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(iStock)
Cyber Security

La didattica a distanza sotto attacco hacker

Quando le ricerche di due diversi operatori in tema di cybersecurity convergono è una interessante coincidenza. Acronis e Kaspersky, infatti, segnalano una crescita sostanziale degli attacchi indirizzati alla didattica a distanza. Kasperky ha rilevato nel mese di gennaio un aumento del 60 per cento delle minacce indirizzate a questo specifico target nel mese di gennaio del 2021, mentre Acronis indica un incremento delle attività di phishing con messaggi che richiedono una valutazione dei docenti.

Si tratta di dati che hanno risvolti inquietanti perché dicono a ogni genitore che il proprio figlio potrebbe essere entro breve termine una vittima di un attacco informatico. Detto questo vorrei passare da numeri globali, tanto "freddi" da farci pensare che "tanto a noi certe cose non succedono", a qualcosa di così particolare che potremmo fare una riflessione molto simile.

Pochi giorni or sono le case di due quattordicenni sono state perquisite e i dispositivi elettronici sequestrati perché sospettati di avere disturbato una videoconferenza della Comunità ebraica di Venezia con offese e minacce antisemite. Gli inquirenti sono rimasti sconcertati perché i due indagati sono "al sopra di ogni sospetto". Ragazzi normali di famiglie normali.

A questo punto potremmo porci molte domande, ma quella fondamentale è la più difficile da scoprire. Sarebbe lecito chiederci perché nessuno intervenga per mettere al sicuro le piattaforme sulle quali i giovani studiano da ormai un anno. Un'altra domanda potrebbe riferirsi all'educazione dei giovani in senso più ampio, perché sembra non sia ancora passato il concetto che il nazismo è stata una aberrazione del popolo tedesco che per quasi quindici anni lo ha posto al di fuori del consesso dei popoli civili.

La mia domanda, invece, non riguarda le responsabilità di chi dovrebbe vigilare e non ci riesce e nemmeno chi dovrebbe istruire, spiegando quello che la storia ha reso evidente, ma incontra evidenti difficoltà. Piuttosto la questione è rivolta a chi dovrebbe capire come esistono dei problemi enormi legati all'utilizzo delle tecnologie dell'informazione, ma sembra non averne la benché minima idea.

I freddi numeri ribadiscono da mesi che la didattica a distanza è un obiettivo, che un caso di cronaca come quello della Comunità ebraica di Venezia non è isolato, come è piuttosto frequente che i protagonisti del reato siano minorenni. Quindi la domanda difficile questa volta non riguarda il "come" e neppure il "perché", ma il "chi". Molto semplicemente: chi deve fare in modo che la prossima generazione sia in grado di utilizzare le tecnologie dell'informazione in modo consapevole?

Badate bene che il termine consapevole ha molti significati. Il primo è quello di essere informato di un fatto (i nostri figli sanno che sono potenziali vittime di un crimine); il secondo di avvertimento di un rischio (i nostri figli sanno che certi comportamenti sulla rete sono reati); il terzo di avere coscienza di un atto (i nostri figli sanno quello che fanno quando sono in rete). Adesso inizia la parte complicata perché avete capito che la domanda era difficile, ma la risposta è fin troppo facile.

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