Marco Bucci candidato sindaco per il centrodestra con il simbolo della lista civica a lui collegata, Genova, 15 maggio 2017. ANSA/LUCA ZENNARO
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Bucci, il marziano vuole diventare sindaco di Genova

«Passion and courage». Sulla parete davanti alla sua minuscola scrivania, Marco Bucci ha voluto imprimere a lettere cubitali e colorate il motto della vita: passione e coraggio. Per trent’anni è stato manager di multinazionali come 3M, Kodak e Carestream. Ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, accumulando incarichi e onori. A fine 2015, il testacoda: rinuncia a uno stipendio favoloso per lanciarsi, in cambio di pochi denari, nell’improvvido. Diventa amministratore unico di Liguria digitale, malconcio baraccone regionale. La società, in poco più di un anno, rinasce. E Bucci, lo scorso marzo, trasferisce l’azienda sulla collina di Erzelli, il parco tecnologico della città, all’interno di laboratori ispirati alla Apple di Cupertino. Così il centrodestra, visibilmente impressionato, decide di lanciarlo nell’agone: candidato sindaco di Genova, mai espugnata roccaforte della sinistra.

Nella declinante Superba, come decantava Petrarca, Bucci è un marziano. Di mattina presto, zainetto in spalla e giacca chiusa fino all’ultimo bottone, comincia a battere la strada: zompa da un’autobus all’altro, stringe mani, si intrattiene con tutti. Puntualissimo, iperefficente e avulso alla politica. Scusi, giusto per chiarire, ma lei è di simpatie leghiste o forziste? «Non capisco nemmeno cosa intenda» risponde stranito. «Contano le persone, non i partiti». Ma lei è almeno di centrodestra? «Se si riferisce a valori come libertà, efficienza, professionalità ed efficienza, allora sì: sono di centrodestra» concede paziente l’ex caposcout, lisciandosi la barba grigia.

Il marziano riparte. Dal Porto Antico si inerpica per via San Lorenzo: «Guardi questa via! Indecente...». Quindi? «Quindi basta illegalità: spaccio, abusivismo, mercati non autorizzati, immigrazione clandestina. Serve tolleranza zero». Suggerimenti? «Vigili di quartiere e più forze dell’ordine». Avanti: «Seconda cosa: la pulizia. È inaccettabile questa sporcizia». Colpa degli immigrati, sostiene parte della sua coalizione: «Piuttosto dell’amministrazione. Ma sono sicuro che in un anno si potrebbe tornare alla normalità. Ogni angolo deve diventare sicuro, per i turisti e gli abitanti».   

In cima a via San Lorenzo, comincia ad ansimare. È appassionato alpinista, ma i carruggi sono irti: «Dopo aver ripristinato legalità e pulizia» boccheggia  «incentiveremo il commercio, gli investimenti e le ristrutturazioni del centro storico. Snelliremo la burocrazia e daremo aiuti fiscali». Ci sarebbe anche l’eterno tema del water front: Renzo Piano ha presentato un progetto di riqualificazione. «Ne terremo conto. Ci sono dodici chilometri, fino a Nervi, che bisogna percorrere a piedi e in bicicletta: i genovesi si devono riappropriare del mare».

La città sembra però atrofizzata. Le ricette salvifiche potrebbero insospettire: «Sono sicuro di essere la persona giusta» replica Bucci. «Ho gestito aziende, progetti e migliaia di persone. E aiutare Genova era il mio sogno. Visione, strategia, piano d’azione e realizzazione: so come si fa ad andare in fondo. Restano solo da vincere le elezioni...». Impresa che però sembra meno improba del previsto. Il manager, da outsider della vigilia, si è pericolosamente trasformato in favorito. Il Movimento 5 stelle, impelagato in una surreale guerra legale, potrebbe rinunciare a correre. Mentre il centrosinistra punta sull’assessore ai Lavori pubblici, l’ex comunista Gianni Crivello, che si definisce, con ammirevole onestà intellettuale, «un buon numero due».

In attesa del 42 per Sturla, sotto la pensilina di via Dante che lo ripara da una fugace pioggerellina primaverile, Bucci spiega: «L’elettore s’è stufato: ha visto una città decadere e vuole risollevarla. Nessuno punta a conservare l’esistente. E il nostro programma è il più affascinante e concreto». Il candidato del centrodestra l’ha riassunto in cinque punti di berlusconiana memoria. I «key points», li chiama il manager: lavoro, sicurezza, trasporti, semplificazione e ambiente. «La priorità è il lavoro» chiarisce. La promessa è ambiziosa: «Trentamila posti in cinque anni». Marco Doria, sindaco in carica, lo rintuzza evocando una réclame di mezzo secolo fa: «Cala, cala, cala, Trinchetto».

Il marziano non raccoglie. Paziente, riformula: «Seimila impieghi l’anno: una crescita del 3 per cento. Mi sembrano numeri realistici, se le cose ripartono. Logistica portuale, turismo e hi-tech: abbiamo progetti e contatti avviati. Bisogna convincere le aziende a venire qui, come ho fatto io». Si riferisce all’apertura nel 2011 della sede europea di Carestream Health, multinazionale della tecnologia applicata alla sanità, allora guidata da Bucci. Negli uffici del Porto antico ora lavorano 230 persone. «Qui ci sono vantaggi innegabili: qualità della vita, basso costo della manodopera, stipendi più bassi del 15 per cento rispetto a Milano, immobili in saldo, università di valore...».

Scende alla fermata di piazza Palermo, dove c’è il mercato settimanale più grande di Genova. Dopo qualche minuto arriva Edoardo Rixi, assessore allo Sviluppo economico della Regione Liguria, plenipotenziario della Lega, già candidato a sindaco cinque anni fa. Insieme al governatore della Liguria, Giovanni Toti, ha voluto Bucci alla guida di Liguria digitale. Leggenda narra: di fronte alla prospettiva di guidare un baraccone in cambio di 35 mila euro annui, il potente e strapagato manager avrebbe prontamente risposto: «Mi date il tempo di andare in America e dimettermi?». Rixi conferma l’aneddoto. «Era un’azienda appaltata alla politica, a rischio chiusura. Lui ha ridato visione e obiettivi. Ha avviato progetti all’avanguardia nella sanità e nel turismo. Il fatturato è aumentato del 7 per cento e la società ha assunto 25 persone. Perfino i sindacati di sinistra gli riconoscono meriti. Un risanamento che potrebbe replicare con le partecipate del Comune, che sono la prima azienda della Liguria per dipendenti».    

Bucci intanto continua a stringere mani tra le bancherelle di piazza Palermo. «Come va?» domanda agli ambulanti. «Cosa possiamo fare per aiutarvi?». Rixi prosegue: «Il suo sogno era riuscire a metter in pratica nella sua terra quello che ha imparato in giro per il mondo». Bucci, intanto, dopo aver consolato un’anziana che gli ha mostrato le ginocchia sbucciate dopo una caduta alla fermata del 39, riemerge dalla calca. Raggiunge la fermata più vicina, in attesa dell’autobus per tornare in centro. Guarda il biglietto appena comprato: «Un euro e 50: abbiamo i trasporti più cari d’Italia. Così come i parcheggi:  due euro e 50 all’ora. Li metterò invece a un euro, o poco più. Stop. Non faccio margine sulle tasse dei cittadini. Sono loro i nostri azionisti. E già pagano 2 mila euro all’anno di tasse. Una partecipata deve avere utili di migliaia di euro, non di milioni».

Risale sull’autobus. Arrivato in centro, incontra in un bar gli alleati di Fratelli d’Italia. Poi di nuovo nel labirinto dei caruggi. Il marziano cammina spedito: camicia azzurra, completo blu, cravatta in tinta con la scritta Femmo tornâ Zena superba. Slogan che sembra mutuato da quello di Donald Trump: «Facciamo tornare grande l’America». L’analogia incuriosisce Bucci. Procede con aria sorniona verso via Garibaldi. Davanti al Comune, incontra Doria, sindaco uscente. Da giorni si punzecchiano. De visu però non traspare imbarazzo: qualche convenevole e poi il candidato del centrodestra riprende a marciare. Nella sede di Confindustria incontra una ventina di imprenditori. Si parla di rifiuti. Anche lì, la città arranca: la differenziata è appena al 38 per cento. «Bisogna portarla almeno al 60» assicura il candidato, continuando a impilare numeri a promesse.   

Piazza De Ferrari, quattro del pomeriggio. L’appuntamento con Toti è alla Regione. Il governatore ligure, eletto due anni fa, segue passo dopo passo la campagna elettorale. Toti sa di giocare una mano decisiva. «Vincere anche a Genova sarebbe la dimostrazione lampante che l’alchimia funziona. È come la prova del nove nelle moltiplicazioni: il modello Liguria esiste e non è così difficile replicarlo». In verità il centrodestra altrove non sembra così unito. «La voglia di vincere e governare deve essere superiore all’egolatria dei singoli: ognuno deve rinunciare a qualcosa per il disegno comune. In Liguria contano meno i partiti della coalizione. Per questo siamo riusciti a fare riforme epocali: apertura della sanità ai privati, protezione civile, formazione professionale, case popolari gli italiani. Il programma di Genova lo stiamo costruendo su quello delle Regionali».

Interviene Bucci: «Sa come dicono gli americani? Stars are aligned». Occhiataccia: da settimane continuano a ripetergli di limitare gli inglesismi, per non spaventare i maniman, i tipici genovesi avversi al nuovismo. «Vuol dire: le stelle sono allineate» traduce il manager. «Se vincessi io, ci sarebbe una sinergia incredibile tra Regione, Comune e Autorità portuale. Se tutti spingono nella stessa direzione, raggiungere grandi obiettivi diventa più facile». Toti, intanto, riesuma le sua abilità da giornalista televisivo per suggerire migliorie tecniche allo spot elettorale del candidato. Poi riattacca: «La Liguria può diventare la California d’Italia, puntando su turismo, hi-tech, ricerca e sviluppo» ragiona il governatore. «Questa città, dopo la crisi dei colossi di Stato, negli anni 90, non ha creato un modello alternativo. La sinistra ha gestito la decrescita. E Crivello, il loro candidato, rappresenta la continuità: migranti, commercio abusivo, accoglienza a ogni costo. Invece bisogna rifondare. Bucci è la persona giusta. È un uomo del fare: più di quanto dica lui a parole».

Alle 17,30 al Teatro della Gioventù c’è la presentazione della candidatura. Gli offrono un passaggio in macchina, ma il marziano continua a preferire l’autobus: «Sono appena quattro fermate». Nell’attesa dell’ennesima corriera, fa il suo corollario alle parole di Toti: «Posti di lavoro e infrastrutture» rimarca. «E poi la gente arriva: questo può diventare il sobborgo più bello di Milano. Nel 2022 sarà completato il terzo valico. Per arrivare a Milano ci vorranno 45 minuti: allora, piuttosto che vivere ad Abbiategrasso, si potrà decidere di fare il pendolare da Genova che ha mare, sole e cultura. Ed è la città più bella del mondo».

Sembra l’ennesima iperbole. Le mancanza di infrastrutture in Liguria non è uno dei nodi alla marinara che Bucci, esperto velista, esegue a occhi chiusi. È un groviglio, che isola tutto. Guai però a paventare dilemmi. Il marziano ti rimira perplesso. Come se gli ostacoli fossero messi lì apposta per sgranchire gli arti inferiori. Scende dall’autobus. E con usuale anticipo raggiunge la sala, strapiena, del teatro. A intervistarlo è il giornalista Paolo Del Debbio, l’imperatore del populismo mediatico. Un’ora di lazzi e battimani. E quando, alle 19, il candidato si rimette in strada, capisce che un altro pezzo di strada è fatto.

Di sera, l’ultimo impegno della giornata: una cena elettorale di finanziamento organizzata da Change, la fondazione di Toti. Bucci imbocca nuovamente via San Lorenzo, mentre il sole comincia a calare. Ogni posto sa essere bello al tramonto, dopo una giornata di sole. La Superba, forse, un po’ di più. «La genovesità te la porti nel sangue» dice il manager venuto dall’America «così come la famiglia». Sua moglie, che gestisce una storica pasticceria. E i due figli, studenti universitari.

Arrivati in piazza Caricamento, infine, spunta il mare. «Siamo tutti sulla stessa barca: o si va a fondo o in porto. Bisogna lavorare insieme, altrimenti è finita. Ognuno può dare consigli, ma è solo uno che alla fine  decide. E sono io il timoniere giusto per questa città».

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