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Così torna la grande bellezza dei Musei vaticani

Così torna la grande bellezza dei Musei vaticani

Dopo quasi due anni, si rivedono file di visitatori davanti a questo polo dell’arte rIcolmo di capolavori. Tra loro tanti giovani, convinti anche grazie a un nuovo approccio ai social network e al «reclutamento» di influencer. Come racconta a Panorama chi, un tale scrigno, lo dirige.


In principio furono i Ferragnez. Durante la prima riapertura, lo scorso giugno, la regina delle influencer postò una foto nella Cappella Sistina, scatenando il putiferio ma ricordando così a tutti la nostra Grande Bellezza. L’idea fu di Monsignor Paolo Nicolini, deus ex machina dei Musei, l’uomo che di queste preziose stanze conosce ogni più piccolo respiro. Oggi, dopo mesi molto difficili, finalmente sono ritornate le file davanti alla monumentale porta d’ingresso. Seimila visitatori al giorno, certo non sono le 22.000 presenze quotidiane che si vedevano prima della pandemia, ma rappresentano il segnale forte di una ripresa importante per un luogo unico al mondo.
Nel suo studio, con una spettacolare vista sulla cupola di San Pietro, Barbara Jatta, direttore dal primo gennaio 2017, racconta come hanno vissuto quest’anno e mezzo così anomalo e crudele. «Divido il periodo in due momenti: il primo lockdown fu molto duro. Avevo paura per tutti quelli che lavoravano con me, per le loro famiglie. Sono stati mesi di grandi inquietudini. Il mio ricordo più forte è il Papa che prega nella piazza deserta e alle sue spalle c’è il crocifisso di San Marcello bagnato dalla pioggia. Sembravano le nostre lacrime. Il giorno dopo mi preoccupai di convocare le restauratrici per controllarlo, ma le sue condizioni erano perfette».

Come ha vissuto il museo queste lunghe chiusure?
«Ha continuato a vivere, a funzionare. È come un organismo vivente. È impensabile che un museo che si estende per sette chilometri possa essere totalmente chiuso. Ogni giorno i «clavigeri» controllavano tutto per ben due volte».

Cosa è cambiato con le riaperture?
«Quest’ultima volta è stata diversa dalle altre. Il museo ha avuto tre chiusure durante la pandemia. Da maggio abbiamo riaperto i cantieri di restauro, avevamo sospeso tutte le celebrazioni di Raffaello, così i primi a tornare sono stati i restauratori della Sala di Costantino, l’ultima delle quattro Stanze di Raffaello. Erano stati gli ultimi ad andare via. Poi sono tornati i visitatori in presenza. Contingentati. All’inizio non c’era un grande pubblico, rari i turisti. Da gennaio siamo stati tutti vaccinati e così abbiamo aperto in totale sicurezza: termoscanner all’ingresso, sanificazioni, aerazione degli spazi».

Che cosa l’ha sorpresa di più?
«Abbiamo lavorato molto con i social network nel periodo di chiusura e sono arrivati inaspettati tantissimi giovani, che qui non avevamo mai avuto. Abbiamo gettato semi su un pubblico che non si era ancora avvicinato e questi semi hanno dato frutto: si sono presentate le nuove generazioni. Ne siamo molto felici».

Come vede la presenza degli influencer? Hanno dato un contributo alla ripartenza?
«Non ho nessuna preclusione. È venuta Chiara Ferragni e anche Cristina Fogazzi, ossia l’Estetista cinica, e hanno smosso i loro seguaci. L’ho notato anche con i miei figli che hanno tutti e tre meno di trent’anni: i loro amici, che mai si sarebbero sognati
di venire, hanno visitato il museo per la prima volta. Grazie agli influencer, alle foto più belle dei visitatori che scegliamo e ripostiamo ogni giorno sul nostro profilo Instagram (@vaticanmuseums), abbiamo attirato una nuova fascia di pubblico. Era la cosa giusta da fare, ed è bellissimo perché si appassionano, si interessano».

Quale è stata la lezione più importante della pandemia?
Che non ci sono certezze e in qualche modo dobbiamo reinventare il museo e non tornare agli schemi di prima. Il digitale nella fase di lockdown stretto è stato il grande vincitore. Un approccio misto è fondamentale, anche perché sono convinta che nessuna visita virtuale potrà mai sostituire una reale, ma nei momenti di difficoltà aiuta tanto. Nel periodo della chiusura gli accessi al nostro sito sono decuplicati. Un esempio recente: abbiamo registrato dirette streaming dei «Giovedì dei Musei». In diretta erano collegati in oltre 500, una cosa impensabile per la nostra sala conferenze che riusciva al massimo a contenerne 160, spesso uno sopra l’altro. E il giorno dopo lo avevano già rivisto quasi mille persone. Grazie alla tecnologia si è raggiunto un pubblico più vasto. Certo i flussi contingentati non ci permettono di avere i numeri di prima. Ma comunque in questo momento si ha la possibilità di fare in tranquillità una visita meravigliosa».

È il momento giusto per venire ai Musei vaticani?
«Ora più che mai. È il momento perfetto per vederli con calma, immergendosi nella Storia e in questa spiritualità profonda».

Come siete riusciti a mantenere tutto questo malgrado i lunghi mesi senza pubblico?
«È stato molto difficile, per ora alcune mostre sono state rimandate. Abbiamo potenziato l’e-commerce. Fatto appello ai nostri grandi finanziatori, i Patrons of the Arts in the Vatican Museums, sostenitori da tutto il mondo, specialmente americani. E mai come quest’anno ci hanno aiutato. Hanno capito subito. Poi Papa Francesco non ha voluto decurtare lo stipendio di nessuno. Tutti hanno continuato a mantenere il loro posto di lavoro».

Quante persone vi lavorano?
«Circa mille. La scuola di restauro è un’eccellenza mondiale, abbiamo una squadra importante, sono 100 tra restauratori, conservatori e tecnici».

Quali sono i prossimi progetti?
«I musei sono il pane dell’anima, servono a nutrire lo spirito e in momenti di paura, di dolore, di difficoltà questo è un nutrimento fondamentale».

Nella Cappella Sistina, dove tutti tengono mascherina e distanze, un sacerdote chiede un minuto di silenzio per una preghiera collettiva. Molti si inginocchiano, qualcuno alzando gli occhi verso l’incontro tra Dio e l’uomo, si commuove.

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