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Il lato sempre più oscuro di Barcellona

Il lato sempre più oscuro di Barcellona

Considerata «perla del Mediterraneo», terra di turismo e divertimenti oltre che avanguardia di progresso, la capitale della Catalogna conosce un degrado senza precedenti che la polizia fatica a contenere. Tra rapine, spaccio e stupri, le statistiche del crimine sono esplose, mentre l’Islam radicale trova terreno fertile.


C’era una volta il «modello Barcellona» tanto caro alla segretaria dem Elly Schlein. C’era, appunto, perché insieme al al tramonto della sinistra spagnola – le ultime elezioni amministrative ne hanno suonato il de profundis, in attesa di quelle legislative anticipate al prossimo 23 luglio – anche nella capitale della Catalogna la sinistra è stata terremotata. Così Xavier Trias, candidato indipendente con l’appoggio del partito nazionalista di destra Junts per Catalunya, l’ha spuntata sulla coalizione di sinistra di Ada Colau finita addirittura terza dietro i socialisti.

Il motivo della débâcle della sindaca uscente? Per capirlo, basta leggere le statistiche pubblicate dal ministero dell’Interno spagnolo poco prima del voto. Quei dati certificano in maniera lampante ciò che gli abitanti di Barcellona e del resto del Paese già sapevano fin troppo bene: mentre in Spagna vige un’insicurezza in parte reale e in parte percepita, nella capitale della Catalogna l’innalzamento progressivo e accelerato della criminalità e la diffusione fuori controllo dell’Islam radicale l’hanno resa un luogo pericoloso e, in certi quartieri, invivibile.

Le voci più allarmanti che emergono dal «Bilancio della criminalità 2022» certificano che qui i delitti contro la libertà sessuale, quelli relativi al traffico di droga e alla criminalità comune sono tutti in forte crescita. Barcellona è prima in classifica in termini di reati commessi nelle città con oltre 100 mila abitanti. Anche se in termini assoluti è a Madrid (3,2 milioni di abitanti) che se ne compiono di più, nella capitale catalana si concentra la malavita organizzata che tiene in scacco il suo milione e mezzo di cittadini, particolarmente attiva tra il porto e le vie del Barrio Gotico, quartiere centralissimo ma ormai ostaggio di spacciatori e delinquenti comuni.

Nelle vie che si diramano da Plaça Reial il narcotraffico ha segnato un aumento pari addirittura al 207 per cento (in confronto, a Saragozza è cresciuto «solo» del 34 per cento, a Madrid del 13,4 per cento, a Valencia del 29, a Siviglia del 23 e a Malaga dell’8,1). Se nel 2019 erano stati commessi 519 reati legati agli stupefacenti, nel 2022 tale cifra è salita a ben 1.593. Questo incremento senza precedenti ha convinto il governo a potenziare un’unità speciale della polizia catalana – i temibili Mossos d’Esquadra – per stroncare le reti criminali che fanno affari con la droga in città. Albert Batlle, ex vicesindaco e titolare del dicastero Prevenzione e la sicurezza presso il Comune di Barcellona, ha definito questo fenomeno «una crisi di sicurezza senza precedenti».

E non solleva i cittadini il fatto che i dati del 2022 siano in termini generali inferiori al 2019, perché quello è stato l’annus horribilis in termini statistici. Per interpretare correttamente i numeri, inoltre, si deve tener conto che a tutti i reati il governo attribuisce lo stesso valore: un omicidio ha esattamente lo stesso peso di un furto (Barcellona è anche detta capital del vol, poco onorevole appellativo di «capitale dei borseggi»). Nella metropoli catalana, in particolare, sono in crescita risse e assalti all’arma bianca (+36 per cento), che piazzano la città al secondo posto appena un punto sotto Malaga (+37 per cento), seguita da Siviglia (+26 per cento), Valencia (+23 per cento) e Madrid (+21 per cento). Batlle l’ha chiamata apertamente «cultura del coltello», asserendo che questa «è una tradizione importata da altri Paesi». Affermazione che, se da un lato ha alimentato grandi polemiche per il tono vagamente razzista, dall’altro trova conferma nei rapporti della polizia municipale, che dichiara come il 76 per cento degli arrestati tra gennaio e giugno siano di nazionalità straniera.

A spiegare questi numeri è soprattutto la cosiddetta «recidiva plurima»: cioè chi compie un reato, dopo la condanna e la pena (spesso di entità molto lieve), appena torna libero ne commette un altro o più. Segno che il contrasto è solo di facciata ma non riesce ad agire in profondità, nelle reali dinamiche della criminalità. Particolarmente odioso è il dato relativo ai reati sessuali, cresciuti rispetto al 2019 che, come detto, è l’anno preso a riferimento (visto anche che nel 2021 le misure restrittive della mobilità erano ancora in vigore a causa della pandemia): le aggressioni sessuali più gravi sono aumentate del 15,2 per cento, mentre il resto dei reati di questa tipologia del 30,8 per cento.

Altro fenomeno che preoccupa gli abitanti di Barcellona e i catalani è la costante crescita dell’Islam radicale. L’attentato che il 17 agosto 2017 lasciò lungo le Ramblas 25 morti (compresi gli 8 attentatori), non può che rimanere una ferita aperta. È un fatto che l’intera Spagna sia esposta al terrorismo islamico e dagli attacchi dell’11 marzo 2004 a Madrid (circa 200 morti e 2 mila feriti), le forze di sicurezza hanno effettuato 365 operazioni contro il jihadismo, con 1.100 arresti, dei quali 128 compiuti all’estero per smantellare reti internazionali che riconducevano alle rotte migratorie via Africa e Medio Oriente. Secondo le autorità centrali, i foreign fighter partiti dalla Spagna e diretti in Siria e Iraq sono stati oltre 258 nel giro di un quinquennio ma, anche dopo la caduta nel 2018 del famigerato Stato islamico, almeno una dozzina di combattenti hanno continuato a operare per unirsi ai terroristi.

Difatti, secondo i dati contenuti nell’Annuario 2022 pubblicati dall’Osservatorio internazionale sul terrorismo, soltanto lo scorso anno 46 persone sono finite in manette a seguito di 27 operazioni contro l’estremismo jihadista: è il secondo dato più alto degli ultimi cinque anni, dopo i 58 arresti in 32 operazioni effettuate nel 2019. Ma Barcellona e la Catalogna si confermano le aree-chiave: sono state al centro di quasi la metà delle operazioni antiterrorismo realizzate nell’intera Spagna. Nel solo 2022 se ne sono contate 12, ovvero il 45 per cento del totale. E non è un caso. La regione è la più islamizzata del Paese: a fine 2022, dei circa 2 milioni e 349 mila musulmani residenti, quasi un terzo (650 mila) viveva qui, rendendo di fatto la comunità autonoma catalana, il luogo con la più alta incidenza di abitanti con questa fede religiosa, equivalente all’8,3 per cento della popolazione.

Impressionante l’aumento del numero di moschee, passate dalle 139 del 2004 alle 283 del 2019, dove una su tre è sotto il controllo di organizzazioni di ispirazione salafita, ovvero l’ala più radicale e fondamentalista della religione maomettana. Anche in ragione di ciò, in Catalogna si concentra un terzo delle 7 mila conversioni all’Islam che avvengono annualmente in Spagna e, in quattro casi su dieci, secondo i servizi sociali presentano un forte rischio di radicalizzazione. Pedro Velázquez, capo della Polizia urbana di Barcellona, incalzato dai media e dalle polemiche sulla sicurezza, ha insistito più volte sul fatto che la percezione dei cittadini non corrisponde esattamente alla realtà dei fatti e che «la città è sicura». Per dimostrarlo, però, è caduto a sua volta nella stessa trappola degli statistici, avendo come riferimento l’anno 2019, uno dei peggiori della storia in termini di diffusione della criminalità. A risollevare l’orgoglio e ridestare le speranze dei cittadini di Barcellona adesso non resta che il neosindaco Xavier Trias. Ma la strada si presenta già in salita, e difficilmente basterà un mandato per riportare pace sociale e vivibilità in una delle perle del Mediterraneo.

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