Bloody Beetroots a Milano, la recensione del concerto

I musicisti italiani più noti al mondo non sono Bocelli, Laura Pausini o le vecchie glorie molto apprezzate in est Europa. A girare club e festival di mezzo mondo , dal Coachella al Rock am Ring, sono tre ragazzi che portano avanti un suono nato a Bassano del Grappa e maturato a Los Angeles: i Bloody Beetroots .

All’Alcatraz suonano davanti ai fan di casa, perciò potete immaginarvi l’accoglienza. Il pubblico è un incrocio tra quello che trovereste a un concerto metal e quello che avrete visto ballare in dj-set techno. C’era il tizio alle mie spalle che, dopo 20 minuti di musica ininterrotta, ha urlato: “Volume!”. C’erano anche quelli che dopo il concerto, di fianco alla mia auto, hanno rinchiuso un loro amico in una valigia.

Non sono mancati un assolo di batteria e un intermezzo rock and roll, in quello che è un martellante rincorrersi di accelerazioni e rallentamenti. Lo spettacolo, diviso in due atti, tira dritto per la sua strada e dà quello che promette.

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