È un settore dalla crescita esplosiva quello che negli abissi «srotola» i giganteschi collegamenti dell’energia elettrica tra i parchi eolici e la terraferma o, addirittura, tra i continenti. L’Italia ha una posizione d’eccellenza, ma la competizione è globale. E il prezzo del rame renderà il confronto ancora più aspro.
In questi giorni una strana imbarcazione sta lentamente srotolando nei freddi mari del Nord, tra Danimarca e Regno Unito, due enormi bobine. Spinta da quattro motori, la nave fa scivolare tra le onde, pezzo per pezzo, il cavo elettrico sottomarino più lungo del mondo: si chiama Viking Link e coprirà una distanza di 700 chilometri. Un record. Così come è da guinness dei primati la posacavi che lo cala in mare, la Leonardo da Vinci, la più grande del pianeta, lunga 170 metri e costata 180 milioni: è una delle quattro navi che formano la flotta della società italiana Prysmian, multinazionale specializzata nella produzione di cavi elettrici e per telecomunicazioni.
Queste imbarcazioni avranno molto da fare nei prossimi anni. La transizione energetica dalle fonti fossili a quelle rinnovabili sta provocando una fortissimo aumento della domanda di cavi elettrici, in particolare sottomarini. La ragione? Semplice: le centrali a carbone e a gas di solito sono state costruite vicino a chi utilizza l’energia elettrica, poli industriali o grandi città. Con le rinnovabili invece vengono piazzate dove c’è vento o c’è sole, di solito lontano dalle industria e dalle metropoli. L’infrastruttura di rete è diventata così strategica per trasportare l’energia rinnovabile da dove viene prodotta fino alle aree di consumo. La Germania ne è l’esempio più lampante: conta decine di parchi eolici piazzati nel Mare del Nord, alcuni a oltre 100 chilometri dalla costa, altri sono in costruzione.
Di conseguenza occorrono centinaia di chilometri di cavi sia sotto il mare, sia a terra per far arrivare l’elettricità nella Ruhr e nel cuore industriale del Paese: sono i cosiddetti «German corridor», cioè linee di trasmissione di potenza fino a 4 gigawatt ciascuna, realizzate pure queste dalla società italiana. «La nostra attività consiste nel creare i collegamenti dai campi eolici fino alla costa e poi quelli terrestri per interconnettersi alla rete» spiega Valerio Battista, amministratore delegato di Prysmian. «Si tratta di centinaia di chilometri coperti da più coppie di cavi, che raggiungono così lunghezze di migliaia di chilometri».A livello mondiale sono una trentina i campi eolici marini in fase di avvio, davanti alle coste della Germania, del Regno Unito, della Francia, degli Stati Uniti. Secondo le stime di Goldman Sachs la potenza installata delle «wind farm offshore» dovrebbe passare dagli attuali 27 gigawatt a ben 207 gigawatt entro il 2030. E quindi la domanda di cavi sottomarini si impennerà.
Accanto al boom dei collegamenti con i parchi eolici, sta aumentando la richiesta di connessioni tra reti elettriche di Paesi diversi, come mostra il caso del Viking Link tra Danimarca e Regno Unito. Sono necessarie per far funzionare il mercato unico degli scambi energetici ma anche per compensare gli sbilanciamenti che si possono creare con le rinnovabili: chi in un certo momento produce meno energia perché cala il vento può essere sostenuto dalla potenza disponibile nelle nazioni vicine; e non deve tenere aperte vecchie centrali inquinanti. Per questo le reti europee sono sempre più interconnesse. Una tendenza globale: tra i prossimi grandi collegamenti previsti ci sono quelli tra Australia e Singapore, tra Grecia e Israele, tra Irlanda e Francia, tra Marocco e Inghilterra. Christopher Guérin, amministratore delegato della francese Nexans, dopo Prysmian il secondo gruppo al mondo nella produzione di cavi elettrici sottomarini con 25 mila dipendenti e 5,7 miliardi di euro di fatturato, sostiene che entro il 2030 saranno posizionati nel mondo 72 mila chilometri di cavi, sette volte quelli attuali.
Saranno necessari anche migliaia di chilometri di cavi per migliorare i collegamenti terrestri, che in molti casi sono in pessimo stato come ha rivelato la crisi energetica del Texas all’inizio del 2021. Le previsioni indicano perciò una crescita fortissima della domanda di cavi e sistemi per la trasmissione di energia, che dovrebbe raggiungere una media di oltre 7 miliardi di progetti all’anno nel periodo 2020-2030, rispetto ad una media di circa 2,4 miliardi nel periodo 2015-2019.
Il settore dei cavi sottomarini è dominato da poche aziende e una volta tanto ai primi posti ci sono gli europei: il leader mondiale è di gran lunga l’italiana Prysmian, una multinazionale con oltre 10 miliardi di fatturato, 30 mila dipendenti e un portafoglio ordini di 4 miliardi. Produce tutti i tipi di cavi elettrici e per telecomunicazioni e ha conquistato una quota di mercato del 35-40 per cento nel campo dei cavi sottomarini grazie ai risultati raggiunti sotto i mari: come il collegamento tra Tasmania e Australia o quello che attraverso la baia di New York porta l’energia eolica prodotta in New Jersey a Manhattan.
La «public company» italiana è seguita dalla francese Nexans, dalla danese Nkt e poi da alcune aziende giapponese e cinesi. La sfide che queste imprese devono affrontare sono eccezionali: «I parchi eolici sono più lontani dalla costa e producono più energia» ricorda Battista. «Di conseguenza i cavi devono trasportare più potenza, essere ad altissima tensione (oltre 500 mila volt) e coprire distanze sempre più lunghe. Inoltre l’interconnessione tra reti elettriche richiede di toccare profondità notevoli. Per esempio Prysmian ha posato un cavo tra Sardegna e Lazio che arriva a 1.600 metri di profondità. Il progetto del Tyrrhenian Link di Terna, per collegare Sicilia e Sardegna, prevede profondità ancora maggiori, oltre i 2 mila metri».
I cavi sottomarini pesano fino a 100 chili al metro. Sono costituiti da un conduttore di rame o alluminio, ricoperto da un isolamento composto di polietilene o carta impregnata, da una guaina che impedisce il contatto con l’acqua, da una armatura esterna in acciaio e infine da un’ulteriore guaina esterna di protezione. Così arrivano a un diametro di una trentina di centimetri.
Sia la produzione sia la posa di questi cavi sono operazioni molto particolari: delle oltre 100 fabbriche che la società italiana ha in giro per il mondo, solo tre si occupano di cavi sottomarini, una in Italia, una in Finlandia e una in Germania. «Puntiamo ad aprirne una anche negli Usa» annuncia il numero uno di Prysmian, che è quotata in Borsa e ha sede a Milano. Per ora i cavi destinati al mercato americano sono prodotti a Pozzuoli e inviati via mare fino agli Stati Uniti. Nel frattempo, il 9 novembre Nexans ha inaugurato un suo impianto negli Stati Uniti. Il gruppo francese si sta concentrando proprio sui collegamenti elettrici e intende uscire dal settore delle telecomunicazioni.
Gli occhi delle aziende del settore sono puntati ora sull’America con l’amministrazione Biden l’atteggiamento verso le energie rinnovabili è migliorato e la Casa Bianca è riuscita a far approvare dal Congresso un piano da 1.200 miliardi per migliorare le infrastrutture del Paese. Diversi Stati, tra cui New York e Massachusetts, stanno lavorando su grandi progetti di parchi eolici al largo delle loro coste. La sola città di New York ha annunciato alla fine di settembre di voler investire 191 milioni di dollari in 15 anni in questo settore. E circa un mese fa è stata autorizzata la costruzione del primo parco eolico offshore davanti al Massachusetts (i cui collegamenti saranno realizzati proprio dalla Prysmian) cui ne seguiranno altri per aumentare la quota di energia verdi generata negli Usa. Le wind farm attualmente in fase di progettazione sono generalmente collocate tra i 50 e i 120 chilometri dalla costa e questo favorisce aziende come Prysmian e Nexans perché la lunghezza dei cavi richiesti è sempre maggiore.
Se oggi i collegamenti con i campi fotovoltaici rappresentano solo una frazione del business dei cavi, in futuro la situazione potrebbe cambiare: tra i megaprogetti allo studio ce n’è uno che ipotizza di unire nuovi campi solari del Marocco attraverso l’oceano e lo Stretto di Gibilterra all’Inghilterra. Sembra strano passare via mare invece che attraversare Spagna e Francia, ma per portare la potenza dove serve, in questo caso l’Inghilterrra, è più veloce e semplice posare i cavi nell’oceano, evitando permessi, tralicci o linee interrate.
Un grande futuro dunque per i cavi elettrici. Con un’ombra: il rame, il cui consumo era di 9 milioni di tonnellate nel 1995 mentre oggi è di 20 milioni di tonnellate e si prevede che salirà a 35 milioni di tonnellate entro il 2030. Ce ne sarà per tutti? E a che prezzo?