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I narcos del dragone

I narcos del dragone

Le triadi sono ormai diventate tra i maggiori produttori di stupefacenti artificiali al mondo, nonostante la severissima repressione antidroga della Repubblica popolare. Un business da miliardi di dollari, che ha fatto esplodere l’industria chimica cinese.


Sam Gor, il narcotrafficante cinese più potente del mondo, era solito girare con una scorta di campioni di arti marziali. Una precauzione sufficiente a proteggerlo dai rivali, ma non dalle forze dell’ordine: il criminale è stato arrestato all’aeroporto olandese di Schipol lo scorso 22 gennaio, dopo due anni di latitanza internazionale. Il «Fratello numero tre», questo il significato di Sam Gor in dialetto cantonese, nega ogni accusa e cerca di evitare l’estradizione in Australia, dove lo aspetta un processo già imbastito.

Cinquantasette anni, vero nome Tse Chi Lop, il padrino asiatico nel giro degli ultimi tre lustri ha costruito un impero criminale che gli ha fatto guadagnare paragoni con El Chapo, il potentissimo boss del cartello messicano di Sinaloa. La sua intuizione vincente è stata convincere le cinque maggiori triadi, le organizzazioni mafiose cinesi, a mettere da parte le rivalità per dedicarsi a un nuovo business: il traffico di droghe sintetiche, soprattutto metanfetamina destinata ai mercati dell’Asia e dell’Oceania. Un giro d’affari in grado di far guadagnare all’organizzazione di Sam Gor dagli 8 ai 17,7 miliardi di dollari l’anno, secondo stime dell’Uudoc, l’ufficio delle Nazioni Unite che monitora crimine e narcotraffico.

Le triadi sono ormai diventate tra i principali produttori di stupefacenti artificiali al mondo, nonostante la Repubblica popolare cinese sia severissima in materia di narcotici. Ogni anno i tribunali di Pechino comminano migliaia di condanne a morte, di cui una consistente fetta per reati connessi al traffico di droga. A chi è arrestato per consumo personale tocca comunque il confino nei centri di riabilitazione obbligatori, dove per almeno due anni si è costretti ai lavori forzati e a trattamenti brutali. Le forze dell’ordine cinesi sono inoltre attive nel contrasto alle attività dei trafficanti: nel 2019 sono stati smantellati 73 laboratori clandestini e confiscate più di due tonnellate e mezzo di droghe.

Gli sforzi del governo di Pechino hanno un successo molto relativo nel contenere la tossicodipendenza tra i suoi cittadini, con in dati ufficiali che parlano di un tasso tra la popolazione adulta dello 0,16% contro il 6 della vicina Russia. La repressione da sola non è però sufficiente a stroncare il narcotraffico delle triadi: il successo di questa impresa criminale è infatti connesso strutturalmente all’impetuosa crescita economica e politica del Dragone a livello globale.

Grazie allo sviluppo dell’industria chimica nel loro Paese, che da un decennio a questa parte è diventata la più grande del mondo per fatturato, i narcos cinesi possono contare su forniture di materia prima a basso prezzo e su una forza lavoro qualificata tra cui reclutare i propri tecnici. Le droghe sintetiche infatti sono prodotte a partire da sostanze chimiche legali e di facile reperibilità: un bel vantaggio competitivo, dal punto di vista criminale, rispetto a eroina e cocaina che dipendono dalla coltivazione di specifiche piante.

Ci sono poi narcotici che possono essere prodotti lecitamente grazie al loro uso in campo medico ma che sono molto richiesti anche sui mercati degli stupefacenti. È il caso del fentanyl: l’ormai tristemente famoso oppioide sintetico, 100 volte più potente della morfina usato per il trattamento del dolore cronico, prodotto principalmente in Cina. Solo nel 2019 il regime di Pechino si è deciso a metterlo al bando dietro insistenti pressioni degli Stati Uniti, dove arriva illegalmente tramite spedizioni dal proprio territorio o passando per il Messico. Da oltre un decennio, gli spacciatori americani lo usano come taglio economico per l’eroina, e talvolta altre droghe, con effetti nefasti: nel 2019 il fentanyl è risultato responsabile di ben 37.000 overdosi letali delle 72.000 che si sono verificate nel Paese.

Laddove la legge cinese non permette comunque la produzione di certe sostanze, le triadi approfittano della corruzione nell’apparato statale del Paese. Un fenomeno ancora diffuso, nonostante le campagne di contrasto volute dal presidente Xi Jinping: secondo un sondaggio di Transparency international, il 28% dei cinesi ha pagato una bustarella a funzionari pubblici nel corso dell’ultimo anno e il 68% ritiene che la corruzione del governo sia un grave problema nel Paese.

Infine, i boss possono giocarsi un asso nella manica che viene comunemente impiegato anche dall’imprenditoria lecita quando i mercati diventano sfavorevoli: delocalizzare. In primo luogo se stessi, prendendo residenza, e talvolta cittadinanza, all’estero. Come a Taiwan, vicino alla madrepatria e con la stessa lingua e cultura, ma convenientemente privo di un trattato di estradizione con Pechino. In secondo luogo, le infrastrutture: i trafficanti cinesi hanno impiantato numerosi laboratori e centri di attività in nazioni vicine, dove le autorità sono più deboli e malleabili.

In particolare, nel vicino Myanmar, dove l’influenza cinese è particolarmente forte nello Stato di Shan situato lungo il confine tra i due Paesi. In questa regione montuosa pullulano laboratori clandestini per la raffinazione dell’eroina e la produzione di metanfetamina e altre droghe sintetiche, gestiti dai trafficanti cinesi e da gruppi armati come la United wa state army (Uwsa), sostenuta da Pechino per pragmatismo politico.

Stefano Pelaggi, ricercatore di Geopolitica.info, spiega: «Gli Wa gestiscono un vero Stato autonomo, che deve essere finanziato: è ben noto che questo accada anche tramite il narcotraffico. Sebbene i miliziani perseguano una propria linea politica, la Cina garantisce un sostegno all’esercito Wa, fornendogli anche armamenti avanzati, per avere una leva in più da impiegare nelle trattive col governo centrale del Myanmar».

Un recente episodio è sufficiente per quantificare i volumi immensi di droga prodotta sul travagliato suolo birmano: lo scorso maggio in un piccolo villaggio dello Shan sono stati confiscati più di 3.700 litri di fentanyl in forma liquida, a cui si sono aggiunte 17,5 tonnellate di metanfetamina rinvenute nell’ambito di operazioni collegate nella regione. Un risultato senza precedenti nella storia della regione indocinese.

Le attività di narcotraffico cinese in Italia, secondo la prima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia del 2020, vedono le triadi operare «in regime di sostanziale monopolio, in ordine al traffico e allo spaccio dello shaboo (cristalli di metanfetamina, ndr), una droga sintetica molto diffusa tra i giovani cinesi».

Nel nostro Paese, in base ai dati della relazione 2019 dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, gli stupefacenti tradizionali restano i più diffusi: l’uso di amfetamine, per esempio, riguarda lo 0,3% della popolazione adulta contro l’1,7% della cocaina. Tuttavia, i minori costi delle nuove droghe sintetiche e la loro per ora teorica producibilità anche su territorio nazionale potrebbero cambiare il volto del mercato.

Dice Riccardo C. Gatti, direttore del Dipartimento interaziendale prestazioni erogate nell’ambito delle Dipendenze dell’Asst Santi Paolo e Carlo, «ci sono tutte le condizioni per una tempesta perfetta, in cui da una parte avremmo consumatori di sostanze tradizionali, dall’altra avremmo un mercato di massa disponibile a sperimentare nuove sostanze che arriveranno attraverso nuovi canali distributivi».

E le nuove sostanze non mancano: nel 2020 sono state rilevate dall’Istituto Superiore di Sanità 90 droghe mai circolate prima. Due di queste sono state individuate per la prima volta in Europa proprio in Italia: oltre a un cannabinoide sintetico, c’era anche un oppioide analogo al fentanyl.

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