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Anche per oggi non si vola

Anche per oggi non si vola

Da Falconara a Palermo, da Siena a Salerno. La moltiplicazione indiscriminata degli scali in tutto il Paese presenta il conto. Investimenti pubblici a pioggia, zero traffico di passeggeri, compagnie low cost in fuga, fallimento delle società di gestione, con una prevalenza nelle regioni amministrate dal Centrosinistra. E, seppure in ritardo, la magistratura ora indaga sugli sperperi.


Alla Procura di Ancona gli investigatori ormai l’hanno ribattezzato «il grande forno». Ha bruciato milioni e milioni di fondi regionali senza decollare e, soprattutto, senza controlli. L’aeroporto di Falconara, gestito fino a qualche mese fa da una società partecipata della Regione, la Aerdorica, e ora privatizzato (ma con altri 25 milioni di euro di aiuti pubblici), lascia debiti che superano i 50 milioni, dei quali un terzo è per tasse non pagate. Sotto accusa ci sono 20 anni di sperperi e quattro giunte rosse della Regione Marche: tre presidenti (l’attuale governatore Luca Ceriscioli e i suoi predecessori Gian Mario Spacca e Vito D’Ambrosio), decine di assessori e consiglieri regionali. In totale gli indagati sono 78. E tra i nomi, oltre a quelli dei manager e dei membri del consiglio di amministrazione, spicca quello dell’ex direttore generale della azionista Banca Marche, Massimo Bianconi.

L’ipotesi di reato è peculato. Determinante è stata la Commissione d’inchiesta regionale presieduta dal capogruppo leghista Sandro Zaffiri. Ha concluso i lavori nel settembre 2018, ravvisando «un quadro di incapacità gestionale aggravata da una sostanziale assenza di direzione e controllo da parte dell’azionista di maggioranza (la Regione, ndr) che si è limitato a deliberare continui esborsi di denaro pubblico». «Ho dovuto districarmi tra mille difficoltà» racconta ora a Panorama Zaffiri. «D’altra parte la commissione era composta anche da consiglieri di centrosinistra e sotto accusa c’erano tutte le giunte rosse». Alla fine, però, la relazione è stata approvata a maggioranza. «I fatti», aggiunge Zaffiri, «erano oggettivi». Ma non è l’unico piccolo aeroporto piazzato in aree che difficilmente avrebbero consentito business. Così, le compagnie low cost sono scappate.

Voragini nei bilanci, società di gestione a partecipazione pubblica sull’orlo della messa in liquidazione e, a volte, fallite, arresti per gare turbate e miliardi di euro letteralmente buttati in ricapitalizzazioni irragionevoli. Nella maggior parte dei casi, infatti, agli enti pubblici ogni anno tocca ripianare il rosso: Comuni, Province e Regioni che per campanilismo preferiscono incenerire milioni pur di non ammettere che il loro «giocattolo» va chiuso o venduto a chi lo sappia amministrare meglio. I disastri, poi, sono avvenuti spesso sotto un ombrello comune: quello del centrosinistra.

A Rimini, per esempio, la società di gestione, la Aeradria, è fallita nel 2015, quando aveva raggiunto un indebitamento per 43 milioni di euro. La magistratura aprì un’inchiesta, poi archiviata, che mise nel mirino due amministratori di punta del Pd romagnolo: Andrea Gnassi, sindaco di Rimini, e Stefano Vitali, all’epoca presidente della Provincia. Ora le cose vanno meglio e si parla di investimenti fino al 2033 per 87 milioni di euro, una parte dei quali in arrivo dalla Regione Emilia-Romagna.

In Toscana, invece, i piccoli scali sono restati al palo. L’aeroporto di Tassignano, nel comune di Capannori, provincia di Lucca, è stato dichiarato fallito anche in Corte d’appello. Dopo investimenti pubblici allegramente dilapidati che hanno lasciato un buco da oltre due milioni e mezzo di euro. A Siena, altra città guidata per anni dal centrosinistra, la società di gestione dell’aeroporto, liquidata, è andata a gambe all’aria già nel 2016. Il periodo del buco è il triennio 2010-2012, con 10 milioni di euro di perdite. Da allora i conti non sono più tornati a posto. Anche qui si sono attivati i magistrati. Ma al processo tutti gli imputati sono stati assolti.

A Palermo, invece, il processo è ancora in corso e riguarda il restyling dell’aeroporto Falcone e Borsellino finito in una turbativa d’asta. Tra gli ex dirigenti della Gesap, la società che gestisce lo scalo aeroportuale di Punta Raisi, finiti sotto inchiesta c’è Carmelo Scelta. L’ex direttore generale era considerato un uomo vicino a Forza Italia, «ma con l’avvento di Leoluca Orlando a Palazzo delle Aquile non si è mosso di un millimetro» chiosa Roberto Immesi, cronista del quotidiano on line Live Sicilia. Scelta, sulla stampa locale, è stato definito per anni l’uomo forte della Gesap, società che ha tra i maggiori azionisti la Città metropolitana e il Comune di Palermo. Ora Orlando sembra interessato ad annettere anche l’aeroporto Birgi di Trapani, andato in affanno per un’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto il management, e pensa a una fusione con la sua Gesap.

A Salerno il Consorzio pubblico che sovrintende l’aeroporto è salvo, ma a metterlo in seria difficoltà è stato il Comune di Pontecagnano. Lo scorso luglio l’amministrazione guidata dal sindaco dem Giuseppe Lanzara è stata condannata dalla Corte di Appello a pagare i debiti (1,4 milioni) contratti con il Consorzio. Nel 2016 è arrivata in soccorso la Basilicata. La vecchia giunta regionale Pd, guidata da Marcello Pittella, fratello del più noto Gianni, ex presidente del parlamento europeo ad interim che per garantirsi il seggio alle ultime politiche si è dovuto candidare proprio a Salerno, è entrato nel Consorzio versando nove milioni di euro. L’aeroporto, in quel momento, contava una media di sei passeggeri al giorno. L’ultima rilevazione, che risale a maggio 2019, dava 18 passeggeri giornalieri. Numeri che rendono difficile giustificare la mole di investimenti pubblici.

Scendendo più a Sud le cose non vanno meglio: la crisi dell’aeroporto di Reggio Calabria parte dal 2016, quando Alitalia comunica di aver eliminato i voli da e per la città dei Bronzi. A settembre 2019, poi, la compagnia low cost Blue Panorama ha annunciato il suo disimpegno. Dopo il fallimento della Sogas, la società che gestiva lo scalo, le cose non sono andate meglio. I venti di crisi spirano ancora. E il presidente del Centro studi tradizione e partecipazione Nicola Malaspina ha puntato l’indice contro il sindaco dem Giuseppe Falcomatà: «Nel maggio 2018 la Sacal (la nuova società di gestione, ndr) offrì alla Città metropolitana la possibilità di acquisire alcune quote dell’azienda, ma il sindaco metropolitano si è rifiutato». Lasciando il cerino in mano agli amministratori.

Non va meglio in Sardegna, dove nell’ottobre scorso è stato arrestato Alberto Scanu. Portava nel curriculum da manager cinque fallimenti, ma il cda della Sogaer, società di gestione dell’aeroporto di Cagliari, lo aveva appena nominato amministratore delegato. Prima di finire nei guai (attualmente è ai domiciliari per bancarotta), Scanu è stato anche il revisore dei conti di Assaeroporti. Avrebbe dovuto controllare i bilanci delle 35 società che gestiscono i 42 aeroporti italiani. Una garanzia.

Aeroporti minori, il grande patrimonio (a rischio) utile per il futuro

di Sergio Barlocchetti

C’è grande incomprensione da parte delle istituzioni, Comuni e Regioni in testa, su che cosa sia un aeroporto minore. Il problema è che per l’opinione pubblica uno scalo secondario è semplicemente quello di provincia. Salerno, Cuneo, Perugia, Parma, Aosta, Crotone, eccetera. Ovvero scali di dimensioni in realtà sufficientemente ampie per ospitare voli regionali ed anche internazionali, che però non riescono a vivere fasi di sviluppo costante. E pensare che prima del crack Parmalat, era il 2002, lo scalo di Parma arrivò ad avere persino un volo diretto per New York, e che altre aerostazioni videro fasi di sviluppo alle quali però non corrispose l’intento di renderli effettivamente collegati con i capoluoghi con un trasporto pubblico efficiente. Per non parlare dell’illusione di sviluppare traffico passeggeri laddove esistevano già scali sottoutilizzati.

In realtà questi non sono gli aeroporti minori. Lo sono invece una cinquantina di piste definite “aero-turistiche” la cui vocazione aeronautica è quella di permettere l’importantissima attività delle scuole di volo, delle officine di manutenzione, del lavoro aereo in genere fatto con aeroplani ed elicotteri, in primis l’elisoccorso. Se poi questi aeroporti riescono anche a conquistare una fetta del traffico di aviazione generale (quella privata, per intenderci), allora tanto meglio perché lo Stato può riscuotere le tasse di approdo, l’Iva sui carburanti, eccetera.

A fare la forza di queste piste è la loro posizione. Aeroporti come il Bordoni-Bisleri di Bresso (Milano, a tre chilometri da piazza Gae Aulenti), ed anche Roma Urbe, sulla Salaria, quindi Reggio Emilia, Thiene, Asiago, Caiolo (Sondrio), Verona Villafranca e via via molti altri al nord come anche al centro e al sud, da Bolzano a Ronchi dei Legionari, passando per Torino Aeritalia fino a Capua, L’Aquila, Lecce Lepore, Boccadifalco (Palermo), eccetera, sono però anche veri tesori per le generazioni future. Il motivo è che sono monumenti viventi della storia e della resistenza che gli appassionati e gli operatori di quella che è la base dell’aviazione, hanno finora vinto contro la speculazione edilizia e l’irrefrenabile voglia degli amministratori locali di trasformare quei grandi prati in parchi “attrezzati”, sovente gridando alla sicurezza e all’inquinamento in cambio di consenso. La verità è, invece, che in questa epoca non si tollera ciò che non può essere efficiente a tutti i costi, ovvero che uno spazio non produca grandi utili. Ma per il solo fatto di esistere, i piccoli aeroporti, oltre a un numero contenuto di posti di lavoro ma altamente specializzati, garantiscono alla comunità polmoni verdi ponendo limiti all’urbanizzazione e restano a disposizione del bene pubblico. Snobbarono tutti l’aeroporto di Perugia finché non accadde il terremoto.

L’opinione pubblica ignora che oltre all’opera degli imprenditori del settore aeronautico, a mantenere operativi questi scali sono i piloti sportivi di associazioni dilettantistiche e aero club, i quali, in qualità di enti morali, se alla fine dell’anno fanno utili li devono reinvestire nelle flotte e nelle attrezzature. Quello di Milano Bresso è esempio: senza l’aeroporto Bordoni-Bisleri creato nel 1917 sui terreni donati apposta dal conte Clerici, il parco Nord Milano avrebbe meno della metà della sua superficie, essendo questa per buona parte servitù aeronautica della pista. E gli edifici storici che lo circondano, dallo storico hangar Zapata fino alla palazzina volo della Breda, compresi i rifugi antiaerei che sono memoria di un momento tragico della città, sarebbero stati spazzati via per farci grattacieli e centri commerciali (ce ne sono tre nel raggio di 10 km, Arese, Bonola, Cinisello). A Roma Urbe esistono ancora i serbatoi in cemento dell’aria compressa asservita alla prima galleria del vento ipersonica al mondo, come a Guidonia l’Aeronautica Militare preserva la vasca idrodinamica per lo studio delle carene volanti, in un aeroporto degli anni Trenta che ha persino la ferrovia interna che arriva fino alle piste.

Ebbene, laddove un aero club vive l’aeroporto garantisce approdi e servizi, rifornimenti, possibilità di trasporto capillare anche d’urgenza ed emergenza e sviluppa cultura aeronautica; laddove invece si è cercato di imporre una visione aziendale, tipicamente creando società di gestione, in breve tempo si è arrivati al conflitto in sede legale e alla chiusura dell’aeroporto stesso.

L’inganno è quello di pensare che con le attuali regole internazionali ed europee in tema di sicurezza del trasporto aereo, un aeroporto possa fare utili e mantenersi anche sotto al milione di passeggeri. Oggi, con la ricerca di nuove forme di mobilità, con la prospettiva di veder sfrecciare sulle città taxi volanti, mantenere vivo un piccolo aeroporto significa preservare un bene utile alle generazioni future. Come dicono gli inglesi, un chilometro di strada non porta da nessuna parte, un chilometro di pista unisce al mondo.

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