Non potendo attraccare per la pandemia, 400 nostre navi sono bloccate al largo o in porti lontani, con l’equipaggio da mesi senza ricambio. Dal governo però ancora oggi non arrivano risposte.
«Stiamo navigando nell’oceano Atlantico diretti a New York, dove non sarà possibile scendere a terra o effettuare il cambio equipaggio a causa della pandemia. A bordo abbiamo del personale che è in mare da otto mesi. Vogliono tornare a casa, ma teniamo duro e non molliamo. Se ci fermiamo noi, si ferma il mondo». La voce del comandante Valerio Taiano arriva forte e chiara, via telefono satellitare, dalla nave portarinfuse Cielo di San Francisco della compagnia D’Amico. Una delle 400 unità mercantili italiane che per colpa del virus, dei porti sigillati per evitare il contagio e del blocco dei trasporti aerei non riesce a fare tornare a casa l’equipaggio.
«Nell’arco del prossimo mese e mezzo si dovranno effettuare circa tremila cambi equipaggio che riguarderanno (…) imprese armatoriali con stabile organizzazione in Italia» scrive Confitarma al governo il 12 maggio, sollecitando che vengano adottate le proposte dell’Imo, l’Onu del mare per superare l’emergenza. La soluzione sono i «corridoi di transito sicuro» per l’esercito di marittimi italiani costretti a navigare senza ricambio come nei film post atomici sulla fine del mondo.
«Persistono serie difficoltà legate alle operazioni di imbarco, sbarco e rimpatrio dei marittimi che – come più volte rappresentato – incidono inevitabilmente sul normale recupero delle energie psicofisiche da parte del personale imbarcato, i cui contratti di arruolamento sono stati in molti casi estesi oltre la durata originariamente prevista e, in molti casi, oltre il limite massimo di 11 mesi» denuncia Mario Mattioli, presidente della Confederazione italiana degli armatori. L’ennesima comunicazione urgente è indirizzata al ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, ma pure al responsabile del Viminale, Luciana Lamorgese, della Salute, Roberto Speranza e al dicastero degli Esteri di Luigi Di Maio.
«Il problema è molto serio e riguarda nel mondo 150.000 marittimi che devono avvicendarsi. Gli italiani sono 3.000. Non dimentichiamoci che via mare viene trasportato il 90% delle merci» spiega Mattioli a Panorama. Fa notare Leonardo Piliego, capo servizio per le risorse umane di Confitarma: «In Estremo Oriente, dove si registra il maggiore traffico marittimo globale, è praticamente impossibile fare il cambio di equipaggi. Medio Oriente e soprattutto Stati Uniti sono in lockdown. E abbiamo avuto problemi in Europa dai Paesi iberici all’Inghilterra, dalla Francia alla Romania».
La Fase 2 e 3 per i marittimi sono ancora lontane. Per far sbarcare in Portogallo un connazionale malato, non di coronavirus, è stata necessaria addirittura una settimana. Equipaggi senza ricambio anche sulla rotte del Sud America, dove il contagio è esploso in Brasile. «Pure in Africa occidentale ci sono problemi. Navi d’appoggio alle piattaforme davanti le coste angolane non riescono a cambiare gli equipaggi, che dovevano avere turni di poche settimane» evidenza Luca Sisto, direttore generale di Confitarma.
Le autorità locali non fanno scendere a terra i marittimi costretti negli spazi di unità molto piccole. Il primo maggio, sulla motonave Blue brother che costeggiava il Congo, il comandante ha fatto suonare le sirene riprendendo in un video la plancia con il tricolore in evidenza e l’auspicio «che l’epidemia sia spazzata via per farci tornare a casa da dove manchiamo da troppo tempo». In mezzo all’Atlantico, il comandante Taiano della Cielo di San Francisco racconta che «l’ultimo cambio con il sottoscritto l’abbiamo fatto a febbraio, poi ci siamo trovati in mezzo al lockdown mondiale a Suez».
Nei porti, anche nell’Europa che riparte come l’Olanda «usiamo tute, guanti, mascherine quando sale il pilota a bordo, e la plancia viene sanificata». Se non ci sono contagi la nave è un’isola felice: «In mare cerchiamo di mantenere il metro di distanza e due volte al giorno tutto l’equipaggio si misura la temperatura». Anche con sintomi minimi è previsto l’immediato isolamento e la nave va in quarantena. «I marittimi sono una categoria dimenticata, non solo in questo caso. A Roma ci considerano lavoratori di serie B» osserva Taiano, 30 anni, di Gaeta.
Una task force ad hoc dell’International marittime organization (Imo) ha preparato piano e protocolli «per creare corridoi preferenziali sulle maggiori rotte ed effettuare i cambi in date coerenti per trasportare una massa critica di equipaggi» spiega Mattioli. Nell’ultima comunicazione urgente al governo «si propone di valutare la possibilità che l’aeroporto internazionale di Roma Fiumicino sia designato quale hub italiano attraverso cui consentire il transito» dei marittimi che sbarcano e devono rientrare in patria o si imbarcano. Il 3 giugno dovrebbero riaprire gli aeroporti italiani, ma grandi scali sia aerei che marittimi come Singapore hanno rifiutato marittimi in transito anche se facevano il tampone per il Covid-19.
Il rompighiaccio Laura Bassi che naviga in Antartide per l’Istituto nazionale di oceanografia di Trieste è approdato in Nuova Zelanda il 20 febbraio, a ridosso dell’incubo pandemia. Nove marittimi a bordo da ottobre dovevano sbarcare, ma la prima prenotazione utile di un volo dalla capitale era a fine marzo. Alla fine sono riusciti a partire il 9 aprile con la Qatar airways, unica compagnia operativa da Auckland via Doha e Londra. «Poi grazie a un volo Alitalia organizzato dalla Farnesina sono tornati in patria» raccontano dalla società armatrice Argo.
A bordo è rimasto il comandante, Diego Denardi, ligure di 41 anni, con personale in mare da dicembre che dovrebbe fare un turno massimo di 4 mesi. «Ho attraversato zone a rischio pirateria, il mare in burrasca, i ghiacci dell’Antartide, ma un’emergenza del genere non l’avrei mai immaginata» dice il capitano. «Il nostro pensiero va alle unità off shore in Africa o alle grosse navi mercantili che vivono situazioni veramente pesanti. Noi marittimi siamo ottimi contribuenti, ma come cittadini ogni tanto chi governa si dimentica che esistiamo». E per la nave oceanografica il problema si ripropone: «Il primo volo disponibile per il ricambio è il 15 giugno» spiegano dalla compagnia. «Se l’equipaggio che deve subentrare partirà, dovrà poi comunque fare 14 giorni di quarantena ad Auckland. Il personale che sbarca, se va tutto bene, arriverà in Italia la prima settimana di luglio».
Quest’estate dovranno ripartire anche le crociere, ma il governo non ha ancora deciso nulla. «Al momento è tutto bloccato» dichiara il presidente di Confitarma. «Chiediamo una riapertura a tappe iniziando con i porti italiani, ma non vorremmo che le nostre navi passeggeri finiscano per essere svantaggiate rispetto ad altre bandiere».