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Auto a zero emissioni nel 2035, per le case costruttrici è impossibile

Auto a zero emissioni nel 2035, per le case costruttrici è impossibile

La rivoluzione green proposta dalla Commissione Europea scontenta le case automobilistiche per le quali manca il tempo e soprattutto investimenti e strutture in molti paesi.


Aprire il cofano di una Ferrari e non trovarci più quel capolavoro di ingegneria italiana con otto cilindri a “V” e 600 cavalli di potenza, ma un semplice e asettico motore elettrico. Accadrà nel 2035, se le ultime proposte avanzate dalla Commissione di Bruxelles saranno approvare dal Parlamento e dal Consiglio europeo. Il 14 luglio la Commissione ha adottato infatti un pacchetto di interventi in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità idonee a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Tra queste misure, una impone che le emissioni delle autovetture nuove diminuiscano del 55 % a partire dal 2030 e del 100 % a partire dal 2035 rispetto ai livelli del 2021. Di conseguenza, tutte le autovetture nuove immatricolate a partire dal 2035 saranno a zero emissioni. Cioè elettriche o a idrogeno.

Il 2035 non è una data lontana: mancano 14 anni. E sarebbe davvero la fine di un’epoca durata per più di un secolo. È come se nel 2007, acquistando una nuova Fiat 500, avessimo saputo che nel 2021 auto come quella non sarebbero più state in commercio.

Si tratta di una sfida gigantesca, che costringe gli Stati a investire per creare rapidamente una rete pubblica di colonnine di ricarica (e l’Italia è in ritardo con 20.757 prese di ricarica, mentre in Francia sono 45 mila, in Germania 44 mila, in Olanda 66 mila) e l’intero settore dell’automotive dovrà cambiare pelle, chiudendo le fabbriche di motori e accelerando la produzione di auto elettriche e batterie (altro campo dove il nostro Paese è indietro). A livello mondiale, ha calcolato la società di consulenza Alixpartners, le case automobilistiche dovranno investire nello sviluppo delle vetture elettriche una cifra pari a 330 miliardi di dollari entro il 2025.

Di qui la forte preoccupazione manifestata dagli operatori del settore. L’Anfia, l’associazione di rappresentanza dell’intero mondo delle quattro ruote, ha definito “insostenibile” lo sforzo che il comparto e il tessuto sociale ed economico del nostro Paese dovranno sostenere per adeguarsi alle misure annunciate ieri dal massimo organo esecutivo dell’Unione europea. Per l’Associazione dei produttori automobilistici europei (Acea) la proposta della Commissione “non è razionale”.

Già in maggio il numero uno del gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra la francese Psa e l’italoamericana Fca, Carlos Tavares aveva sottolineato che la vendita di auto elettriche, considerando l’alto costo delle batterie, di ricerca e sviluppo, non consentono gli stessi margini di guadagno delle auto tradizionali. Il gruppo propulsore di un’auto elettrica del segmento B costa 7.800 euro in più rispetto a quello di un’analoga vettura a combustione (+168%) mentre nel segmento D la differenza è di 11 mila euro (+160%). I costi dovrebbero allinearsi solo per le vetture di classe superiore a partire dal 2028. “Se non siamo in grado di proteggere i margini su ogni veicolo elettrico che vendiamo rispetto a quanto succede oggi con le vetture convenzionali, ci saranno ristrutturazioni e conseguenze sociali” ha avvertito il manager portoghese..

Uno studio dell’istituto Ifo tedesco a del giugno 2017 parla di circa 200 mila posti di lavoro a rischio in Germania, su un totale di 613 mila dipendenti delle case automobilistiche e dei loro fornitori. Altri studi riferiscono che su circa 3 milioni di lavoratori impiegati nel settore dell’industria automobilistica europea, i posti a rischio sarebbero 1,8 milioni, quasi due su tre.

Il calo di occupazione negli stabilimenti automobilistici dipenderà anche dalla maggiore semplicità delle vetture elettriche. Un’analisi del sito QualeEnergia evidenzia che per la costruzione di veicoli elettrici occorre circa il 40% di componenti in meno rispetto alle auto con motori a combustione interna: non c’è bisogno di mmotoriotir a scoppio, raffreddamento, cambio, iniezione… Non solo: come ricorda AlixPartners, per assemblare un motore termico e la trasmissione per le macchine a combustione interna servono mediamente 6,2 ore di manodopera. Nel caso di auto ibrida plug-in, le ore salgono a 9,2, perché occorre assemblare anche il motore elettrico e le batterie. Ma per un’auto full electric le ore scendono a 3,7, ossia il 40% in meno.

In Europa ci sono ben 126 impianti che assemblano motori, cambi e trasmissioni (e che danno lavoro a 112 mila persone. Gli impianti italiani di Stellantis che producono i gruppi propulsori sono 5: Mirafiori, Pratola Serra, Termoli, Cento, Verrone. Tutti destinati a trasformarsi. Uno, quello di Termoli, è già stato destinati alla produzione delle batterie, mentre a Melfi verranno realizzate quattro nuove vetture elettriche multibrand del segmento medio..

L’introduzione dei veicoli elettrici avrà anche un impatto sulla catena di fornitura: come riferisce Enea, “l’avvento dell’elettrificazione ridurrà i volumi produttivi di alcuni componenti non più previsti sui veicoli quali filtrazione, lubrificanti, trasmissione, iniettori, valvole e finanche i retrovisori (sostituiti da retrovisori elettronici). Per questo settore andranno prese misure per accompagnare la transizione verso nuove tecnologie elettriche (connettori, cavi, isolanti, sistemi elettronici ausiliari…)”. E complessivamente in Italia l’automotive dà lavoro a 278 mila persone, fattura 106 miliardi e vale il 6,2% del Pil. Se davvero un terzo di questi posti di lavoro saranno a rischio, si parla di 92 mila persone che tra 14 anni dovranno trovarsi un’altra occupazione.

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