Eltif, il nuovo modo per finanziare le Pmi

Far arrivare risorse finanziarie direttamente alle piccole e medie imprese italiane, troppo spesso trascurate dalle banche, è il «pallino» di ogni governo. Tra il 2017 e il 2018 ci hanno pensato i Pir, i Piani individuali di risparmio, raccogliendo e convogliando verso aziende di taglia media oltre 17 di miliardi di euro. Ora il testimone passa agli Eltif, acronimo di European long term investment fund, secondo gli esperti un’ottima alternativa ai Pir.

Ma andiamo con ordine. Gli Eltif, recepiti dal nostro ordinamento nel febbraio 2018, sono fondi europei chiusi dedicati alle Pmi e con un orizzonte temporale di lungo termine. Almeno il 70 per cento del loro patrimonio deve essere investito in azioni e obbligazioni di società non finanziarie, non quotate oppure se quotate, con una capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro.

L’altro 30 per cento, invece, può essere diretto verso attività diverse dagli investimenti a lungo termine. Però, com’è avvenuto con i Pir, per spingere sulla raccolta serve un incentivo fiscale. E se sarà accolto l’emendamento inserito nel decreto Crescita dal leghista Giulio Centemero, i sottoscrittori ne avranno ben due, probabilmente messi in campo in momenti diversi: prima l’esenzione dei redditi da capitale (come per i Pir) e in futuro anche una detrazione ai fini Irpef del 30 per cento della somma investita dalle persone fisiche.

Se poi il vantaggio fiscale sarà allargato all’Ires, gli Eltif faranno gola anche alle persone giuridiche e agli investitori istituzionali. «Gli Eltif sono strumenti efficaci per finanziare le Pmi e particolarmente adatti agli investitori professionali» sottolinea Vincenzo Polidoro, amministratore delegato della holding di partecipazione finanziaria First capital. «Trattandosi di fondi chiusi è il gestore che decide quando uscire dall’investimento in base al regolamento e in questo caso la durata è fissata in almeno cinque anni».

L’ufficio studi di Equita stima che gli Eltif potrebbero raccogliere 7-8 miliardi sulla falsariga dei numeri registrati in Gran Bretagna dai Venture capital trust, che hanno centrato una raccolta di 7,7 miliardi di sterline solo sul mercato retail. «E le nostre stime» avvertono da Equita «sono conservative in quanto non tengono in considerazione il potenziale upside del canale delle persone giuridiche. Gli Eltif, infatti, rappresentano un’interessante opportunità d’investimento per fondi pensione e assicurazioni. Pensiamo che queste agevolazioni possano stimolare la comparsa di nuovi fondi specializzati sulle Pmi, migliorare la liquidità delle small-mid cap e convogliare capitale verso investimenti di lungo termine».

In parte quest’obiettivo era stato centrato dai Pir che però nella nuova versione 2.0 faticano a ripartire, bloccati dal doppio vincolo d’investire il 3,5 per cento del capitale in società quotate sul listino Aim e un altro 3,5 per cento in fondi di venture capital. Per questo gli Eltif, se abbinati a un bonus fiscale, sono la risposta che i gestori di fondi comuni attendono per rilanciare la raccolta. In tanti si augurano, oltre a un ritorno alla prima versione dei Pir, una veloce partenza degli Eltif. «A me piacciono molto perché in teoria danno la possibilità di investire in asset meno liquidi» ha sottolineato Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum, tra i big della raccolta sui Pir, «il che vuol dire avere un investimento che deve rimanere lì, ma che potenzialmente può offrire un ritorno più interessante».

Per ora gli operatori aspettano il legislatore, ma una pattuglia di società di risparmio gestito è già partita. Si tratta di Eurizon (Intesa SanPaolo), che ha lanciato il suo Eltif con una soglia minima d’ingresso di 100 mila euro, in linea con quello che ha fatto la piattaforma October, mentre Amundi e Muznich hanno ridotto il biglietto d’ingresso a 10 mila euro e Kairos dovrebbe attestarsi a 30 mila. Se sono incentivi, fioriranno.

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