John Le Carré
Lo scrittore John Le Carré (GettyImages).
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Salute

Le Carré: «Non ci sono quasi più opinioni mediche "non comprate"»

LE SERIE STORICHE DI PANORAMA

In occasione della scomparsa dello scrittore John Le Carré, Panorama lo ricorda ripubblicando un'intervista che gli aveva fatto nel 2001 sullo strapotere di Big Pharma. Ecco l'invettiva del maestro delle spy story contro le case farmaceutiche lanciata dopo lo scandalo Lipobay, il medicinale anticolesterolo della Bayer ritirato dal commercio dopo numerose morti sospette. Un tema attuale come non mai, in tempi di Covid.



Articolo pubblicato il 30/8/2001

«L'interrogativo più interessante che solleva lo scandalo Lipobay è come sia potuto finire sul mercato un farmaco pericoloso. In base a quali test clinici è stato approvato? Da quali organi indipendenti? E perché non c'è stata un'adeguata sorveglianza dopo la sua commercializzazione? La risposta è sempre la stessa: enorme pressione commerciale, persuasione, influenza, ma soprattutto strapotere di Big Pharma, il cartello delle case farmaceutiche».

Dal suo salotto londinese di Hampstead, il re della spy story John Le Carré scaglia un'invettiva contro le multinazionali delle medicine. E lo fa con cognizione di causa: il suo ultimo romanzo, Il giardiniere tenace, in libreria per Mondadori a fine mese, è una documentatissima (e arrabbiatissima) requisitoria contro le attività del cartello dei farmaci. Nel Terzo mondo, ma anche nel primo. Frutto di un anno di ricerche e di 70 anni di esperienza di vita, il diciottesimo libro dell'ex agente segreto David J. M. Cornwell in pochi mesi ha scalato le classifiche di mezzo mondo. L'edizione inglese ha già venduto 200.000 copie, quella spagnola 86.000, quella tedesca altrettante. Intanto, se la ong Oxfam gli ha scritto per dirgli quanto il suo libro era stato utile al Terzo mondo, il governo del Kenya gli ha scatenato contro interi studi di avvocati.

Un successo dovuto alla maestria del romanziere, ma anche alla forte attualità del suo atto d'accusa. Più di un anno fa attaccava così la Bayer. «Una delle case farmaceutiche più importanti del mondo» si legge nel libro «ha messo centinaia di pazienti a rischio di infezioni letali».

Signor Le Carré, la lettura del suo libro è un'esperienza forte. Eppure lei dice che, rispetto alla realtà, «è edulcorato come una cartolina illustrata». Ma com'è la realtà?

«Stiamo attraversando una fase di capitalismo fuori controllo. Alla fine della guerra fredda sostenevo che dovevamo varare la perestrojka del capitalismo. Non abbiamo voluto farlo. E adesso paghiamo il conto. La realtà? La realtà è che, in un mondo in cui solo nell'Africa subsahariana esistono 37 milioni di sieropositivi, l'industria farmaceutica stabilisce i prezzi delle medicine antiretro- virali in base a quello che il mercato americano può sostenere. In apparenza quei prezzi sono giustificati dai costi della ricerca. Peccato che tali spese siano state sostenute dai contribuenti americani, che hanno finanziato i laboratori statali dove sono stati sperimentati quei farmaci. Ma ancor più terrificante è la corruzione dell'opinione medica da parte delle case farmaceutiche».

Lei scrive che non ci sono quasi più opinioni mediche «non comprate».

«Quando ho indagato sull'industria farmaceutica per scrivere Il giardiniere tenace, ho scoperto scienziati mercenari che approvano solo ciò che è commercialmente conveniente; università invase dalle case farmaceutiche, che sponsorizzano laboratori e assegnano borse di studio; giornalisti totalmente dipendenti dalle informazioni delle aziende, che li inondano di regali, pranzi e viaggi... Mi sono occupato dell'industria farmaceutica, ma lo stesso discorso vale per quella petrolifera o quella forestale».

Perché questa degenerazione?

«Penso che sia successo qualcosa di terribile durante il love affair fra Ronald Reagan e Margaret Thatcher. È stato in quel periodo che l'Europa è stata infettata dall'idea di espansione illimitata: "In questo minuscolo globo possiamo espanderci quanto vogliamo, senza con tare i costi. E tutti quegli scienziati liberal-capelloni che parlano di inquina mento vadano a quel paese". Risultato: semaforo verde per lo sfruttamento del Terzo mondo. La globalizzazione».

Anche per lei globalizzazione equivale a sfruttamento? Eppure, secondo George Bush ridurrà la povertà.

«Possiamo avere prove che lo dimostrino? Per quello che ho potuto vedere nel Terzo mondo, la globalizzazione ha un effetto negativo. Ovunque ci siano materie prime (o manodopera) da sfruttare, le multinazionali si comportano come eserciti invasori. E si lasciano dietro solo terra bruciata».

Un suo personaggio dice: «Credi che siano i governi a controllare il mondo? Adesso si canta "Dio salvi le multinazionali", lo sai?».

«La realtà è che la globalizzazione è guidata dal business. E non dai governi, che ormai sono burattini del potere economico. Un esempio? Prima delle ultime elezioni britanniche, a Tony Blair è stato chiesto di esprimersi sul processo intentato in Sud Africa da 40 multinazionali per impedire al governo di importare medicine a basso costo per combattere l'emergenza Aids. Ebbene, Blair ha assunto la posizione di Bush e ha sostenuto le aziende farmaceutiche, parlando della "santità della proprietà intellettuale"».

Perché ha fatto questa dichiarazione?

«Me lo sono chiesto anch'io. E ho im maginato questo scenario: il capo di una multinazionale chiama e dice agli uomini di Blair: «Guardate, dovete scegliere. Noi abbiamo in Galles uno stabilimento che dà lavoro a 22 mila persone. Mi spiace, ma potrebbe do- ver essere trasferito in Italia o in Malaysia. Tutto quello che vi chiediamo è di non fare errori. Adesso ci capiamo». Scene simili, a mio avviso, si ripetono ogni giorno. Nella campagna elettorale di Bush, Big Pharma ha speso 90 milioni di dollari per sostenere i repubblicani. Più del doppio di quanto avesse speso la lobby del tabacco nelle precedenti elezioni. Il motivo? Ridurre i controlli statali sull'industria e spazzare ostacoli "imparziali"».

Ci va giù pesante. Non ha mai avuto problemi?

«Dopo la pubblicazione del libro ho ricevuto una lettera infuriata della Novartis: mi chiedeva se avevo il coraggio di andare a difendere la mia posizione nella sua sede di Basilea. L'invito più sgarbato che abbia mai ricevuto. Non l'ho accettato».

Lei sarebbe sceso in piazza a Genova?

«Ci ho riflettuto, concludendo che son più bravo a scrivere. Racconto storie convenzionali, lette da persone convenzionali. E spero così di attaccare, in modo sovversivo, le loro idee convenzionali».

Comunque, cosa pensa di Seattle?

«Che abbiamo bisogno di Seattle senza vetrine rotte. Mi rende perplesso, però, la mancanza di proposte alternative. Non so per cosa marcerei. So contro cosa marcerei. Comunque, un'alternativa a breve termine c'è: i governi devono ricominciare a esercitare un'azio- ne di controllo sulle aziende. E non esserne succubi. Nel mio paese è appena saltato fuori che due terzi dei membri del comitato che stabilisce quali medicine fornire agli assistiti del servizio sanitario nazionale inglese erano sul libro paga di industrie farmaceutiche».

Tessa, la protagonista del suo libro, è mezza italiana. Perché?

«Per vari motivi. Il principale è che, fra i personaggi a cui mi sono ispirato, c'è un medico di origine italiana. Il suo no me è Nancy Olivieri, dell'Ospedale per bambini malati di Toronto che opera anche in Italia. Nel 1998 Nancy Olivieri aveva firmato un contratto di ricerca con una grande casa farmaceutica canadese, la Apotex, per investigare sulla talassemia. Olivieri lavorò su un farmaco che avrebbe evitato le continue trasfusioni di sangue ai malati. Una cura potenzialmente magica. Poi la dottoressa scoprì che quella medicina aveva effetti collaterali pericolosi. A quel punto, pubblicò i risultati delle sue indagini sul New England Medical Journal. La Apotex la denunciò per aver infranto la clau- sola sulla riservatezza. E la facoltà universitaria? Prese le distanze da lei. Ad anni di distanza la vicenda non è chiusa: ora sta per arrivare alla Corte europea. È diventato un caso emblematico del potere del business sulla verità scientifica».Ce ne sono altri, di casi simili? «Eli Lilly, la produttrice del Prozac, per esempio, ha smesso di finanziare qualsiasi corpo accademico, rivista o università che osi criticare il Prozac e i suoi effetti collaterali. So di uno scienziato britannico che doveva essere assunto all'università di Toronto. Ma ha scritto un articolo in cui parlava degli effetti collaterali del Prozac. Il contratto è stato cancellato. La via d'uscita, però, non è con- dannare le attività delle multinazionali, ma controllarne gli effetti. Peccato che non lo faccia nessuno. Neanche l'Onu».Lei mette alla berlina tutti: le multinazionali, l'Onu, il Foreign office, Sco- tland Yard e anche alcune ong. Si salvano solo eroi isolati come Tessa? «Ho solo l'aspettativa, più che la speranza, che un giorno produrremo un sistema migliore. Quando mi sono messo a lavorare a questo libro, mi sono detto che se fosse l'ultimo (e potrebbe esserlo) dovevo riportare fedelmente quello che avevo visto. E il mio punto di vista è estremamente pessimista».




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Elisabetta Burba