Gestione del racket delle case popolari ma, soprattutto, il ricco mercato della droga. La mafia albanese prende sempre più piede nella Capitale, spartendosi il controllo dei quartieri con i clan di ‘ndrangheta, camorra e malavita locale.
In quasi 4 chilometri quadrati sono concentrati 22 mila abitanti, stretti fra il cimitero del Verano e l’università La Sapienza. Lì la «mala» romana si è riorganizzata e ha trasformato alcuni alloggi popolari occupati illegalmente in un fortino della droga. Gli appartamenti al piano terra, infatti, non sono finiti nel racket degli affitti per gli immigrati clandestini ma come mamma ‘ndrangheta insegna, sono rimasti tutti liberi, a disposizione di boss e gregari che hanno fatto scavare botole e cunicoli collegati alle cantine sottostanti al piano strada. Così è più semplice fuggire quando scattano i blitz.
La scoperta l’hanno fatta i carabinieri del quartiere San Basilio entrando nell’abitazione dov’erano sicuri di trovare un ragazzotto coinvolto nell’ambiente dello spaccio. Una botola connetteva l’appartamento a un altro condominio di via Recanati, dov’è stata individuata una raffineria di cocaina che, stando a quanto sta emergendo dalle indagini, era sotto la giurisdizione dalla mafia albanese. Come il controllo del racket delle case popolari.
Quartiere dopo quartiere pare proprio che stia passando tutto nelle mani degli uomini arrivati da Tirana. Il contesto è quello nel quale è stato assassinato Fabrizio Piscitelli, il Diabolik degli Irriducibili della Lazio ucciso con un colpo di pistola il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti. Un regolamento di conti che si è trasformato in un rebus al momento irrisolvibile per l’Antimafia di Roma.
Anche in questa inchiesta sono spuntati gli albanesi. Il killer di Piscitelli, infatti, sarebbe stato torturato e giustiziato appena ha rimesso piede in Albania. Gli investigatori stanno verificando i suoi contatti romani. Soprattutto quelli nel mondo della droga. Anche perché i criminali albanesi ormai sono riusciti a mettere sotto scacco perfino i pusher nigeriani, che vengono reclutati davanti agli Sprar – i centri di accoglienza dell’immigrazione – dai vertici della mafia nigeriana per finire poi, però, alle dirette dipendenze dei malviventi di Valona, grazie a un accordo tra due boss poco più che trentenni: Sule Momodu, capo di un club degli Eiye, e Geraldo Bejaj, considerato dalla Procura antimafia guidata da Michele Prestipino non più solo come un narcos, bensì come l’uomo al vertice di questa inedita organizzazione criminale multietnica.
Ma nel «laboratorio» romano di questa malavita rampante gli albanesi appaiono nell’area nord della Capitale: nel quartiere Dragoncello, da sempre controllato dai napoletani Costagliola che addirittura le case popolari di Ater, Enasarco e Inps, occupate clandestinamente, riuscivano a venderle.
Il clan Costagliola si comportava da intermediario e disponeva degli appartamenti come fossero parte del proprio patrimonio, facendosi versare acconti tra 10 e 25 mila euro. A giugno, però, un’inchiesta con 36 indagati ha fatto saltare il banco, lasciando campo libero nel rione a Daniele Cossiga, un quarantenne romano che, grazie alla sponda degli albanesi, secondo le indagini dei carabinieri, sta cercando di imporsi nell’ambiente di Dragoncello.
Pare che oltre alla droga, in quell’area, nelle mire degli albanesi ci siano appunto gli alloggi popolari da trasformare in bunker. «Quelli di Tirana», come spesso vengono chiamati nelle intercettazioni di questo «nuovo romanzo criminale» romano, insomma, stanno dimostrando di riuscire ad allacciare rapporti di collaborazione con chiunque abbia bisogno della loro rete.
In una recente indagine sono emersi pure gli accordi con la ‘ndrangheta, saldati per controllare la zona di Ponte Milvio. Quartiere dopo quartiere, la Procura antimafia ha accumulato oltre 400 fascicoli con 2.500 indagati.
«Una quarantina di procedimenti» conferma una fonte investigativa «riguardano associazioni di stampo mafioso», con una trentina di collaboratori di giustizia che stanno indicando agli investigatori dove andare a cercare. E, notizia riservatissima, da circa un anno a questa parte ci sono altre nove nuove proposte di programma di protezione. Il che si tradurrà presto in nuove operazioni antimafia.
A Piazzale Clodio, sede della Procura, magistrati e forze di polizia stanno cercando in ogni modo di ricostruire che definiscono «un consolidato sistema di relazioni» tra le diverse organizzazioni mafiose che controllano la Capitale: Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e mafie «autoctone».
E spesso, dai documenti giudiziari, salta fuori un nome, quello di Ismail Rebeshi da Berat, città nel cuore dell’Albania; il malvivente è finito al 41 bis (il regime di detenzione speciale previsto dall’ordinamento penitenziario italiano) a Cuneo, perché dal carcere continuava a dare ordini ai suoi uomini che imperversano negli alloggi occupati romani. Rebeshi, questo il ritratto che ne viene fatto, non ha paura di usare le armi per difendere i propri interessi. Nella sua lunga carriera ha stretto contatti con gruppi criminali che gli hanno potuto offrire la protezione necessaria. Qualche anno fa fu sorpreso alla guida della 500 Abarth sottratta al giocatore della Lazio Sergej Milinkovic´. E dell’auto sportiva rubata ne avevano approfittato anche altri personaggi dal passato sospetto, come Gennaro Esposito, l’ultrà balzato agli onori delle cronache con il soprannome di «Genny ‘a carogna».
«All’apparenza» conferma il cronista romano Emilio Orlando «sembrano tutti fatti scollegati tra loro, ma basta metterli in fila per capire quanto territorio romano gli albanesi stiano conquistando giorno dopo giorno, grazie ai collegamenti con gli altri clan, soprattutto con quelli della ‘ndrangheta».
Non è finita qui. Nel pericoloso meccanismo degli alloggi occupati si è innestata una delibera della Regione Lazio che promette le case popolari agli occupanti abusivi. Il primo caso è in via del Caravaggio (primo nella lista degli immobili da sgomberare quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno), il secondo in via Maria Adelaide.
«Con la giustificazione di liberare gli immobili occupati a Roma, la Regione Lazio decide di regalare gli alloggi popolari agli abusivi» denuncia la consigliera regionale d’opposizione, la leghista Laura Corrotti. «Un’operazione discutibile, l’ennesima beffa che rientra all’interno di un metodo che danneggia costantemente chi è in attesa da anni per una casa popolare, a favore invece di chi vive nell’illegalità». E quelle sacche di illegalità c’è da scommetterci, la mala romana saprà già come sfruttarle.
