Paul Misener, il numero uno dell’innovazione del colosso fondato da Jeff Bezos racconta a Panorama quali sono le sfide future del gruppo. E di come anche i big – a volte – sbagliano. Così nascono le buone idee come il «cloud computing»…
Amazon non fa solo ecommerce. Il colosso di Jeff Bezos, con la controllata Amazon web services (Aws) lanciata nel 2006, ha portato l’information technology delle aziende sulla cosiddetta «nuvola». Di cosa stiamo parlando? Del cloud computing, che è diventato fondamentale per la nostra vita digitale soprattutto ai tempi del coronavirus. L’espressione deriva dall’inglese cloud, «nuvola» e consiste nella distribuzione di servizi informatici on demand attraverso la rete internet, con una tariffazione basata sul consumo e non sul possesso. Così, anziché acquistare e mantenere server fisici in azienda, è possibile accedere a servizi tecnologici affidandosi a un fornitore esterno come Aws. Per i privati, questo si traduce in una serie di servizi che alleggeriscono i computer domestici da quantità di dati che possono essere conservati con maggiore sicurezza in rete. Per le aziende, invece, implica una diversa organizzazione dei processi di lavoro, visto che può mettere in connessione punti molto distanti nel mondo con pochi clic, e accedere a una capacità di calcolo e di immagazzinamento di dati quasi infinita.
Ormai il cloud è entrato nell’agenda dei governi, centrali e periferici. Per sfruttare le tecnologie avanzate, per esempio, la Regione Lombardia potrà disporre di una nuova infrastruttura fornita da Aws che ha scelto l’area di Milano per l’apertura della sua prima «Region»: un gruppo di data center multipli che saranno attivi nel 2020, permettendo ai clienti di gestire le applicazioni e archiviare i dati in Italia. Ma il cloud è entrato anche nelle case degli italiani costretti improvvisamente allo smart working, ovvero a lavorare da remoto per la chiusura di uffici e negozi imposta dall’emergenza epidemica, come spiega Paul Misener, vice presidente di Amazon, con delega all’innovazione e 20 anni di esperienza nel colosso di Bezos, in questa intervista in esclusiva a Panorama.

Quali sono i vantaggi del cloud per le aziende e quali sono le prossime sfide per l’innovazione ai tempi del coronavirus?
Il cloud computing è nato per ridurre i costi di aziende, organizzazioni non profit e agenzie governative che in precedenza erano responsabili dell’acquisto delle attrezzature necessarie hardware e software per archiviare e proteggere tutti i loro dati. Pertanto, era logico affittare la larghezza di banda informatica e l’archiviazione, piuttosto che costruire e mantenere strutture autonome. Questo è esattamente ciò che offre Aws. Utilizzare i servizi cloud significa la fine dei costi per le nuove apparecchiature e tutte le ore di lavoro necessarie per la loro manutenzione. Così c’è più tempo per concentrarsi sulle idee, focalizzarsi su come differenziare il proprio business.
Lei è un veterano di Amazon, dove ha passato gli ultimi vent’anni. Com’è cambiata la cultura dell’innovazione negli ultimi anni?
La chiave dell’innovazione è sempre stata e continua a essere la sperimentazione e per sperimentare occorre anche fallire. Ad Amazon abbiamo una grande esperienza in fallimenti, abbiamo fallito tante volte, a volte pubblicamente, altre volte in privato. In molt casi non abbiamo centrato l’obiettivo e continueremo a farlo. Come nel caso delle aste di Amazon.com, una rivale della prima ora di eBay, e quello di zShops, dei mininegozi dentro il sito Amazon. Da quelle esperienze fallimentari, tuttavia, abbiamo tratto una lezione importante, che ci ha consentito di sviluppare Amazon Marketplace, cioè l’idea di consentire a altri di vendere tramite Amazon. Adesso la metà di ciò che è venduto su Amazon è il prodotto di piccole e medie imprese indipendenti. Con noi si è sviluppato un nuovo tipo di clientela, i clienti venditori. È stata questa propensione al fallimento unita alla capacità di aggiustare le cose in corso d’opera che ci ha fatto imboccare strade alternative di business.
Si punta al successo, ma non si demonizza l’insuccesso. Lezione importante, in tempi così difficili. Eppure a nessuno piace fallire…
Certo, ma se accetti il fatto che fallire è necessario per innovare, diventa molto più facile gestire i fallimenti. Nelle lezioni a scuola, il tuo insegnante sa quale deve essere l’esito di un esercizio, e tu sai quale dovrebbe essere l’esito. La ragione? Non stai facendo un esperimento, stai riproponendo un esperimento che è stato fatto decine, forse centinaia di anni fa. Se sei preoccupato di far coincidere l’esito di qualcosa con quello che ti auguri debba essere, non stai sperimentando. Se non cerchi di sperimentare non innoverai mai e se vuoi sperimentare devi sapere che puoi fallire. Le faccio un altro esempio, pensiamo allo sport. Al calcio. Se il Milan gioca contro una squadra di bambini di cinque-sei anni è chiaro che quest’ultima perderà. Ma i bambini avranno comunque giocato contro il Milan, imparando dalla sconfitta. E ne potranno far tesoro.