conosciamo. Lasciando intatti i suoi poteri e l’elezione da parte del Parlamento si è inteso, così, non modificare la funzione di garanzia che tale figura incarna e la garanzia che nessuno intenda porre in atto quelle che comunemente sono definite “pericolose drive plebiscitarie”».

Non modificando da, un lato, il ruolo istituzionale del presidente della Repubblica, si è dovuta prevedere, dall’altro, l’elezione popolare del Premier…

«Non metto in discussione le intenzioni che saranno state pure le migliori. Temo però che esse possano determinare uno squilibrio istituzionale. Mi spiego: il ruolo delle istituzioni dipende da ciò che prevede la Costituzione ma anche dalla loro legittimazione. E la categoria della legittimità è quantomai sfuggente: non a caso Guglielmo Ferrero diceva che essa era data “dai geni invisibili della città”.

Squilibrio in che senso?

«Non so se è una buona idea mettere in una posizione sovraordinata colui il quale avrà una legittimità più debole perché proveniente dal Parlamento e non dal popolo. Teniamo conto che quando si pensa una riforma di questo tipo si devono immaginare scenari di lunga durata. Insomma: non stiamo parlando di Mattarella e della Meloni ma di quanti succederanno loro nei prossimi decenni…».

Cosa teme?

«Temo che si possa determinare un’asimmetria, perché la figura meno legittimata -il capo dello Stato- si troverebbe a controllare quella a legittimità più forte, perché proveniente dal popolo. Da questa asimmetria al conflitto istituzionale, il passo potrebbe essere breve».

Leggiamo un certo pessimismo dal suo ragionamento…

«Qualche preoccupazione. D’altra parte quando se si tocca la Costituzione su un punto così delicato è bene essere pessimisti. E’ normale immaginare che quelle norme possano essere male interpretate da donne e uomini differenti da quelli che attualmente ricoprono le cariche in questione».

Si confessi: l’elezione diretta del premier non la convince tanto…

«In partenza no! Ammetto che attendo che qualcuno mi convinca. D’altra parte mi giro intorno e vedo tanti Paesi che hanno adottato il sistema semipresidenziale, mentre il premierato elettivo è stato scelto dal solo Stato di Israele, per un breve periodo, e poi abbandonato. Ci sarà un motivo per cui nel mondo le cose sono andate in questo modo…».

Un motivo ce l’ho ha detto, ed è quello della legittimità. Ne esistono altri?

«Penso che le garanzie costituzionali e la tutela dello Stato meritino un certo grado di rigidità, mentre i compiti di governo debbano essere molto più pragmatici. Fuori da metafora: il Presidente della Repubblica è molto meno esposto agli imprevisti rispetto al presidente del Consiglio. Per questa ragione è meglio eleggere direttamente lui perché l’elezione diretta rende più forte, ma anche più rigida, un’istituzione. D’altra parte, nella storia delle istituzioni, non a caso quando si parla di premierato ci si riferisce al sistema inglese».

Qualche nota di comparazione giuridica non guasta…

«E lì, il ruolo di garanzia è proprio del Monarca e il c.d. Premier è eletto attraverso la forza che i cittadini assegnano al proprio partito. E’ questo il motivo per il quale, ad un certo punto, persino un premier di “ferro” come Margaret Thatcher ha dovuto “piegarsi” alla flessibilità delle istituzione ed accettare di essere sostituita da un proprio compagno di partito: nel 1990, infatti, si dimise a favore di John Major…».

Professore, sospettiamo ancora che lei sia critico verso la formula del premierato!

«Sia chiaro: io sono affinchè il potere esecutivo si rafforzi. Lo dobbiamo ai nostri Padri costituenti che lo previdero assai debole per le contingenze storiche nelle quali operarono: allora si usciva da una dittatura, c’era il complesso del tiranno e la cosa era storicamente comprensibile. Inoltre la Costituente fece le sue scelte definitive dopo lo scoppio della Guerra fredda ed è utile ricordare la peculiarità italiana: a favore del mondo dell’Est si schierò non solo un forte partito comunista ma anche l’allora partito socialista.

Avrebbe operato altre scelte?

«Alternativamente avrei scelto due diverse strade: la prima, quella del semipresidenzialismo alla francese, il modello della V Repubblica, che tante imitazioni ha avito. Mi sarei limitato a rafforzare i poteri di controllo del Parlamento e a distinguere meglio le figure del Presidente della Repubblica e del premier, così come nel modello originario voluto da De Gaulle. La seconda consiste in un rafforzamento e razionalizzazione della figura del Capo del governo: invece di eleggerlo direttamente, gli si sarebbero potute assegnare la possibilità di nominare i ministri, di essere investito da solo -e non insieme al suo governo- dal Parlamento, di poter proporre (e se è sensato ottenere) lo scioglimento del Parlamento. In questo modo ci saremmo allineati a Gran Bretagna, Spagna, Svezia e Germania».

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