Usa e Cina tornano a parlarsi. Ed è già tanto (o poco)

Non sembrano essersi registrate svolte eclatanti durante il faccia a faccia, tenutosi ieri a San Francisco tra Joe Biden e Xi Jinping.

Il risultato più concreto risiede probabilmente nel fatto che i due leader hanno stabilito di ripristinare le comunicazioni ad alto livello tra i due Paesi soprattutto nel settore militare. “Siamo tornati a una comunicazione diretta, aperta, chiara”, ha dichiarato Biden. Ulteriore risultato rilevante riguarda il fatto che Xi avrebbe acconsentito a ridurre l’esportazione dei componenti chimici utilizzati per produrre il fentanyl: un elemento, questo, che il presidente americano potrà rivendicare come una vittoria in politica interna.

Altre intese raggiunte si sono invece rivelate maggiormente aleatorie. I due leader hanno concordato di tenere dei colloqui sull’intelligenza artificiale e di rilanciare la cooperazione climatica, guardando soprattutto al settore delle energie rinnovabili. A ben vedere, si tratta di risultati ben poco concreti, che hanno probabilmente uno scopo più legato alla comunicazione che alla politica.

D’altronde, sui dossier maggiormente spinosi la distanza è rimasta pressoché intatta: a partire da Taiwan. Il presidente cinese ha detto di auspicare una “riunificazione pacifica”, mentre Biden – pur sottolineando di voler mantenere la politica dell’unica Cina – ha invocato la pace e la stabilità nella regione. “Guarda, la pace va bene, ma a un certo punto dobbiamo muoverci verso una risoluzione più generale”, ha replicato Xi, che si è anche lamentato del fatto che Washington continui a rifornire di armi il governo di Taipei.

La distanza tra i due leader è anche emersa sulle restrizioni commerciali legate soprattutto al settore dell’alta tecnologia. Xi ha sostenuto che le sanzioni americane “hanno seriamente danneggiato i legittimi interessi della Cina”. “Sopprimere la tecnologia cinese equivale a contenere lo sviluppo di alta qualità della Cina e a privare il popolo cinese del suo diritto allo sviluppo”, ha inoltre dichiarato il leader cinese.

Infine, ma non meno importante, una certa freddezza si è registrata anche sulla crisi mediorientale. Biden ha chiesto a Xi di fare pressioni sull’Iran per scongiurare un’escalation. Secondo quanto riferito da un funzionario americano all’Associated Press, davanti a questa richiesta, Xi si sarebbe limitato ad ascoltare, ma non avrebbe fornito dettagli sulle mosse che avrebbe eventualmente intenzione di intraprendere rispetto a Teheran. Non dobbiamo d’altronde dimenticare che la Cina ha tutto l’interesse a vedere indebolita l’influenza americana sul Medio Oriente. Non è dunque chiaro se abbia realmente senso che Biden cerchi di coinvolgere Pechino nella risoluzione della crisi israeliano-palestinese.

Insomma, sulle questioni concrete di passi avanti ieri ce ne sono stati pochi. Inoltre, il presidente americano, dopo il colloquio, è tornato a definire Xi un “dittatore”. Segno che l’attuale amministrazione americana sul dossier cinese continua a essere spaccata al suo interno tra chi auspica severità su diritti umani e minacce geopolitiche cinesi e chi, di contro, preme per una distensione finalizzata a soddisfare esigenze economiche e di cooperazione climatica. Una linea, quest’ultima, portata avanti soprattutto dal segretario al Tesoro, Janet Yellen, e dall’inviato speciale per il clima, John Kerry.

Il problema è che Biden non sembra in grado di elaborare un’efficace sintesi tra queste posizioni contrastanti. E i magri risultati del vertice di ieri stanno lì a dimostrarlo. L’attuale Casa Bianca sta trasmettendo all’esterno un senso di indecisione e irresolutezza. Un elemento che rischia pericolosamente di rendere Pechino sempre più baldanzosa.TUTTE LE NEWS DAL MONDO

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