Il Quad, il piano strategico fra Usa, Australia, India e Giappone, vuole collegare con una gigantesca rete ferroviaria e navale gli Emirati del Golfo e altri Stati dell’area con l’India. Un «controprogetto» su cui punta Washington per bloccare l’espansione cinese, e recuperare spazi di manovra nello scacchiere internazionale. Che ci riesca, però, non è scontato.
Un’alternativa alla Via della Seta cinesen’alternativa alla Via della Seta cinese: ecco cosa si propone di diventare il Quad, la rete infrastrutturale progettata dagli Stati Uniti per battere sul suo stesso terreno la Cina di Xi Jinping. L’iniziativa – che già coinvolge Australia, India, Giappone e Usa – è stata voluta dall’amministrazione Biden in risposta alla crescente influenza cinese nel Pacifico. E oggi si sostanzia di un nuovo tassello, che punta a riprisintare una presenza forte americana nello scacchiere mediorientale, dove Washington immagina di creare una rete di ferrovie tra gli Emirati del Golfo e gli altri Stati arabi, da collegare all’India attraverso rotte di navigazione che passano dai principali porti della regione.
Il progetto, che vorrebbe unire direttamente Arabia Saudita, India, Israele ed Emirati Arabi Uniti, se portato a compimento offrirebbe al presidente Biden uno strumento per cementare – e persino ampliare – la sua visione dell’ordine mondiale, quella che oggi viene definita in maniera suggestiva come la battaglia eterna tra «democrazia contro autoritarismo» e che mira a costruire nuovi ponti strategici con partner importanti e già coinvolti (ma non democratici) come Abu Dhabi e Riad. L’idea è nata in prima battuta nel luglio 2022 al Forum I2U2 che si è svolto a Gerusalemme per approfondire la collaborazione tecnologica e del settore privato nella regione e affrontare le sfide transnazionali in sei aree di interesse: acqua, energia, trasporti, spazio, salute e sicurezza alimentare. Su quest’ultimo punto, in particolare, si prevede di stabilire un corridoio alimentare India-Medioriente, grazie a una catena di approvvigionamento del cibo basata su tecnologie innovative e a basso impatto climatico lungo il margine meridionale dell’Eurasia.
Nel 2019, due anni prima delle interruzioni delle forniture alimentari indotte dalla pandemia e ancor prima degli shock alimentari provocati dall’invasione russa dell’Ucraina, Abu Dhabi e New Dehli stavano già lavorando alla creazione di un progetto da 7 miliardi di dollari per un corridoio alimentare India-UAE che garantisse la sicurezza alimentare dei Paesi mediorientali. L’iniziativa del corridoio ha poi preso forma nel settembre 2019, quando il gigante dello sviluppo immobiliare Emaar Group, con sede a Dubai, ha assunto il compito di coordinare gli investimenti dei 7 miliardi di dollari per il corridoio da parte di varie entità emiratine. Circa il 70 per cento di questi fondi è così stato destinato a progetti di megaparchi alimentari in varie città indiane. Il resto è andato all’agricoltura, all’approvvigionamento di materie prime agricole e alle relative infrastrutture. Adesso, il ponte strategico si può avvantaggiare anche della normalizzazione delle relazioni tra Emirati e Israele e tra Israele e Arabia Saudita, a seguito della firma degli Accordi di Abramo del settembre 2020. Ma Washington mira ancora più in alto: Joe Biden intende integrare due contesti strategici separati come l’Indo-Pacifico e il Medio Oriente per tagliare completamente fuori Pechino, strozzando sul nascere il suo espansionismo a Ovest.
Il suo è anche un modo per «serrare i ranghi» tra i partner degli Stati Uniti in diverse regioni, dopo che la diminuita influenza americana nel mondo ne ha ridotto gli spazi di manovra in molte partite geopolitiche. Il costo del progetto-monstre non ha ancora una cifra ufficiale, ma le stime parlano di almeno 200 miliardi di dollari. Molto dipenderà anche dal ruolo che si ritaglierà l’Arabia Saudita, il grande alleato di Washington che, tuttavia, nella fase preliminare del Quad mediorientale si era tenuta in disparte, e oggi strizza l’occhio a Pechino. Di certo, India ed Emirati Arabi hanno tutto da guadagnare dall’iniziativa del Quad, considerato che circa 3,5 milioni di indiani vivono già oggi nei regni del Golfo (corrispondono a un terzo della popolazione totale di quelle nazioni); e che questo non solo rappresenta un’importante fonte di lavoro per gli stessi Emirati e di rimesse per l’India, ma favorisce anche i rapporti diplomatici e soprattutto gli interscambi di petrolio da Abu Dhabi verso New Delhi. Per ciò che riguarda Israele, è evidente tanto la volontà del Paese di proseguire nell’avvicinamento con Abu Dhabi, quanto di sostenere ogni progetto in chiave anti-iraniana che riesca a isolare Teheran nel Medioriente allargato. Questo è ancor più vero a seguito della nuova sintonia tra Riad e Teheran mediato dalla Repubblica popolare cinese, che ha inferto un duro colpo alla strategia dell’amministrazione Biden e, di conseguenza, ha destato timori e sospetti nel governo israeliano
Già oggi, in ogni caso, è in avanzata fase di studio la rete ferroviaria lunga 300 chilometri che collegherà Giordania e Arabia Saudita, la cui destinazione finale non può che essere la grande metropoli israeliana di Tel Aviv. Un’infrastruttura che avvicinerebbe i tre Paesi e le rispettive società, favorendo gli affari e gli interscambi come mai prima d’ora. A questo si deve aggiungere la firma dell’accordo di libero scambio tra Abu Dhabi e Gerusalemme, che consentirà il rafforzamento delle relazioni trilaterali alla luce dell’accordo tra Emirati e India. L’incognita per Washington resta la collaborazione in fieri tra cinesi e sauditi, che comprende anche l’ambizioso progetto strategico di Mohammad bin Salman Vision 2030, che punta a ridurre la dipendenza economica dell’Arabia Saudita dal petrolio. In questo senso, i cinesi si sarebbero già aggiudicati importantissimi – e lucrosissini – appalti per la fornitura di pannelli solari per quello che sarà il più grande progetto di energia solare del mondo: produrre fino a 200 gigawatt di energia entro il 2030. Dunque, se anche se il progetto del Quad a trazione americana continuerà il suo iter grazie agli investimenti già approvati, resta da capire come separare Riad dall’abbraccio con la Cina e come imporgli la fine della politica di distensione con l’Iran. Una questione capitale per quanti – come Washington e New Delhi, e in parte Gerusalemme – alla ritrovata sintonia internazionale non hanno ancora aggiunto un’alleanza politico-militare strutturale.
