Nato da un piccolo gruppo Facebook, oggi il comitato «Noi denunceremo», oltre 60.000 iscritti e attivo in tutta italia, presenta centinaia di esposti in un’inedita azione legale di massa contro tutti gli errori commessi in pandemia.
«Ho perso mia madre il 9-05 e ho vissuto la vostra stessa impotenza da casa. Leggere le Vostre storie mi strazia il cuore, ma allo stesso modo sento di non essere sola. Come avete ben scritto, solo chi ha vissuto questo genere di perdita può capire… chissà se un giorno avremo le risposte che meritiamo…» scrive il 18 luglio Stefania Cappello, sulla pagina Facebook di «Noi denunceremo».
Il comitato è nato per fare luce su errori e negligenze compiuti nell’affrontare la pandemia. L’obiettivo è ottenere giustizia per i propri cari spazzati via dal virus cinese. Il 13 luglio «Noi denunceremo – Verità e Giustizia per le vittime di Covid-19» ha inviato una lettera a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, chiedendo di «supervisionare le indagini in corso sull’epidemia di coronavirus in Italia». I parenti delle vittime cercano giustizia. E lo fanno «consapevoli del fatto che l’Italia è un Paese in cui l’establishment politico è particolarmente abile nell’insabbiare inchieste e creare capri espiatori».
Luca Fusco, commercialista, racconta a Panorama che «con mio figlio Stefano abbiamo fondato il gruppo su Facebook il 22 marzo, 11 giorni dopo la morte di papà in una residenza per anziani bergamasca. Non pensavamo che il gruppo crescesse così tanto. L’avevamo creato solo per condividere la morte di mio padre e del nonno di Stefano perché in quel periodo non si potevano celebrare funerali e ci pareva un modo per onorare la sua memoria».
Dopo due giorni gli iscritti erano 5.000 e in una settimana il doppio. A metà luglio i membri della catena del dolore sono 60.249. Lo scopo è chiaro: «Insieme possiamo rendere giustizia ai nostri cari che non ci sono più, a chi ha sofferto e sta soffrendo a causa della diffusione del Covid-19 su tutto il territorio italiano. Se vuoi unirti alla nostra azione, clicca sul pulsante e invia la tua denuncia». L’appello si legge sul sito di «Noi denunceremo», che come copertina ha scelto la drammatica immagine dei camion militari che portano via i feretri delle vittime del coronavirus a Bergamo, dove l’inceneritore non riusciva a cremare tutti i morti.
Il primo «denuncia day», davanti alla Procura di Bergamo, si è svolto il 10 giugno con la consegna di una cinquantina di esposti rigorosamente contro ignoti. Nella città lombarda massacrata dal virus c’è un pool guidato dalla pm Maria Cristina Rota, che il 12 giugno ha sentito a Roma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri Luciana Lamorgese e Roberto Speranza sulla mancata zona rossa vicino a Bergamo.
Il 13 luglio, per il secondo «denuncia day», sono stati presentati altri esposti, circa un centinaio. Non solo dal Nord Italia, ma pure da Puglia, Campania e per la prima volta una denuncia dalla capitale depositata dai figli di Rufino e Lina, morti in casa senza neppure avere potuto fare il tampone. «Abbiamo ricevuto altre 150 segnalazioni» rivela Fusco. «Per questo prevediamo di organizzare un nuovo “denuncia day” in settembre».
Consuelo Locati è l’avvocato che guida il team di legali di questa inedita azione legale di massa, che non prevede alcun risarcimento economico attraverso il comitato. Le denunce riguardano le carenze nella gestione dei pazienti, i lazzaretti che si sono creati nelle case di riposo, i dispositivi di protezione introvabili e la mancata istituzione di una zona rossa in Val Seriana, oltre alla chiusura e pericolosa riapertura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo.
«Mio papà Giovanni, mancato il 4 aprile, era in una Rsa del Piemonte, stava bene ma dopo negligenze madornali si è ammalato di Covid e in 10 giorni se ne è andato. Non ho più lacrime. Buona serata a tutti» si sfoga Cristina Cretu sulla pagina Facebook di «Noi denunceremo». Michelina Di Cesare si lamenta: «Non so se avete notato, ma delle tragedie che raccontate su questa pagina non se ne sente praticamente più parlare…».
Annarita Pierri, che ha perso la mamma, vuole «giustizia come tutti voi. (…) Inoltre il virus potrebbe riprendersi in autunno e credo sinceramente che chi ha sbagliato così tanto non deve più ricoprire gli stessi posti di comando. Non ne faccio una questione politica. Non mi interessa niente del colore di bandiera».
Una sessantina di promotori di «Noi denunceremo» ha scritto alla presidente della Commissione Ue, Von der Leyen e a Robert Ragnar Spanò, alla guida della Corte europea dei diritti dell’uomo, ricordando che solo Bergamo e Brescia contano 11.000 morti sugli oltre 35.000 registrati in Italia. I familiari delle vittime sono convinti che nella regione più colpita dal virus «sembrano esserci segni di indicibili crimini contro l’umanità». La lettera-appello ricorda che «il 2 marzo e il 5 marzo l’Istituto superiore di sanità ha consigliato al governo di chiudere Alzano Lombardo, Nembro in provincia di Bergamo e Orzinuovi (Brescia)», ma le cittadine dove il virus esplodeva «non furono mai chiuse nonostante l’esercito fosse pronto a ricevere la direttiva sull’applicazione della zona rossa».
E ancora: «Se i pubblici ministeri dovessero stabilire che le mancate zone rosse appartengono alla sfera della politica piuttosto che al diritto penale, risulterà chiaro come la decisione di non contenere la diffusione del virus, in accordo con i pareri della comunità scientifica, sia stata intenzionale». Non solo: «Uno scenario ancora peggiore emergerebbe se il pool di consulenti scientifici nominati dal Tribunale di Bergamo potesse dimostrare con analisi epidemiologiche che l’intero Paese dovette essere bloccato a causa dei ritardi delle autorità politiche nel prendere una decisione sul destino di queste tre città. Un blocco nazionale che ora sta causando ulteriori incertezze finanziarie in un’economia già stagnante».
Poi i firmatari puntano il dito contro la direttiva della Regione Lombardia «che suggeriva agli ospedali di trasferire i pazienti con coronavirus a basso rischio in case di cura per liberare alcuni letti e far fronte alla incessante domanda durante tutta l’emergenza». A Bergamo il 32,7% degli anziani ospiti delle case di riposo hanno perso la vita nei primi quattro mesi dell’anno e 1.600 sono state le vittime a Brescia.
Le accuse alla Regione a guida leghista ha provocato la reazione di Matteo Salvini. «Smettiamo di gettare fango sulla Lombardia» ha commentato il leader della Lega. «Porto enorme rispetto per i parenti delle vittime, ma siamo concreti. Le cosiddette zone rosse erano competenza del governo. È giusto chiedere chiarezza e se qualcuno ha sbagliato paghi, però prendersela con il medico di Codogno o con il sindaco del paesino è veramente ingeneroso».
Sul comitato fioccano accuse di «giustizialismo» e caccia alla streghe contro medici e infermieri. Luca Fusco sottolinea che «vedere le persone in galera non è il nostro scopo. L’obiettivo primario è fare emergere attraverso le indagini le debolezze del sistema sanitario regionale» e arrivare «a una riforma» per evitare che in futuro si ripetano gli stessi errori. I fondatori del comitato ribadiscono: «Non siamo giustizialisti. Per noi i medici sono le prime vittime di questa tragedia». Anche se diverse testimonianze del gruppo, alla base degli esposti, puntano il dito contro i camici bianchi.
«Le cure sono state troppo tardive» racconta la moglie di Pietro, ucciso dal virus. «Il rianimatore chiama mia figlia Stefania e con aggressività e assoluta mancanza di rispetto dice che tanto non ci sono speranze per suo padre, che ha intubato un muro, frase intollerabile». Però le stesse regole del comitato prevedono che «non sarà possibile presentare denuncia verso ospedali, medici e personale sanitario».
Sulle pesanti accuse «di crimini contro l’umanità», forse esagerate, il presidente Fusco risponde a Panorama che «sarà un magistrato a stabilirlo. E se non dovessimo essere soddisfatti dalle conclusioni della giustizia ordinaria, impugneremo la sentenza facendo ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo».
