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Il futuro si è fermato a Kabul

Il futuro si è fermato a Kabul

  • Ora che gli ultimi militari occidentali hanno abbandonato l’Afghanistan, inizia il vero dramma di chi ha collaborato con gli «invasori» e non ha potuto lasciare il Paese. I talebani sanno chi sono e, come alcuni di loro raccontano a Panorama, il pericolo di rappresaglie è una concretissima prospettiva.
  • Panorama ha intervistato uno dei leader talebani a Kabul

«Come vedete le strade sono vuote. Prima erano piene di gente. E sono scomparse le donne. I talebani non le vogliono in giro» spiega uno degli interpreti dei soldati italiani che è rimasto indietro, tagliato fuori dalla drammatica evacuazione dall’aeroporto di Kabul. S. ha mandato un video che riprende la ruota della sua bicicletta, la zona circostante e fa sentire la voce, senza vedere la faccia, mentre pedala nel centro di Herat. Fino a due mesi fa il contingente italiano aveva il suo quartier generale alle porte della città, Camp Arena a fianco dell’aeroporto, oggi in mano ai talebani del nuovo Emirato islamico.

L’operazione dell’Italia Aquila Omnia ha portato in salvo 4.980 afghani che hanno collaborato con i militari, attivisti dei diritti umani e femminili, militari e atleti a rischio rappresaglia. Oltre il muro dello scalo di Kabul, però, «ne sono rimasti altrettanti e lo dico con un nodo alla gola» ha ammesso il generale Luciano Portolano, che ha guidato l’operazione da Roma. Per i Paesi della Nato sono almeno 60 mila, ma gli americani ne stimano 100 mila e anche più.

Vent’anni dopo l’11 settembre e l’intervento in Afghanistan quale sarà il loro destino? Riusciranno a scampare dalla Caporetto afghana? «Il segretario generale della Nato è stato chiarissimo: non si abbandona nessuno. E io farò di tutto per aiutare chi è rimasto indietro» dichiara a Panorama l’ambasciatore Stefano Pontecorvo. Rappresentante civile dell’Alleanza atlantica per l’Afghanistan è rimasto a Kabul fino all’ultimo giorno dell’evacuazione.

S. aveva lavorato quattro anni come interprete per i soldati italiani e poi si è arruolato nell’esercito afghano, scioltosi come neve al sole davanti all’avanzata talebana. Il 19 agosto è partito da Herat con la famiglia arrivando il giorno dopo a Kabul. Da giorni cerca di raggiungere uno degli ingressi dello scalo per l’evacuazione. «Sto diventando pazzo. A Herat i talebani sono venuti a cercarmi a casa. All’aeroporto non mi fanno entrare» sono le parole disperate del nostro ex interprete. S. continua a inviare messaggi a un tenente colonnello della task force italiana dentro lo scalo, che non risponde più. L’ultimo volo parte il 27 agosto. S. torna a Herat deciso a lasciare il paese verso l’Iran dove l’ambasciata italiana dovrebbe garantirgli un visto umanitario.

Hassan, un altro ex intreprete, è rimasto bloccato a nella capitale. «I talebani passano armati sotto le finestre del mio albergo. Non faccio altro che pensare a quand’ero a Bala Baluk, nella provincia di Farah, con l’esercito italiano. Se lo scoprono mi ammazzano in strada, senza processo» scrive via WhatsApp. Noori ce l’aveva quasi fatta, dopo una settimana di tentativi. Il 26 agosto l’attentato del kamikaze dell’Isis-Khorasan in mezzo alla folla in fuga che provoca 170 morti fa saltare tutto: «Nel caos abbiamo perso soldi e passaporti. Non possiamo più andare da nessuna parte. Siamo bloccati nel limbo afghano».

Anche 118 studenti, comprese 81 ragazze, già iscritti all’Università La Sapienza di Roma sono rimasti tagliati fuori e ora si nascondono dai nuovi padroni di Kabul. Un chirurgo afghano che si è formato da noi, inserito nelle liste di evacuazione, non è riuscito a raggiungere l’aereo della salvezza, bloccato una volta dai talebani e la seconda dai soldati americani. In tanti, dopo aver tentato di raggiungere i cancelli dell’aeroporto circondati da migliaia di persone, sono scappati nel Panjshir, la valle a nord di Kabul, dove resiste Ahmad Massoud con i corpi speciali che non hanno ceduto le armi.

Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha lanciato un appello all’Unione europea. «C’è un reale rischio in Afghanistan che procuratori e giudici, soprattutto donne, siano perseguitati» si legge nella lettera. Anche avvocati afghani hanno chiesto aiuto all’Italia, che per vent’anni ha messo in piedi la giustizia afghana.

«Come Nato sono rimasti indietro 2 mila collaboratori afghani che consideriamo a vari livelli di rischio» ammette Pontecorvo. «I corridoi umanitari difficilmente verranno concessi perché i talebani non possono permettersi di favorire l’esodo dell’intellighenzia del Paese. O vanno nelle nazioni limitrofe oppure hanno promesso di lasciarli andare quando ripartiranno i voli commerciali, ma devono avere un documento valido per l’espatrio. E come ottengono un visto a Kabul se le ambasciate sono chiuse?» dice il diplomatico. Il piano di fuga per chi è nelle «liste di Schindler» afghane prevede di scappare in Iran o Pakistan e ottenere il visto umanitario alle nostre sedi diplomatiche a Teheran, in Iran e Islamabad, in Pakistan.

Una caccia all’uomo a tappeto in tutto il Paese non è scattata, ma i talebani o con maggiore probabilità i loro consiglieri pachistani hanno fatto di meglio. Il 15 agosto, quando Kabul è caduta senza sparare un colpo nelle mani dei talebani, unità speciali si sono dirette al quartier generale dell’Nds, i servizi segreti afghani e al ministero delle Telecomunicazioni.

L’obiettivo era mettere le mani sui documenti con i nomi degli informatori sul libro paga dell’intelligence e sul sistema fornito dalla Cia per intercettare i cellulari afghani. Nessuno aveva fatto in tempo a distruggere i documenti e l’attrezzatura sensibile. Non è escluso che negli archivi dell’Nds ci siano anche nomi e informazioni sui collaboratori della Nato, compresi quelli che hanno lavorato per gli italiani.

Addirittura il Qatar, alleato dei talebani, si è unito alla comunità internazionale nell’appello per garantire «un passaggio sicuro a chi vuole lasciare il Paese». Papa Francesco ha fatto sentire la sua voce per salvare chi è rimasto indietro. L’Osservatore romano scrive: «Non tutti ce l’hanno fatta a salire su un aereo. Ancora più numerosa è la schiera di quanti non sono riusciti a varcare uno dei confini terrestri raggiunti spesso dopo giorni di cammino. E così per gli afghani costretti a rimanere nel Paese sotto il “nuovo” regime dei talebani la vera emergenza comincia adesso».

La guerra lampo degli insorti ha spinto 320 mila afghani a scappare verso Kabul. «C’è anche una pesante siccità che colpisce aree dove vivono 10 milioni di persone. E non sarà facile distribuire gli aiuti in vista dell’inverno. Temo forti spostamenti di popolazione all’interno e verso l’esterno» osserva Pontecorvo.

Il nuovo Emirato dovrà fare i conti con lo stop agli aiuti, non solo per la chiusura degli aeroporti. Durante un incontro segreto con i vertici talebani Richard Moore, capo dell’MI6, l’intelligence britannica, ha avvisato che non arriverà niente fino a quando l’Emirato sarà alleato di Al Qaida. Il Segretario generale delle Nazioni unite António Guterres lancia l’allarme: «Una catastrofe umanitaria incombe in Afghanistan». Ramiz Alakbarov del Programma alimentare mondiale ha riferito che un terzo della popolazione di 38 milioni di abitanti sopravvive grazie agli aiuti internazionali. Degli 1,3 miliardi di dollari necessari è stato coperto il 39 per cento. Grazie al congelamento dei finanziamenti in seguito alla presa del potere dell’Emirato «le scorte di cibo potrebbero esaurirsi a fine mese».


«Così sarà il nostro Afghanistan»

Il futuro si è fermato a Kabul
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Panorama ha intervistato uno dei leader talebani. Che qui presenta un volto accettabile del nuovo potere di Kabul. Tra richiesta di apertura all’Occidente, garanzie per i diritti delle donne, lotta al narcotraffico, volontà di dialogo con il nostro Paese. E con una previsione netta sui terroristi di Isis-Khorasan.

di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi

Intendiamo mantenere relazioni diplomatiche, economiche e interpersonali con l’Italia e speriamo che anche il governo italiano prenda una posizione che sia vantaggiosa per entrambe le nazioni». Ecco cosa pensano i leader talebani dei rapporti con il nostro Paese. A rivelarlo uno dei loro esponenti, Abdul Qahar Balkhi, membro della Commissione cultura. Tutto il mondo lo ha osservato durante la prima conferenza stampa dei talebani, intento a tradurre in inglese le domande dei giornalisti al portavoce ufficiale Zabihullah Mujahid. «Sono in viaggio al momento, appena posso rispondo alle altre domande. Potete contattarmi su WhastApp a questo numero» aggiunge. Quegli stessi guerriglieri che siamo abituati a descrivere come personaggi dai modi medievali, in realtà usano la tecnologia e i social network come e meglio di molti occidentali. Prova ne sia che, poco dopo il precipitoso ritiro degli americani da Kabul, abbiamo raggiunto e intervistato Balkhi senza troppi problemi. Pur con qualche omissione, la disponibilità di Abdul Qahar Balkhi a parlare appare sorprendente rispetto alla diffidenza che ha caratterizzato gli esponenti talebani del passato.

Dite di essere diversi dal passato e di voler rassicurare la popolazione afghana sul buon governo che seguirà il vostro insediamento a Kabul. Ma, a guardare gli omicidi politici, i sequestri di persona e gli scontri all’aeroporto, non sembra affatto così. Come risponde a questi rilievi?

Il nostro popolo deve aspettarsi da noi più sicurezza e sviluppo economico, servizi di utilità e la fine della corruzione in tutte le sfere di governo. Non stiamo cercando di ridurre le libertà individuali e lo dimostra il fatto che non abbiamo tagliato i servizi internet da nessuna parte. Crediamo nel diritto di ogni individuo alla libertà di parola, di religione e di azione entro i limiti della legge islamica.

Che cosa significa quest’ultima affermazione?

Che nessuno deve violare i diritti degli altri e non deve promuovere il vizio o l’odio tra le diverse etnie dell’Afghanistan.

Chiederete il riconoscimento del vostro governo alle Nazioni unite?

Sì. Stiamo sostenendo e sollecitando la comunità internazionale a riconoscere il futuro governo dell’Afghanistan in modo da poter affrontare insieme le sfide reciproche senza dover più ricorrere alla guerra e ai giochi di potere.

Quali Stati hanno già riconosciuto il vostro governo e quali alleanze avete stretto? Chi guiderà il Paese, e quale nome e forma di Stato prenderà l’Afghanistan?

Tutte queste domande troveranno risposta dopo le consultazioni e l’annuncio ufficiale del nuovo governo. Non ho dettagli sulla forma e le modalità del futuro sistema di governo, tranne che sarà pienamente conforme all’Islam e alla legge islamica.

Dopo l’attentato terroristico all’aeroporto di Kabul, è chiaro che dovrete fronteggiare in Afghanistan la minaccia dell’Isis-Khorasan. Il timore degli analisti è che il vostro Paese diventi un rifugio per il terrorismo internazionale già domattina. Come lo impedirete?

Sia chiaro che l’Isis è un fenomeno che ha messo le ali nel nostro Paese soltanto sotto l’occupazione degli Stati Uniti e così com’è arrivato, dopo che le forze Usa e Nato saranno andate via, questo fenomeno conoscerà la sua giusta fine.

Intende dire che lo hanno creato gli americani o voi stessi in funzione anti-governativa?

Io dico questo. La nostra politica è chiara: non permetteremo mai a nessuno di usare il suolo dell’Afghanistan per minacciare la sicurezza degli altri, né permetteremo ad altri di interferire nei nostri affari interni.

Nelle prime vostre dichiarazioni, avete affermato anche che proibirete la coltivazione dell’oppio. Come farete ad abbandonare un business così remunerativo?

Abbiamo sempre sostenuto che la coltivazione del papavero è stata vietata durante il nostro precedente governo, mentre ha trovato nuova vita – così come molti altri mali – durante l’occupazione Usa-Nato. Sottolineiamo ancora una volta che la produzione e il commercio di narcotici non saranno tollerati in Afghanistan. Ma abbiamo bisogno della cooperazione della comunità internazionale per affrontare la situazione, fornendo agli agricoltori mezzi di sostentamento alternativi.

C’è grande preoccupazione in Occidente per il futuro delle donne afghane che, sotto il vostro governo, hanno sempre avuto restrizioni severissime della libertà. Avranno il diritto di uscire da sole sotto il nuovo governo? Potranno lavorare e andare a scuola o all’università? Come dovranno abbigliarsi, e perché?

Voglio rassicurare che le donne hanno già e continueranno ad avere tutti i diritti offerti loro dall’Islam, incluso il diritto all’istruzione, alla salute, al lavoro. Non c’è alcuna uniforme specifica che debbano indossare forzatamente, né imporremo loro restrizioni sull’abbigliamento islamico, come invece alcuni Paesi hanno fatto.


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