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(Ansa)
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Corvo e veleni: è bufera sul tribunale dei dossier

Nonostante le truppe cammellate con penna e taccuino scese in campo per sedare le colonne di fumo che si stanno alzando dal Tribunale di Perugia, la situazione è peggiore di quanto vi abbiamo raccontato sino ad ora. Infatti nella storia di oggi spuntano pure un «corvo», raccomandazioni inviate all’ex ras delle nomine Luca Palamara per una promozione sorprendente e una nuova toga rossa al centro di sospetti e veleni. Notizie che convinceranno ancor di più chi deve intervenire a farlo. Vista anche l’imbarazzante difesa mediatica messa in campo ieri a favore della Procura da testate sempre ben informate sulle inchieste di Perugia, ma mai indagate per le fughe di notizie, al contrario di altri giornali. Il nuovo capitolo parte dal procedimento penale aperto nei confronti di Raffaele Guadagno, l’ex cancelliere che, a dicembre, ha patteggiato una pena lieve (1 anno e 2 mesi) per un massiccio accesso abusivo alla banca dati dei procedimenti penali. Poi è andato in pensione, permettendo di chiudere la vicenda in modo tombale e senza ulteriori strascichi, nonostante gli stretti rapporti intrattenuti persino con i pm che lo hanno indagato e la frequentazione di decine di giornalisti, usciti tutti indenni dall’inchiesta.

Relazioni pericolose su cui il procuratore generale di Perugia, Sergio Sottani, ha deciso di accendere in faro, mentre il deputato di Azione Enrico Costa, ieri, ha scritto su X: «Penso che l’invio di ispettori da parte del ministro della Giustizia in una Procura dove si è verificata (a detta degli stessi pm) un’enorme fuga di dati sensibili, sia un atto inevitabile e urgente. Se Carlo Nordio non li ha inviati ci sarà un motivo. Sarebbe interessante conoscerlo». E noi siamo curiosi come il parlamentare. Non vorremmo che la causa del mancato intervento fosse un’inchiesta favorevole a un ministro dell’attuale governo.

Ma procediamo con ordine.

LE CARTE NEL PC

Nel computer sequestrato l’11 luglio 2022 al cancelliere sono stati trovati anche gli atti di un procedimento penale fiorentino a carico di due magistrati di Perugia: l’ex presidente della sezione fallimentare del Tribunale Umberto Rana, attualmente alla sbarra con l’accusa di corruzione in atti giudiziari e falso, e la compagna pm Manuela Comodi (prosciolta dalle iniziali accuse). Gli stessi di cui ci siamo occupati lunedì nel pezzo intitolato «Il verminaio delle toghe rosse» (la coppia è stata per anni legata alle correnti progressiste di Area e di Magistratura democratica). Nel pc di Guadagno c’erano anche gli incarichi conferiti e i decreti di liquidazione dei compensi firmati da Rana a favore dell’agronomo Maurizio Refrigeri, marito di Maria Carla Giangamboni, presidente della sezione penale del Tribunale di Perugia, altra esponente di spicco di Area.

Giangamboni è il personaggio chiave della nostra storia, uno dei giudici più alti in grado a Perugia. La sua nomina al prestigioso incarico è stata richiesta dal pm Paolo Abbritti quando era il proconsole di Palamara in Umbria ed era uno degli enfant prodige della corrente centrista di Unicost. In una chat del 12 marzo 2018 l’ex consigliere del Csm scrive ad Abbritti: «Mi ricordi i nomi pst Perugia?», dove «pst» sta per presidente di sezione del tribunale, e Abbritti risponde: «Giardino (indipendente, ma eccezionale) pst sezione fallimentare, Matteini (Unicost) pst civile ordinario, Giangamboni (Area) pst penale». In pratica, in quel momento, un pm chiede un avanzamento di carriera per il giudice che dovrà decidere la sorte delle proprie inchieste. Da notare che la Giangamboni ha trattato, quale presidente del collegio, proprio il processo per corruzione nei confronti di Palamara.

Non è chiaro perché l’ormai celebre cancelliere, che ha annunciato la stesura di un esplosivo mémoire, conservasse quelle carte.

IL «CORVO» FIORENTINO

Ed eccoci al «corvo». Spunta nella fase embrionale del succitato procedimento toscano. Il 12 aprile 2017 giunge a Firenze un esposto firmato da tal Mario Rossi. Le indagini dimostrano quasi subito che l’autore altro non è che un nom de plume e per questo le importanti notizie contenute nella sua denuncia finiscono necessariamente nel cestino. Nel suo scritto Mario Rossi spiega che uno dei consulenti maggiormente nominati dal giudice Rana è «il dottor Maurizio Refrigeri». E aggiunge: «Proprio quest’ultimo, cosa ancora più grave, risulta essere il coniuge della dottoressa Giangamboni, Gip presso il Tribunale penale di Perugia, nonché fratello della dottoressa Cristiana Refrigeri che può annoverare numerosi incarichi presso la sezione esecuzione immobiliare e proprio in concomitanza in cui la predetta era assegnata con qualifica di cancelliere presso detto ufficio». Quindi la cognata della Giangamboni altro non è che una collega di Guadagno.

Nel suo esposto anonimo il signor Rossi puntualizzava anche che il marito del giudice, l’agronomo Refrigeri, «già in passato, nell’ambito dell’inchiesta denominata “vitelli d’oro” ha prestato incarico di consulenza d’ufficio a favore della Procura» e che «il Gip che ha trattato siffatto procedimento era proprio la moglie». Un’insalata di conflitti di interesse che appariva decisamente indigesta. Il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco, il 12 giugno 2017, delega accertamenti preliminari alla polizia giudiziaria anche sui giudici Giangamboni e Rana, oltre che sul misterioso scriba senza volto. Chiede informazioni sulle proprietà (mobiliari e immobiliari) e sui redditi dichiarati, i loro numeri di telefono e i tabulati dell’ultimo anno «al fine di verificare se risultino frequentazioni tra gli stessi». Per il magistrato è rilevante sapere se Rana e Giangamboni, colleghi presso il piccolo Tribunale di Perugia, abbiano rapporti di amicizia. Il 26 luglio 2017 la Squadra mobile comunica le utenze dei professionisti al centro della denuncia, tra cui quelle di Rana, Giangamboni e Refrigeri, ma deve dichiarare l’inesistenza di Mario Rossi. A questo punto l’indagine si interrompe, essendo la notitia criminis contenuta in un esposto anonimo. L’inchiesta riparte un anno e mezzo quando il «proconsole di Palamara» Abbritti e il collega Mario Formisano, amico di Guadagno e suo futuro inquisitore (in possibile conflitto d’interesse, secondo la Procura generale), trovano un provvidenziale testimone, un commercialista che racconta che Rana gli avrebbe chiesto dei soldi in cambio di consulenze, mazzette che il professionista non avrebbe accettato di consegnare. Con in mano un simile asso i due pm, soprannominati dalla Comodi Cip e Ciop, stilano alcune decisive relazioni di servizio, trasmesse, il 16 gennaio 2019, dal loro capo Luigi De Ficchy a Firenze e qui riunite al precedente procedimento, avviato nel 2018.

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