A sinistra "la rissa fa la forza"

A sinistra botte da orbi, come sempre. A sinistra e al centro-sinistra. Cioè entro i confini di quella coalizione che nelle aspettative di molti dovrebbe vincere le elezioni e formare il prossimo governo politico, il primo dopo “l’era berlusconiana” e dopo la fase di sospensione della democrazia del governo tecnico. Ma sono botte, appunto, senza risparmio di colpi.

Dietro l’anti-berlusconismo c’è (c’era, evidentemente) solo l’insulto. L’ingiuria. L’assalto alla giugulare. Altro che stile della politica ritrovato. Altro che idee, progetti e programmi. Altro che misura e responsabilità. Se questo è il quadro, dio ci guardi da quello che potrebbe uscire con il voto: un paese in disarmo, consegnato a un’armata brancaleone variamente composta dai Bersani, Grillo, Rosy Bindi, Vendola, Di Pietro, Ferrero, Travaglio, Renzi, Finocchiaro, e Fini, Tabacci, Casini, e De Magistris, Leoluca Orlando… Il Pd di Pier Luigi Bersani, questo morigerato signore d’una certa età che si vede già assiso a Palazzo Chigi (salvo scavalcare ostacoli interni ed esterni quali lo sfidante Renzi e il comico Grillo), non avrà mai da solo i numeri per governare. E nel suo partito, e in campo alleato, l’anarchia è totale.

Il potere fa gola. Specie dopo tanta astinenza di governo (non però nelle aule giudiziarie e universitarie, nelle banche e nelle aziende sostenute dallo Stato, dove il potere è rimasto a sinistra, anche contro quello democratico degli eletti). Allora Beppe Grillo, il milionario in pantofole che gioca con la Rete dalla sua villa ligure, che aggredisce Bersani e il Pd definendoli “zombie”, “morti viventi”, “falliti”, “amici dei piduisti” che si spartiscono “anche le ossa”. E Bersani, davanti al suo popolo sempre più frastornato, che replica con disprezzo verso il web, incitando Grillo e i suoi a “uscire dalla rete e venire qui a dircelo”. A pugni? E che cosa? A ripetere gli insulti “fascisti”? Perché raschia raschia, Grillo sarebbe non altro che la reincarnazione virtuale e da Terzo Millennio del Duce. Un dittatore verso il suo movimento, un populista giustizialista e violento nelle sue arringhe. Lo pensano in molti, a sinistra. Bersani l’ha detto.

Così i giornali-partito “Repubblica” e “Il Fatto quotidiano”, che si pungono ferocemente, con i direttori che si scambiano accuse di fascista e comunista. Fascista Antonio Padellaro, secondo Ezio Mauro. Stalinisti quelli di “Repubblica”, secondo Travaglio-Padellaro. Come non bastasse, gli esodati dal centro-destra, in testa Fini, spazientiti dalla presenza (ancora…) di Berlusconi in campo moderato, si preparano a unirsi all’armata brancaleone della sinistra dopo il voto e Fini spiega, su “Repubblica”, che lui e Casini sarebbero i veri moderati. Fini così liberale, così rispettoso delle istituzioni, da aver fatto cadere un governo e creato un nuovo partito pur mantenendo la carica di Presidente della Camera. Uno strappo mai visto con le regole di un’Italia politicamente rispettabile. E ancora. Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, in solitaria annuncia il suo tour in camper per l’Italia, pronto a sfidare in un evento nazionale il 13 settembre Bersani nelle primarie del PD.

Giovani contro vecchi. Riformisti contro progressisti. Moderati contro massimalisti. Cattolici contro laici. Giustizialisti contro tutti. Reazionari rossi contro internauti neri. Meridionalist e localisti (alla De Magistristis e Leoluca Orlando) contro i partiti nazionali(sti). Dipietristi contro Di Pietro. Di Pietro contro Grillo (“Sa solo protestare”). Lettiani contro Bersani sulla legge elettorale. Verdi contro la sinistra industrialista (pro o contro l’Ilva). Sindaci a ruota libera. Qualche grillino, addirittura, contro Grillo. Rossi, verdi, arancioni, celesti, rosa, viola, neri. Arcobaleno. Eserciti di giornalisti d’area pronti a incrociare le sciabole. E poi gli intellettuali, gli impenitenti ex e post-comunisti delle lettere-manifesto, degli appelli e degli editoriali-lenzuolo. Quelli che si scontrano sulle pagine dello stesso giornale-partito, schierandosi col capo dello Stato (ex comunista) o con i pm di Palermo. Scalfari contro Zagrebelsky. Guru, muso a muso. E sullo sfondo, Prodi che bacchetta tutti, centellinando appunti acidi. Ovvio. Oltre alla poltrona di Palazzo Chigi, c’è in ballo il Quirinale. Prodi, come Monti, punta al Colle (non sono i soli). Bene allora, avanti così.

La “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria rischia d’implodere prima di partire, sferragliando sgangherata per la crociata di primavera.
E il centro-destra, che sembrava condannato, si riscopre più compatto del centro-sinistra. E gongola.

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