Non mi aspetto che il governo faccia miracoli. Gli italiani non si aspettano di essere liberati dal giogo del fisco, ma almeno dalla giungla di adempimenti sì. Riuscire a semplificare la compilazione del «730» (ora si chiama Unico) già sarebbe un successo.
Non c’è governo che presentandosi al Parlamento e agli italiani non abbia promesso una riforma del Fisco. Quel furbacchione di Matteo Renzi, appena insediatosi a Palazzo Chigi, una volta capito che quello delle tasse è un argomento che se cavalcato può portare voti, annunciò che avrebbe dato una sforbiciata agli obblighi a cui sono condannati i contribuenti tra l’inizio di maggio e la fine di giugno, introducendo la dichiarazione dei redditi precompilata. Quando qualche giorno dopo in tv gli chiesi come avrebbe fatto con le detrazioni, di cui l’Agenzia delle entrate non è a conoscenza, il premier sbarrò gli occhi come se gli avessi chiesto conto dello sbarco dei marziani nella terra. Lì compresi non solo che l’ex sindaco di Firenze non aveva mai compilato un «730» in vita sua, ma che la riforma era fuffa buona per la propaganda politica. Dunque, per gli elettori sarebbe cambiato poco o nulla. Infatti, le dichiarazioni dei redditi precompilate che non passano dal commercialista, perché non hanno bisogno di essere integrate dalle spese deducibili, ogni anno sono pari al 4 per cento del totale, vale a dire niente. Tutti gli altri italiani, quelli che hanno gli interessi sul mutuo della prima casa o le fatture per la palestra dei figli da scomputare dal reddito, invece sono ancora costretti a rivolgersi al Caf, il Centro di assistenza fiscale, o al commercialista come avveniva prima della «riforma» Renzi.
Per essere onesti, il fondatore di Italia viva non è il solo a non aver tenuto fede alle promesse in materia di Fisco. Infatti, non solo chi è venuto dopo di lui non ha dato seguito agli interventi annunciati (Mario Draghi, rispondendo a Enrico Letta e all’idea di una patrimoniale, disse che «non era ora di mettere le mani nelle tasche degli italiani ma semmai di metterci qualche soldo», però non si vide neanche quello), ma non ha nemmeno semplificato il complesso sistema di adempimenti e di documenti. Già: oltre a essere esoso, il nostro Fisco è anche un guazzabuglio incomprensibile. Con la scusa di combattere gli evasori, anno dopo anno si è costruito un castello di norme che lungi dall’aver risolto il problema di chi non paga le tasse, ha invece complicato la vita di chi versa all’Erario fino all’ultimo centesimo. Milena Gabanelli, che con Report è andata per anni a caccia di scandali italiani, si è di recente accorta che le istruzioni con cui si vorrebbe spiegare la dichiarazione dei redditi a chi la deve compilare sono composte da 434 pagine. Prima di Renzi erano 277, poi con il passare degli anni sono quasi raddoppiate e ora, messe in fila una dopo l’altra, sono lunghe 128 metri. Per capire una «follia tutta italiana» (la definizione è della Gabanelli), basti dire che in Svizzera le istruzioni non superano le 10 pagine e il modello da compilare per pagare le imposte federali solo quattro. Anni fa, dovendo adempiere all’obbligo di presentazione della dichiarazione in quanto proprietario di un appartamento, mi rivolsi a un consulente locale e scoprii che i rapporti con il Fisco si potevano regolare con una semplice telefonata all’ufficio cantonale, anche per ottenere un rinvio alla presentazione del modello e senza alcuna penale. Da noi, ottenere lo slittamento di una scadenza è invece un affare di Stato, al punto che per avere un posticipo in zone colpite da un nubifragio serve un provvedimento di governo.
Del resto, non c’è da stupirsi, perché perfino godere delle detrazioni dovute a spese sanitarie è complesso. Per scomputarle dal reddito occorre conoscere la normativa, che le divide per patologia, per i familiari a carico, per disabilità, per i cani guida e per le cure veterinarie. Ogni detrazione ha una sua casella e non si può sbagliare. Ma come fa un contribuente a orientarsi? Infatti, non si orienta e se vuole fare il proprio dovere di onesto cittadino è costretto a incaricare un esperto. Che sia il Caf o un professionista, l’unica certezza è che oltre a pagare le imposte deve anche saldare la fattura di chi lo ha aiutato. In effetti, serve un tecnico per decifrare le istruzioni e non è cosa che possa fare chiunque. Solo per spiegare come interpretare ogni voce relativa a oneri e spese deducibili delle persone fisiche, l’Agenzia delle entrate lo scorso anno ha inviato due circolari, che complessivamente avevano 549 pagine, più dunque delle pagine di istruzione della dichiarazione dei redditi. Tanto per capirci, in Francia le spese mediche si risolvono in una riga, mentre in Germania la dichiarazione precompilata funziona davvero, perché il contribuente può integrarla da sé, entrando sul sito online dell’Agenzia delle entrate tedesca.
Se ho dedicato un articolo alla questione, non è per chiedere al governo Meloni di tagliare le tasse, cosa a cui pensano di regola quasi tutte le associazioni degli industriali e anche i sindacati (i quali vorrebbero però ridurle ai lavoratori e aumentarle agli imprenditori, senza rendersi conto del controsenso). No, non sono così ingenuo da credere che l’esecutivo attualmente in carica possa in pochi mesi fare quello che i precedenti non sono riusciti a realizzare in anni. Se parlo di dichiarazioni dei redditi è solo per chiedere che l’anno prossimo almeno non ci siano 549 pagine (cioè un quinto del Grande dizionario della lingua italiana della Hoepli) di spiegazioni delle spese mediche e 128 metri di istruzioni. In fondo, gli italiani non si aspettano di essere liberati dal giogo del fisco, ma dalla giungla di adempimenti sì. Riuscire a semplificare la compilazione del «730» (ora si chiama Unico) sarebbe un successo. Non risparmierebbero sulle tasse, ma sulla complicazione delle cose semplici sì. E sarebbe già un passo avanti.
