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Il fantastico "mondo più" di Matteo Renzi

Quando i numeri, i freddi e impietosi numeri, ci dicono che gli indicatori sullo stato di salute dell’Italia sono tutti con il segno più è un pessimo segno. C’è poco da far polemica, da twittare garruli o da azzuffarsi in televisione. C’è piuttosto da fare un sano bagno di realismo, prendere atto che la narrazione che fin qui ci ha propinato il governo era una panzana.

Ci avevano detto, per esempio, che la madre di tutte le credibilità era la «spending review», ovvero la capacità di fare una seria revisione della spesa pubblica. Questa è una dichiarazione fatta dal presidente del Consiglio l’8 aprile 2014: «È evidente che la revisione della spesa va fatta, è una priorità: chi ha preso troppo deve restituire quello che ha avuto alle famiglie che sono sotto i 1.500 euro al mese e che non ce la fanno più». Quest’altra è del 2 settembre 2014: «I tagli non saranno di 17 miliardi (nel 2015, ndr), ma io ne immagino di 20 miliardi».

Tra queste dichiarazioni, oltre ai numerosi miliardi ancora rimasti impigliati nella grande rete dell’annuncite, ci siamo persi per strada il commissario Carlo Cottarelli, il suo piano di tagli e solo adesso, quasi sei mesi dopo l’addio, è stato nominato un sostituto. Qual è la verità certificata dall’Istat? La spesa pubblica è aumentata dello 0,8 per cento nel 2014 e addirittura del 2,6 nell’ultimo trimestre, così che le uscite totali dello Stato sono balzate al 51,1 per cento sul prodotto interno lordo. Alla faccia dei tagli.

La disoccupazione? A febbraio è tornata a salire al 12,7 per cento, quella giovanile è arrivata al 42,6 con un incremento dell’1,3 per cento.

Capitolo fisco: nel quarto trimestre del 2014 la pressione delle tasse ha toccato il 50,3 per cento, così da avere una media del 43,5 nel 2014 con un incremento (poche balle, signori ministri) rispetto all’anno precedente, regnante il tanto vituperato Enrico Letta #staisereno.

Vogliamo parlare di immobili? La scorsa copertina di Panorama («Tassatissima casa») ha preceduto di pochi giorni la diffusione del dato (sempre Istat) sui prezzi delle abitazioni. Anche e soprattutto grazie alla disgraziata tassazione sulle proprietà, lievitata di ben il 107,4 per cento in tre anni come documentato dalla nostra inchiesta (e aumentata addirittura del 178 per cento, se si considera anche il 2014), le case hanno perso il 4,2 per cento del loro valore in un solo anno.

La sindrome del «segno più» ha contagiato ogni atto di questo governo. Tanto da ritenere che la corruzione si possa comodamente combattere aumentando le pene o allungando la prescrizione fino a oltre 20 anni (plastica dimostrazione che la certezza di giustizia in questo Paese è una chimera), per non parlare del giro di vite sul falso in bilancio che rischia di mettere in ginocchio migliaia di piccole e medie imprese, sovraccaricate di altre paure e di altri adempimenti. La narrazione ci dice che d’ora in poi ladri e corruttori avranno vita durissima perché i relativi reati prevedono pene severissime.

Sapete qual è la verità? Che in Italia (dati della Cassazione) nove furti su dieci rimangono impuniti perché le forze dell’ordine non acciuffano i malfattori, non perché i colpevoli pensano di cavarsela con pene irrisorie. Se così fosse non dovrebbero esserci delitti in quei Paesi dove è prevista la pena di morte. L’aumento delle condanne è quindi una solenne e inutile presa in giro da sbattere demagogicamente in faccia ai cittadini. Gli stessi che, tra tanti «più», si accorgono di non farcela più.

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