L’account su Twitter si chiama Libs of TikTok, aggrega contenuti Lgbtq+senza filtri e conta quasi un milione di seguaci. La fondatrice è stata tracciata e controllata da una piattaforma che riceve finanziamenti dalla Germania. Un fatto grave per la libertà di espressione
«Ti darò la mia spiegazione su cosa significa essere transgender. Quando i bambini nascono, il dottore li guarda e fa una scommessa se il bambino è un maschio o una femmina». Questo è il tipo di lezione che, di certo, non tutti i genitori gradirebbero fosse impartita ai propri figli. Ed è uno dei tantissimi contenuti «senza filtri» scovati, in Rete e sui social, da un popolare account di Twitter, denominato Libs of TikTok. In questi giorni è divenuto un caso clamoroso negli Stati Uniti, tra tentativi di censura e accuse di dossieraggio internazionale. Contro il disvelamento dell’identità della sua fondatrice, Chaya Raichik, il noto giornalista televisivo Tucker Carlson ha parlato di una «operazione di intelligence finanziata da un altro Stato, la Germania, per intimidire un cittadino americano». Ma ricostruiamo i fatti, a partire dall’origine dell’account.
Fondato in modalità anonima da una giovane ex agente immobiliare di Brooklyn, il profilo Libs of TikTok, dal 2020 in cui è stato creato, oggi ha più seguaci dell’intera popolazione del Wyoming. Tra i suoi oltre 962 mila follower compaiono moltissimi genitori con bambini nelle scuole primarie e dell’infanzia. Questo perché, sulla bacheca di Libs, vengono ricondivisi, ogni giorno, dozzine di filmati – alcuni imbarazzanti, altri inquietanti – che hanno per protagonisti maestri e docenti americani. Ripresi non dietro alla cattedra ma intenti a raccontarsi, fin nei dettagli più intimi della vita privata.
Alcuni rivelano di condividere, davanti ad alunni anche minorenni, i contenuti della loro vita sessuale e la loro percezione «non binaria» della natura umana. «Definire il genere è pericoloso. Si nasce con ogni tipo di cromosomi e di corpi, ci sono donne che fanno l’isterectomia, altri che nascono in altre condizioni» spiega un giovane educatore con barba e rossetto davanti alla fotocamera. «Non dovremmo definire la parola “donna” perché è una forma di oppressione, e parlare di due (generi) è pericoloso».
Spesso si tratta di attivisti liberal e/o di esponenti dichiarati della comunità Lgbtq+. Rivelati, nelle loro ipocrisie e idiosincrasie, attraverso filmati, storie e post realizzati da loro stessi e ricondivisi, quasi senza editing, da Libs of Tik Tok. Tra i contenuti più disturbanti spicca la foto di una bambina piccola, bianca, cui qualcuno ha messo in mano un cartello con la scritta «Privileged», sormontata da una freccia che punta al suo viso, e sotto campeggia l’hashtag #blacklivesmatter. Un altro post mostra libri scelti con entusiasmo da Miss King, una maestra d’asilo di New York, per «diversificare la biblioteca» della scuola: titoli come Sam is my sister o Sharice’s big voice, con protagonisti bimbi che scelgono di cambiare identità tramite la pratica del cross-dressing, ovvero travestendosi con gli abiti del sesso opposto.
In un altro video, divenuto virale, si può ascoltare un giovane professore della Old Dominion University, Allyn Walker, mentre cerca di sdoganare il concetto di pedofilia introducendo l’acronimo MAP (Minor Attracted Persons), «meno stigmatizzante del termine pedofilo, ingiustamente identificato come predatore sessuale, anche se non è così» si prodiga nella sua spiegazione, che ha ottenuto oltre 3 milioni di visualizzazioni. Seppure vittime della loro stessa vanità, gli educatori e i docenti ritratti nei filmati non hanno affatto gradito di vedersi mettere alla berlina su un profilo, quello di Libs of Tik Tok, i cui follower non concordano, anzi spesso contestano, la loro sbandierata «vocazione educativa». Per molti, una subdola forma di indottrinamento politico e sessuale degli alunni, all’insaputa delle famiglie.
Dopo numerose segnalazioni, tra cui la denuncia di un insegnante di giurisprudenza di Harvard, Twitter ha sospeso l’account di Libs due volte. Non ha potuto bannarlo permanentemente perché, come riportato sul profilo, «tutti i video appartengono ai rispettivi proprietari». Nulla di quanto esposto, insomma, è inventato o manipolato. Ci ha pensato il Washington Post, seguito da network quali Cnn e Msnbc, a scatenare una campagna molto aggressiva per rivelare l’identità nascosta dietro l’account di Twitter. Una reporter del giornale di Jeff Bezos, Taylor Lorenz, è andata a bussare persino alla porta dei genitori, rivelandone l’indirizzo. In seguito, il quotidiano ha pubblicato un articolo che collegava nome, indirizzo fisico e informazioni sulla licenza immobiliare della donna che gestisce Libs of Tik Tok. Costretta a nascondersi dopo le numerose minacce di morte ricevute.
Ma è qui che Carlson, nel suo show su Fox News, ha rivelato come il Washington Post sia entrato in possesso dell’identità dell’autrice di Libs: «Le informazioni sono arrivate dal Travis Brown Hatespeech-Tracker, il cui scopo è fornire dati riservati su privati cittadini che deviano dai discorsi consentiti dal governo. Ma chi paga per questo servizio?». A finanziarlo, ha rivelato, è la piattaforma The Prototype Fund, che sul suo sito descrive il servizio come «uno strumento per combattere gli account degli estremisti di destra su Twitter e Facebook e archiviare i loro contenuti prima che vengano cancellati dai moderatori».
Una sorta di polizia preventiva del Web in grado di schedare gli utenti, attraverso la raccolta di dati sensibili, quando i loro contenuti vengano segnalati come «razzisti», «suprematisti», «complottisti» e via dicendo. «Non ci si può nascondere dai loro software automatizzati, che tracciano ogni username e post sui social, anche se rimosso» ha aggiunto Carlson. «Ma la cosa più interessante è che Prototype Fund è finanziato dal governo tedesco attraverso il ministero federale dell’Istruzione e della ricerca (gestito e valutato dalla Open Knowledge Foundation Germany si legge sempre sul sito, ndr). Quindi la vita della fondatrice di Libs of TikTok è stata distrutta non da un’inchiesta del Washington Post ma da un’attività di intelligence straniera, creata per silenziare e intimidire un cittadino americano. Tutto questo è legale?».
Se si aggiunge che non risultano casi di «tracciamenti» di nessuno degli account o dei tanti contenuti violenti diffusi da movimenti come Black Lives Matter o Antifa, e che Travis Brown non è un attivista qualunque ma è un ex dipendente di Twitter, sorge più di un dubbio sulla privacy. Soprattutto sulle garanzie – fornite dalle varie piattaforme al momento di iscriverci – di non consentire e non cedere le nostre informazioni sensibili per schedature di massa. Non solo dei nostri dati più sensibili, ma oggi dei nostri stessi pensieri.