Il flop delle tasse sugli yacht. Crisi della nautica, fuga all'estero, gettito fiscale basso

Yacht e vele italiane? In Italia sono scomparse. E si sono materializzate in Dalmazia, in Grecia, alle Baleari, ovunque nel Mediterraneo tranne che a ridosso dello Stivale. Chiunque sia stato o abbia la fortuna di stare ancora in Sardegna, all’Elba, in Liguria o in altri ameni tratti della nostra costa ha potuto riscontrare la grande fuga del turismo “ricco” dall’Italia, ma chi è andato all’estero ha visto che in realtà non è sparito del tutto, si è spostato. È l’immagine estiva più significativa degli errori “tecnici” del governo tecnico.

Troppe tasse, e in particolare troppe tasse sul lusso, non portano soldi allo Stato, anzi li sottraggono, e deprimono i settori colpiti in modo drammatico. La nautica, una delle eccellenze italiane, è a pezzi. La notizia era quasi nascosta ieri su la Repubblica in pagina interna, per privilegiare gli annunci positivi in prima e nelle pagine nobili.

Il fatto è che la nautica tricolore ha perso 20mila addetti in due anni, ha visto ridurre il fatturato dal 2008 di ben 2,5 miliardi di euro, praticamente dimezzato a poco più di 3 miliardi. Lo chiamavano Salva-Italia, il decreto nel quale tra l’altro si prevedeva la tassa sullo stazionamento degli scafi. Ma i ricchi sanno come reagire: sono scappati all’estero, con tutte le conseguenze che sappiamo e senza neppure il risultato positivo del gettito fiscale, visto che rispetto ai 115 miliardi che si attendevano ne sono entrati al 31 maggio soltanto 23,5, ossia il 15 per cento.

Del resto, che cosa ci si poteva aspettare se ben altri sono i problemi legati a evasione ed elusione nella nautica, e che soltanto 260 sono gli yacht sopra i 24 metri onestamente e correttamente registrati in Italia. Il vero prodotto dei super-balzelli di Monti è l’ulteriore fuga dei ricchi elusori, la crisi del settore, e il peso a questo doppiamente ingiusto sui pochi che si ostinano a tenere la bandiera italiana e incrociare acque (e porti) italiani. Allo stesso modo, le tasse sulle auto di grossa cilindrata non porteranno altri soldi, ma provocheranno crisi del settore e vendita delle auto esistenti a stranieri che non devono pagarci le stesse tasse. Insomma, meno gettito, crisi e impoverimento.

Ma le tasse sul lusso sono soltanto la cartina di tornasole, l’emblema di un flop che rischia di assumere proporzioni tragiche per l’economia italiana se si considerano tutti gli altri introiti fiscali (ne scrive oggi Franco Bechis su Libero), per i quali il governo Monti ha imposto aumenti insostenibili che alla resa dei conti (letteralmente) si sono rivelati controproducenti: non hanno portato il gettito sperato nelle casse dello Stato, in compenso hanno ulteriormente depresso il sistema economico. Esempio: l’Ire sul lavoro dipendente e autonomo è scesa da gennaio a giugno dello 0,5 per cento (nonostante i prelievi straordinari già prima in vigore sui redditi più alti nel settore pubblico), sicché dei 269 milioni preventivati come incasso dal contributo di solidarietà del 3 per cento sui redditi lordi superiori a 300 milioni ne sono entrati a consuntivo 91, meno della metà.

Cade l’IRES (-1,6 per cento, un buco di 157 milioni di euro) e l’IVA (-1,4, nonostante l’aumento dell’aliquota base dal 20 al 21, col risultato che invece di avere 2 miliardi in più nei primi sei mesi dell’anno, ne è entrato uno di meno).

Eppure, il governo continua con l’idea che più tasse metti, più incassi. E il ministro della Salute, Renato Balduzzi, insiste con il balzello sulle bibite gassate proprio nel momento in cui smentisce il comunicato del Consiglio dei ministri che annuncia una crescente privatizzazione della Sanità.

Il fallimento delle misure Salva-Italia è a tutto campo. Sta avvenendo lo stesso con la Legge Fornero, che invece di liberalizzare il mercato del lavoro, lo ha irrigidito avendo come faro il posto fisso e determinando problemi per tutti i lavoratori a vario titolo precari. Che smetteranno di esserlo, solo per diventare disoccupati.

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