In queste settimane migliaia di persone cercano di attraversare le frontiere dell’America centrale diretti verso gli Stati Uniti. Ma dietro chi si mette in viaggio con «il sogno del Nord» c’è il profitto da parte dei cartelli della droga. E anche il regime venezuelano contribuirebbe all’esodo per nascondere il proprio collasso sociale.
«Biden ci farà entrare perché non è razzista come Trump. Nella prossima carovana, che partirà a metà febbraio da San Pedro Sula, ci sarò anch’io». Álvaro Ramirez, 36 anni, una moglie e quattro figli piccoli, fa il muratore ed è uno dei 133.657 honduregni che, negli ultimi quattro anni, sono stati arrestati dalla Us Immigration and Customs Inforcement, l’ICE, l’acronimo ormai sinonimo di terrore per i migranti latinos, ovvero la polizia di frontiera statunitense.
Álvaro aveva tentato di agguantare il suo sogno americano già nel 2017 per «dare un futuro migliore alla famiglia» racconta a Panorama, ma un errore gli fu fatale: aveva provato a entrare illegalmente negli Usa con un coyote – così si chiamano i trafficanti di uomini a queste latitudini – che poi però lo aveva venduto alla polizia di frontiera messicana. Dopo avere buttato via 3.000 dollari, la tariffa pretesa dal coyote (ma si arriva anche a 7.000 dollari) e avere trascorso quattro settimane in un centro Ice di San Diego, Álvaro era stato rimpatriato nella sua San Pedro Sula. La più grande città dell’Honduras ma anche quella con il maggiore numero di omicidi al mondo secondo le statistiche Onu, 187 ogni 100.000 abitanti, un vero inferno.
Adesso però che alla Casa Bianca c’è Joe Biden, lui come altre migliaia di connazionali, che si sono visti nelle scorse settimane affollarsi alla frontiera del Guatemala, è convinto di farcela: «Ci proverò di nuovo, stavolta con la carovana di migranti che parte il prossimo 13 febbraio dalla stazione dei bus della mia città». Sa perfino la data e l’ora perché quello delle carovane è diventato un vero e proprio business, con tanto di gruppi su Facebook e su WhatsApp che appaiono giusto il tempo di organizzarle, per poi svanire nel nulla.
La prima carovana era partita proprio da San Pedro Sula il 13 ottobre 2018, a meno di un mese dalle elezioni Usa di Midterm, un test decisivo per Donald Trump. Due fatti collegati per Cnn, New York Times e la sinistra globalista mondiale perché le politiche restrittive di The Donald sui migranti – su tutte quella del Muro della vergogna – avevano a detta loro costretto i migranti a unirsi a migliaia per attraversare, insieme e in sicurezza, Centroamerica e Messico con la speranza di arrivare, in gruppi di 3/5.000, negli Stati Uniti dell’ex presidente, che aveva chiuso loro le porte in faccia.
Peccato che adesso, con la sua sconfitta elettorale, il fenomeno sia ripreso con più vigore. Basti pensare alla carovana partita pochi giorni prima dell’insediamento del neopresidente statunitense dall’Honduras con 9.000 persone, un record, all’insegna dello slogan «Biden ci farà entrare». Del resto, nei suoi primi giorni alla Casa Bianca, Biden ha già sospeso per 100 giorni il Migrant Protection Protocol con cui Trump in cambio di investimenti per 10 miliardi di dollari aveva ottenuto che il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, fermasse il flusso di migranti centroamericani.
Così, negli ultimi anni, il «Paese del tequila» ha accolto circa 80.000 richiedenti asilo negli Usa – quasi tutti provenienti da America centrale, Cuba, Nicaragua, Venezuela e Haiti – in campi profughi lungo il confine tra Stati Uniti e Messico. Ma Biden ha anche firmato un ordine esecutivo per chiedere al Congresso di dare un «percorso rapido verso la cittadinanza» agli 11 milioni di irregolari negli Usa; e non è dunque un caso che lo slogan della prima grande carovana del 2021 che tenterà di entrare in Messico a metà febbraio dopo avere attraversato il Guatemala sia proprio «Andiamo avanti, Biden ci farà entrare!». Staremo a vedere.
Di certo, se l’Italia è diventata il porto d’entrata in Europa degli africani grazie alle navi delle ong che agiscono indisturbate nel Mediterraneo, gli Stati Uniti affrontano oggi una nuova emergenza migratoria: le carovane di migliaia di disperati in fuga appunto da Honduras, ma anche da El Salvador, Nicaragua, Venezuela e Cuba – per realizzare il sogno americano, proprio come Álvaro.
Il problema più preoccupante è che dietro le storie tragiche di tanti poveri in cerca di un futuro, le carovane nascondono un rischio doppio. Il primo è la presenza tra i migranti di esponenti del crimine organizzato dei cartelli della droga, soprattutto delle temibili maras, ovvero «il gruppo», l’altro che ci siano violenti disposti a seminare il caos una volta arrivati negli Stati Uniti.
Questo almeno è il timore del pluripremiato giornalista Douglas Farah – fu lui il primo a denunciare i legami tra una ancora quasi sconosciuta Al Qaeda e i traffici di armi e diamanti – ex inviato del Washington Post nella guerra civile in El Salvador, nel Messico degli albori dei cartelli della droga e in molte guerre africane. Ma Farah denuncia anche che una parte significativa dei finanziamenti alle carovane dei migranti proviene direttamente dal Venezuela. «Abbiamo documentazione che i soldi arrivano dal regime di Nicolás Maduro con il proposito di creare caos alla frontiera con gli Usa. Caracas sta vivendo una grave crisi di emigrazione e vuole imporre la contro narrativa che anche da altri Paesi fuggono migliaia di persone per motivi umanitari».
Le prove? È lo stesso Farah a esporle. «Sono arrivati nel Salvador funzionari venezuelani di livello molto alto con voli privati di Pdvsa (la compagnia statale del petrolio di Caracas, ndr) e scatoloni pieni di denaro che poi è stato distribuito anche in Honduras. Per il regime di Maduro portare migliaia di persone tutte insieme negli Usa e creare il caos è uno strumento asimmetrico».
Tra le persone coinvolte in questo business ci sarebbe Bartolo Fuentes, un sindacalista molto legato alle strutture della dittatura venezuelana proprio in Honduras, anche se lui nega. «È coinvolto» ribatte Farah, «così come abbiamo le prove del diretto coinvolgimento del regime di Caracas, ovvero tutti i voli privati di Pdvsa, quante ore sono stati a terra, le persone alle quali hanno consegnato le casse con i contanti per finanziare la parte logistica di buona parte di queste carovane, ecc».
Naturalmente alcune di queste sono spontanee, altre sono invece organizzate da ong e da gruppi politici con differenti finalità. Molti dei migranti che decidono di aggregarsi alle carovane fuggono dalla violenza, dalla disoccupazione e dalla mancanza di qualsiasi prospettiva nei loro Paesi d’origine. Spiega ancora Farah: «Vivono tutti in quartieri di classe medio bassa e quando arrivano là, per controllare il territorio i membri delle maras Salvatrucha e del MS13 – questo avviene soprattutto in El Salvador e Honduras – ti dicono: “Se non mi dai tua figlia uccidiamo te e lei”. Se però dài il tuo assenso, prima la violentano e poi la fanno entrare nella mara».
E cambiare casa? Impossibile perché anche se ci si trasferisce in un altro quartiere, queste due organizzazioni criminali controllano tutto il territorio delle grandi città dei Paesi centroamericani. Dunque per salvarsi non resta che la fuga. E i governi di Honduras, El Salvador e Guatemala sono talmente corrotti, e la Polizia è così infiltrata dalle stesse maras, che davvero non ci sono molte alternative. Come sempre in questi casi, spiega l’ex inviato del Washington Post, chi organizza le carovane racconta ai poveracci non ancora del tutto convinti di tentare il sogno americano una grande quantità di bugie. Tre quelle che vanno per la maggiore: «Se portate i bambini non vi succederà nulla, entrerete senza problemi negli Stati Uniti, durante il tragitto avrete cibo, acqua e alberghi dove dormire». Tutte balle legate a un business, quello delle carovane, destinato a dare molti grattacapi a Biden già nei suoi primi 100 giorni.
