Far bene i conti sul Recovery fund
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Politica

Far bene i conti sul Recovery fund

La narrazione in voga racconta di un'Europa generosa che «regala» all'Italia 209 miliardi di euro per la ripartenza. Ma, tutto considerato, il beneficio si riduce a una trentina di miliardi. Sempre che Bruxelles, per finanziare il governo comunitario,
nei prossimi anni non applichi nuove tasse.


Il capitano Gregorio De Falco, passato dalle stellette della Marina alle Cinque stelle grilline, salvo poi ammutinarsi, stavolta ha sbagliato l'appello; come aveva fatto con Francesco Schettino voleva rimandare a bordo della nave Italia Giuseppe Conte e si ritrova al comando l'ammiraglio Nelson dei conti: Mario Draghi. C'è da capire se sarà confermato, ma pare proprio di no, l'ufficiale di macchina Roberto Gualtieri, il ministro dell'Economia che - sostiene il Pd - ha varato la scialuppa di salvataggio Recovery Fund. Il cosiddetto Next Generation Ue ha tanti padri: Giuseppe Conte, passato in una notte dall'euroscetticismo all'euroentusiamo, il commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni e il presidente del Parlamento di Strasburgo David Sassoli.

Ovvio che il Pd abbia raccontato la favola bella dell'Europa munifica che fa cadere sull'Italia una pioggia di miliardi mai vista prima. Ma bisognerà pur dirlo che il Recovery Fund non è un «6» al Superenalotto. A conti fatti l'Italia si ritroverà con una trentina di miliardi in più, che non sono da buttar via, ma non sono la cifra salvifica. Se poi, come è stato ipotizzato da Carlo Cottarelli con un documento del suo Osservatorio dei conti pubblici dell'Università Cattolica, alcuni Stati dimostreranno di aver subito più danni dell'Italia dalla pandemia i contribuiti potrebbero diminuire e il saldo diventare addirittura negativo. Il Recovery assegna in totale ai Paesi europei finanziamenti parte sotto forma di prestiti, 360 miliardi di euro, e parte a fondo perduto: 390 miliardi.

All'Italia tocca la maggior quota: circa 209 miliardi di cui 81,4 a fondo perduto e 127,4 in prestito. Sostiene Cottarelli che tra Sure (i prestiti per la cassa integrazione) e Recovery l'Italia avrà un risparmio di circa 24 miliardi sugli interessi perché è l'Europa che si indebita direttamente a condizioni più favorevoli di quelle che i mercati praticherebbero a noi. Ma è vero anche che la tranche di denari a fondo perduto è finanziata dagli stessi Stati membri con versamenti aggiuntivi al bilancio europeo. Qui c'è la prima sveglia dall'illusione dei soldi facili. Gli 81 miliardi che riceviamo a fondo perduto in realtà in gran parte sono già soldi nostri.

L'Italia dovrà infatti versare il 12,8% dei 390 miliardi di euro, che sono il totale dei finanziamenti a fondo perduto previsti dal Recovery Fund, cioè 49,92 miliardi. Dunque di 81 che ce ne vengono dati, il contributo netto in sei anni è di 31,08 miliardi.
A cui, per capire i vantaggi reali del Recovery Fund per il nostro Paese, vanno aggiunti i 24 miliardi di risparmi sugli interessi autorevolmente stimati da Cottarelli sui 127 miliardi di prestito. Questo è il conto che riguarda il Recovery: nella migliore delle ipotesi le risorse «aggiuntive» che l'Italia può sperare di ricevere sono 55 miliardi: 31 netti a fondo perduto e 24 risparmiati sugli interessi.

Ma ora entrano in gioco altri soldi, sono quelli destinati al bilancio comunitario ordinario. L'Italia nei prossimi anni - il bilancio di Bruxelles si sviluppa su sei esercizi - sarà contributore netto per circa 20 miliardi di euro perché noi diamo all'Europa più di quanto riceviamo in fondi strutturali, agricoli e via finanziando. C'è la possibilità però che il nostro contributo diventi più oneroso. Finora la quota versata annualmente all'Europa è pari all'1,2% del nostro Pil, ma ora si vorrebbe arrivare al 2%. Se così fosse verseremmo a Bruxelles circa 34 miliardi all'anno per sei anni con un saldo negativo tra quanto diamo e quanto riceviamo di 28 miliardi. E il conto non è finito perché una fonte ulteriore di finanziamento del Recovery e del bilancio comunitario possono essere anche nuove imposte.

Già oggi parte dell'Iva va all'Ue e l'imposta è peraltro il parametro con cui viene calcolata la quota di contribuzione di ogni Stato al bilancio. Perciò da sempre Bruxelles insiste sulla formuletta: tassare i consumi. In conseguenza della Brexit inoltre potrebbero essere rivisti al ribasso i contributi all'agricoltura. Siccome una parte del Recovery è legata al Green New Deal che premia le colture estensive del Nord Europa all'Italia potrebbero mancare circa 900 milioni all'anno di finanziamenti agricoli.

Ora proviamo a rifare i conti per vedere se nel «dare e avere» con l'Europa l'Italia ci guadagna o meno. Il mitico Recovery Fund porta in dote all'Italia 209 miliardi (il documento di bilancio del fu governo Conte bis scrive 205) di cui 81,4 a fondo perduto e 127,4 in prestito. I prestiti vanno restituiti, ma prendiamo per buono che si risparmino in totale 24 miliardi di interessi. Dei circa 81 miliardi «gratis» sono solo 31. Dunque il vero aiuto sono 31 più 24 che fa 55. Ma da questi, per avere il conto complessivo della partita doppia con l'Europa, vanno sottratti i 20 miliardi eccedenti che versiamo per il bilancio comunitario più i 6 miliardi in meno di contributi agricoli che riceveremo. Dunque 55 miliardi come vantaggio reale del Recovery meno 26 miliardi tra maggiori uscite e minori entrate per finanziare il bilancio ordinario dell'Ue fanno sì che nel conto finale del dare e avere dall'Europa per i prossimi 6 anni l'Italia avrà un vantaggio netto di 29 miliardi.

A offuscare le magnifiche sorti e progressive del Recovery c'è poi l'elemento tempo che, come tutti sanno, è denaro. I soldi a fondo perduto, a parte un anticipo previsto per l'autunno, arriveranno a rate, a partire dal 2023, e i 127,4 miliardi di prestiti si attivano solo dal prossimo anno e verranno erogati a stato d'avanzamento dei progetti approvati da Bruxelles. Entro il 30 aprile va inviato il piano alla Commissione che ha due mesi per valutarlo, un altro mese passa per la risposta dell'Italia, infine servono altri 30 giorni per il sì definitivo. Considerato il periodo delle vacanze il via libera può arrivare, se tutto fila liscio, a ottobre e i primi soldi li porta Babbo Natale.

Per paradosso il vero regalo che l'Europa avrebbe potuto fare all'Italia sarebbe stato quello di azzerare la nostra contribuzione al bilancio comunitario. Basandoci sul precedente esercizio (2012-2018) non avremmo versato 113 miliardi e non ci sarebbero stati restituiti 76 miliardi con un saldo attivo di 37 miliardi cioè un risparmio annuo, senza considerare gli interessi, di oltre 6 miliardi. Perciò una domanda: il Recovery Fund è davvero l'occasione unica e irripetibile che, caduto Giuseppe Conte, va colta a costo di rinunciare alle elezioni come ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Il deputato-economista della Lega Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, sostiene che: «Il Recovery Fund è una sostituzione di sovranità; non sono soldi in più, sono soldi che l'Europa decide dove spendere in ogni singolo Paese. Non a caso la Spagna per evitare di vedersi fare i conti da Ursula von der Leyen e da Vladis Dombroviskis, la presidente della Commissione e il controllore dei fondi, non prenderà nessun prestito».

Ancora più duro il giudizio di Giulio Tremonti. «Nella narrazione che si è fatta i soldi del Recovery Fund sono come i carri armati di Mussolini, aumentano di continuo. La verità è che la parte a fondo perduto non è di 80 miliardi, ma al massimo arriva a quaranta perché l'Italia dovrà o aumentare il suo contributo al bilancio o sopportare nuove tasse europee». Le cifre dicono che il vantaggio del Recovery Fund sarà per l'Italia di 5 miliardi di euro l'anno. Un po' poco se ci si devono finanziare le ferrovie come la Messina-Palermo, se si devono moltiplicare i centri di altissima formazione come la Normale di Pisa, se bisogna rilanciare il turismo. E questo sempre che la nave Italia trovi la rotta, perché il gommone di salvataggio Recovery Fund sembra un po' sgonfio.

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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