In Europa si stanno scontrando due strategie nell’affrontare il problema dell’aumento di imballaggi. L’Italia, con i suoi record di recupero e un settore all’avanguardia, si batte per non venire penalizzata.
Sarà uno scontro tra titani. Da una parte la Commissione europea che vuole vincere la sua crociata prima delle elezioni del 2024 e dall’altra un drappello di Paesi, con l’Italia in testa, che non intendono cedere di un passo. La guerra sul packaging entrerà nel vivo in autunno quando si dovrà completare l’iter di approvazione del Regolamento. Intanto i maggiori player del settore, associazioni confindustriali, industrie importanti assieme al governo e al drappello degli europarlamentari dei diversi partiti, mai stati così compatti, lavorano di diplomazia e di lobby per creare un fronte di contrasto. L’obiettivo è non far passare la norma che impone il riuso al posto del riciclo come strategia prioritaria per affrontare il problema dell’aumento dei rifiuti da imballaggi.
L’Italia, come dice il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, «è la startup dell’Europa nel riciclo», un modello di economia circolare. Il nostro Paese ha un tasso medio di riciclo di tutti i rifiuti, urbani e speciali-industriali, pari al 72 per cento a fronte di una media del 53 in Ue e del 55 in Germania, sua prima potenza industriale.
In questo trattamento degli imballaggi in carta (87 per cento) ha superato con otto anni di anticipo i target previsti da Bruxelles per il 2030 (85 per cento). Passare all’industria del riuso significa per l’Italia deragliare da una strada tracciata, con effetti devastanti per un comparto industriale prospero. Un colpo di mano, peraltro, effettuato con un atto di diritto, il Regolamento appunto, anziché la solita direttiva, in modo da rendere subito applicabili le norme senza interventi da parte degli Stati membri.
Ma se la Commissione europea è intenzionata ad andare avanti senza sentire ragioni, dicendo che è una scelta obbligata poiché di qui al 2030 i rifiuti da packaging aumenteranno del 19 per cento e quelli in plastica del 46, la stessa determinazione a contrastarla ce l’ha il governo di Giorgia Meloni. Dalla sua l’Italia ha che il riciclo ha raggiunto un tasso di circa il 70 per cento.
Compattezza e unicità di intenti tra tutti i protagonisti del settore sono emersi nel corso del convegno Innovazione e alleanze nella filiera del riciclo del packaging, che su iniziativa di McDonald’s Italia, colosso all’avanguardia nell’economia circolare, ha riunito attorno a un tavolo i diversi soggetti impegnati a rivendicare la sovranità del Paese nella scelta degli strumenti migliori per la transizione ecologica, contro il dirigismo di Bruxelles.
I ministri, Pichetto Fratin e del made in Italy, Adolfo Urso, un drappello di europarlamentari dei diversi schieramenti politici e imprenditori, si sono ritrovati uniti a fare squadra. A rischio è la sopravvivenza della filiera industriale costruita per realizzare l’economia circolare che ha nel riciclo il suo perno; 800 mila imprese, oltre 7 milioni di posti di lavoro, con un fatturato globale di 1.870 miliardi di euro.Sono questi i numeri del modello italiano di gestione dei rifiuti di imballaggi. Antonio D’Amato, presidente di Seda Packaging Group, fondatore di Eppa (European paper packaging alliance), ha messo in evidenza limiti e controindicazioni del riuso. «Nella ristorazione veloce si andrebbero a generare 2,8 volte in più di emissioni di CO2, e il consumo di acqua passerebbe da 3,4 a 228 volte in più. Lo dicono gli Lca, i Life cycle analisys, ovvero gli studi realizzati da Eppa e presentati più volte alle istituzioni europee. Non è un’opinione, è scienza».
D’Amato ha poi sottolineato che «c’è un rischio salute: i contenitori usati più volte possono aumentare i pericoli di contaminazione». Da non sottovalutare che il monouso «riduce lo spreco alimentare, una piaga della nostra epoca».
Che possibilità ha l’Italia di vincere questa battaglia? Nicola Procaccini, eurodeputato di Fratelli d’Italia, è ottimista. «Potremmo avere un alleato nella Spagna. Pur avendo la presidenza di turno del Consiglio della Ue, non ha messo il tema tra le priorità e questo ci dovrebbe far ben sperare».
Sulla stessa linea l’eurodeputata del Pd, Patrizia Toia. «Una vecchia direttiva dava la priorità al riuso rispetto al riciclo, ma precisando che se questo è più sostenibile allora l’ordine delle priorità cambia». Walter Facciotto, direttore generale di Conai, il Consorzio imballaggi, commenta polemico: «Perchè mettere in crisi un sistema che sta funzionando? Sette imballaggi su dieci sono riciclati».
Ma sono considerazioni che cozzano con l’ideologia. Lo ha ben presente il ministro Urso: «Dobbiamo lavorare affinché in Europa non si agisca secondo posizioni ideologiche preconcette ma venga data libertà alle imprese di ogni Stato di perseguire i propri traguardi industriali con gli obiettivi dettati dalla transizione green. In gioco c’è la crescita, dell’Italia e della Ue.
