Atene contro Bruxelles: la verità sull’Eurogruppo

Uno strappo senza precedenti. L’Eurogruppo sulla Grecia finisce ancora prima di entrare nel vivo. Il governo di Alexis Tsipras, rappresentato dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e dal vice premier Ioannis Dragasakis, ha rifiutato ogni apertura nei confronti degli altri ministri finanziari dell’area euro, che hanno proposto un’estensione di sei mesi dell’attuale programma di sostegno. E dire che il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, aveva definito quello di oggi come l’ultimo vertice disponibile per raggiungere un accordo fra Bruxelles e Atene. Nessuna soluzione, quindi. Ora la palla, come ha spiegato Dijsselbloem, è nelle mani della Grecia. Con un nuovo ultimatum. Entro questa settimana dovrà arrivare un segnale da Atene. 

Noi abbiamo proposto un’estensione di sei mesi del programma esistente. I greci la hanno rifiutata

I presagi negativi

Che le difficoltà nella negoziazione fossero elevate, lo si sapeva. A tal punto che, appena arrivato a Bruxelles per il vertice, il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble si era detto scettico su un possibile accordo nella giornata odierna. Chi invece era ottimista era il titolare del Tesoro francese, Michel Sapin. Secondo lui, c’era un buon margine per trovare la quadratura del cerchio riguardo al programma di salvataggio della Grecia. Eppure, i sentori che le cose si stavano mettendo male si sono avuto fin da quando l’Eurogruppo è entrato nel vivo dei lavori. “Oggi non vediamo nulla di positivo, la missione in Grecia durante l’ultimo weekend non è andata bene, non quanto speravamo, e la Grecia non ha intenzione di negoziare”, ha detto in mattinata uno dei funzionari della Commissione europea presenti. E così è stato. Alle 18.50 è arrivata la comunicazione che il meeting era chiuso e rinviato a data da destinarsi. 

Lo strappo

Lo strappo definitivo, che poi ha portato al collasso di tutto il vertice, si è avuto quando i funzionari greci hanno iniziato a far circolare nella sala stampa la bozza del testo da discutere. Un documento riservato, che prevedeva la possibilità di estendere l’attuale piano di sostegno per altri sei mesi, dopo l’estensione di due mesi accordata al governo di Antonis Samaras, la quale scade il 28 febbraio prossimo. Un periodo di grazia, così si può definire, utile per ridare ossigeno alla Grecia e permettere l’apertura di un nuovo tavolo di trattative fra Bruxelles e Atene. Il tutto, però, a patto che sia mantenuto l’intero assetto del piano corrente, sia per quanto riguarda gli impegni assunti sul fronte delle riforme strutturali sia per ciò che concerne il monitoraggio periodico nel Paese. “Si intende fare uso della flessibilità del programma in corso”, c’è scritto nel documento dell’Eurogruppo. Ma non solo.

Nella bozza c’era anche scritto, nero su bianco, che il governo greco “intende concludere con successo il programma”, sottolineando anche che la Grecia “si impegna a raggiungere un appropriato surplus primario” e che ogni nuova misura “dovrebbe essere coperta sotto il profilo finanziario”. In altre parole, quanto promesso dal governo di Tsipras ai suoi elettori non può essere mantenuto se non in linea con i conti pubblici e con gli obblighi assunti dal precedente esecutivo ellenico. Questa è stata la pietra dello scandalo, che ha fatto saltare i nervi a Varoufakis e Dragasakis. “No, noi non intendiamo più essere a questo tavolo. Per noi la discussione è finita. Grazie a tutti per la disponibilità”, avrebbe detto il titolare del Tesoro greco, come spiega una fonte diplomatica europea. La sua intenzione è quella di negoziare partendo dalla bozza scritta dal commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, che prevede un’estensione di quattro mesi e minori requisiti sull’avanzo primario richiesto, che sarebbero aggiustati secondo il ciclo economico. 

Per noi la discussione è finita. Grazie a tutti per la disponibilità

Le differenze fra Atene e Ue

De facto, l’estensione del programma in corso non è troppo distante da quanto richiesto da Tsipras. Il governo greco ha chiesto un prestito-ponte, di circa sei mesi, per avere tempo di negoziare un nuovo programma di sostegno, con misure meno stringenti, più flessibili e, se possibile, in collaborazione con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). “È una questione di parole, perché noi non vogliamo abbandonare la Grecia a se stessa, ma non c’è stato verso di dialogare né con Varoufakis né con Dragasakis”, spiegano dallo staff di Dijsselbloem. Delle due l’una: o la Grecia richiede l’estensione proposta dall’Eurogruppo o non ci saranno altre negoziazioni.

E considerando che la situazione finanziaria di Atene è sempre più precaria, i margini negoziali di Tsipras si riducono ogni giorno che passa. Come ha ricordato oggi la banca statunitense J.P. Morgan, le banche elleniche hanno collaterali a garanzia delle loro operazioni verso le controparti finanziarie solo per due settimane. E la loro dipendenza dalla stampella emergenziale di liquidità della Banca centrale europea, l’Emergency liquidity assistance (Ela), è sempre più elevata.

La partita a poker

Ora tutto dipende da chi prima rinuncia a fare la voce grossa. Da un lato c’è l’eurozona, che chiede alla Grecia di chiedere un’estensione del programma in modo da prendere ulteriore tempo. Dall’altra c’è la Grecia, che non vuole alcuna continuità con il piano di supporto esistente e ne vuole uno ex novo, “in modo da chiudere una delle pagine più oscure della storia greca”, come ha detto uno degli sherpa di Varoufakis. Se cede la prima, il rischio è che la credibilità dell’intera area euro possa essere compromessa. Se cede la seconda, il pericolo è che il governo di Tsipras possa perdere consensi, che attualmente sono assai elevati. La partita a poker fra Atene e Bruxelles non è ancora terminata, ma sta solo entrando nel vivo.

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