Giulio D’Antona, Non è un mestiere per scrittori

Se c’è un posto al mondo dove oggi uno scrittore sceglierebbe di vivere, se potesse, probabilmente è l’America. O più precisamente, New York.  È qui che le storie sembrano prendere vita, a ogni angolo di strada. Ed è qui che vive chi sa riconoscere le storie migliori, il gotha dell’editoria mondiale. O almeno era così che funzionava fino a poco tempo fa. Qualcosa è cambiato nelle strade della Grande Mela, e nei salotti, e nei bar. Forse per sempre, come se qualcosa di irreparabile fosse successo. Non è un mestiere per scrittori, edito da Minimum Fax, è l’indagine che il giornalista Giulio D’Antona ha condotto sulla scena del crimine, battendo palmo a palmo la città degli scrittori, taccuino alla mano. Il risultato è un appassionante reportage narrativo che ci conduce su e giù per le strade di New York sulle tracce dei grandi romanzieri americani di ieri e di oggi.

Scrittori organici
Il nostro viaggio parte da Brooklyn, centro dell’ultima grande gentrificazione newyorchese, approdo della classe creativa in fuga dagli affitti troppo cari, oasi per i nuovi arrivati stanchi della noia della provincia. È qui che scrivono gli scrittori di domani, mentre sorseggiano centrifugati a chilometro zero chini sui loro Macbook. O meglio, è qui che dovrebbero scrivere se il terrore della pagina bianca non li paralizzasse. Ma scrivere è solo metà del lavoro per un aspirante scrittore. Ci sono le presentazioni e le feste, gli eventi letterari e i lanci delle riviste a cui presenziare. Mani da stringere. Biglietti da visitare da archiviare. E poi telefonate, drink, abboccamenti a mezza voce, pacche sulle spalle. Non per niente sono tanti oggi quelli che decidono di mollare tutto e impiegare diversamente energie e risorse economiche, lasciando la città per concentrarsi esclusivamente sulla scrittura, stabilendosi ad appena mezz’ora di treno, o magari in località sperdute dove l’unico modo per rifornirsi di libri è affidarsi ai corrieri di Amazon.

L'ultima fabbrica dei sogni?
Scrittori, agenti, giornalisti, editori, critici, tassisti (sì, tassisti) i nomi che hanno fatto e fanno grande la letteratura americana scorrono sulle pagine di questo libro, quasi a comporre il firmamento di chi oggi conta davvero nell’industria. D’Antona raccoglie le loro voci e le mette a sistema, usando queste storie per raccontarci come funziona l’ultima fabbrica dei sogni della letteratura occidentale. Un viaggio affascinante e tuttavia disincantato, documentatissimo (sono 299 le note, e non saltatele eh, sono importanti, succedono cose lì dentro) ma avvincente come una storia di Topolino. Un libro scritto da un narratore consumato, che ora attendiamo al varco del romanzo. 

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