Il Talmud dice: se c'è una epidemia stai a casa
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Il Talmud dice: se c'è una epidemia stai a casa

Rubrica: Pietra d'inciampo

La settimana delle riaperture ha permesso di tornare nei luoghi di culto. Per un lungo periodo gli italiani sono stati interdetti alla partecipazione delle cerimonie religiose, giustamente considerati i pericoli legati alla diffusione del Covid-19, nel rispetto delle norme sanitarie. Prima di arrivare alla conclusione di questo "lockdown spirituale" le critiche al governo sono state a tratti feroci e hanno condotto a una scontro. Premettiamo, la preghiera collettiva non ha bisogno di un codice Ateco e la gestione delle funzioni pubbliche non è affidata a persone incoscienti, se di fronte al supermercato l'addetto è in grado di far rispettare i flussi con distanze e dispositivi di protezione, si può immaginare che almeno lo stesso saggio comportamento avrebbe potuto tenere il prete o il rabbino nell'organizzazione della preghiera. Tant'è, il problema è comunque superato. E proprio perché è alle spalle, e finalmente chi vuole può tornare a nutrire la propria anima, possiamo soffermarci su cosa dice l'ebraismo riguardo alla gestione delle epidemie.


Per l'ebraismo la vita è sacra, va preservata in ogni modo. Si può, anzi si deve, trasgredire qualsiasi regola se una vita va salvata. Ciò vale a maggior ragione se la vita da salvare è la propria. Un trattato del Talmud intitolato Chullim dice che «il rischio per la salute richiede maggior attenzione e rigore comportamentale rispetto agli stessi normali divieti della Torah (Pentateuco, ndr)». E poi, sempre il Talmud, stavolta nel trattato di Bava Khama, riporta così: «Se in città c'è una pestilenza ritira i tuoi passi». I maestri interpretano questo ritiro dei passi in modo inequivocabile: bisogna stare a casa. Se fuori c'è una epidemia, meglio non uscire. Il testo talmudico s'interroga su quale possa essere la fonte di questa raccomandazione e trova ben tre riferimenti biblici, di cui uno è molto noto. Quando gli ebrei schiavi in Egitto assistettero alle dieci piaghe, alla vigilia dell'ultima, quella che narra la morte dei primogeniti egiziani, Dio comanda ai figli di Israele di restare nelle proprie case, senza uscire, perché la morte sarebbe passata in strada ma avrebbe oltrepassato le loro case qualora si fossero comportati secondo ciò che era stato comandato. L'ebraismo, dunque, già nei suoi testi antichissimi prevedeva il lockdown per scongiurare il pericolo della morte per epidemia. Da qui l'insegnamento diventa addirittura legge: se c'è l'epidemia, al di là delle disposizioni sanitarie del posto, che vanno comunque seguite, non si deve scendere per strada. Curioso il fatto che gli ebrei, 7 giorni su 7, durante la preghiera della sera leggono un verso in cui si chiede al Signore: «Togli da noi qualsiasi nemico, epidemia, morte violenta o carestia, preoccupazione o sospiro, e qualunque avversità prevedibile e imprevedibile». A testimonianza che l'epidemia è davvero un male che necessita l'invocazione dell'Altissimo per essere scongiurata o sconfitta. Del resto, proprio questo virus ha insegnato che la scienza può salvare tante vite, ma il controllo della natura è una materia da lasciare a chi opera nei luoghi di culto e non nei laboratori di Wuhan.

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Fabio Perugia