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Enrico Letta, l'ultimo colpo di coda di Bersani

Enrico Letta, dunque. Toccherà a lui, al vice di Pierluigi Bersani, il compito di formare il “governo del presidente”. O, almeno, di provarci. Perchè ancora non sappiamo se le scosse che i sismografi politici continuano a segnalare all’interno del Pd preannunciano un terremoto vero e proprio, di una forza tale da far saltare anche Letta; o se, invece, sono soltanto scosse di assestamento, dopo la Caporetto che ha portato alle dimissioni in blocco della segreteria del partito. Ma intanto, c’è da dire del colpo di coda: proprio mentre se ne sta andando, nel braccio di ferro che c’è stato nelle ultime 24 ore tra il Pd e il Quirinale, per quanto emotivamente provato e politicamente menomato, Bersani è riuscito a imporre a Re Giorgio quello che voleva, ma che non era affatto scontato che potesse ottenere. E cioè, che l’incarico fosse affidato a un dirigente del Pd; e fra tutti i dirigenti, proprio a quello da sempre più vicino al segretario. Non è un mistero che il presidente della Repubblica abbia sostenuto fino all’ultimo secondo l’amico Giuliano Amato.

Se fosse stato lui il prescelto, per quanto dotato di notevole statura politico-intellettuale, di grande esperienza politico-istituzionale e di forte caratura internazionale, per il Pd la débacle sarebbe stata totale. Nell’immaginario dell’opinione pubblica democratica, il “Professor sottile” è il vecchio socialista amico di Bettino Craxi e il presidente del Consiglio che nel 1992 prelevò un bel po’ di soldi dai conti correnti degli italiani. Poco conta se quella decisione contribuì a salvare la lira, resta il pregiudizio ormai profondamente radicato del “furto” attuato nottetempo. E poi è un politico della Prima Repubblica, ormai in viaggio verso gli ottanta. Si dirà: ma un quasi novantenne di sana e robusta costituzione poltico-istituzionale è stato appena richiamato in servizio, vista l’incapacità della generazione dei quarantenni e cinquantenni. Sì, uno va bene. Ma due, sarebbe stato troppo, hanno pensato al Pd: si sarebbe data l’idea di una Repubblica di gerontocrati, mentre l’opinione pubblica chiede a gran voce un ricambio. L’argomento ha una sua forza. Ed è proprio grazie a quella che alla fine è passato Letta.

LA CARRIERA
Classe 1966, dunque 47 anni: potrebbe essere, se ce la farà, uno dei presidenti del Consiglio più giovani della storia politica italiana. Quasi un ragazzino, tenuto conto dell’età media dei governanti a cui eravamo abituati. Ma non certo un pivellino. Perchè Letta ha già il suo bel curriculum. Cattolico, di origine democristiana, è stato ministro per le politiche comunitarie nel primo governo presieduto da Massimo D’Alema, tra il 1998 e il 1999. Poi ministro dell’Industria nel secondo governo D’Alema, tra il 1999 e il 2001. E infine, sottosegretario alla presidenza del Consiglio nell’ultimo governo di Romano Prodi, tra il 2006 e il 2008. E anche anche all’interno del Pd non è certo l’ultimo arrivato. Con Bersani ha condiviso almeno un quindicennio di esperienza politica. Quando la scena era dominata ancora dai Prodi, dai D’Alema e dai Walter Veltroni, il “ticket” Bersani-Letta era già previsto nel futuro del partito. E poi, quando la previsione si è avverata, i due si sono insediati sul trono democratico. E anche questo storico sodalizio con Bersani, alla fine ha pesato: perchè non è un caso che la delegazione democratica abbia portato a Napolitano il nome di Letta.

Ma il giovane-quasi-certo-nuovo premier ha ancora un paio di  argomenti che hanno fatto la differenza rispetto ad altri pretendenti del Pd, per esempio Matteo Renzi. Certo, Letta non ha l’immagine pubblica del sindaco di Firenze e neppure il suo appeal mediatico. Ma è il nipote di Gianni Letta, un’eminenza grigia della politica italiana nonchè uno dei più ascoltati consiglieri di Silvio Berlusconi. Il che non guasta visto che il rapporto di parentela ha già funzionato nella rielezione di Napolitano, e può funzionare ancora meglio ora che bisognerà  formare un governo di “larghe intese”. E poi, visto che da noi, quando un giovane si affaccia sulla scena con ambizioni di governo, per bruciarlo, scatta la domanda di rito: ma ce lo vedi a colloquio con Obama o con la Merkel?, nel curriculum di Letta (Enrico) c’è anche una risposta per questa domanda. Basti vedere le istituzioni di cui è membro. Il Bilderberg, il più esclusivo club per l’elite internazionale. La Trilateral europea, emanazione del Bilderberg. E infine, l’Aspen Institute, un organismo americano che ha come obiettivo quello di «incoraggiare le leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo».

Se sono titoli di merito o meno, ognuno lo può giudicare dal proprio punto di vista. Di sicuro, sono chiavi in grado di aprire molte porte anche sulla scena internazionale.

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