Il sesso senza limiti scardina l’amore. Invece della piena libertà, ci riduce a un groviglio di istinti, a robot che si stordiscono nell’accoppiamento seriale. Lo aveva intuito, con preveggenza, il sociologo russo Pitrim A. Sorokin.
È successo molte volte nel corso della Storia, e sta ricapitando ora. Alla rivoluzione segue una restaurazione, spesso rigida e talvolta nemica della libertà. Lo possiamo osservare ogni giorno seguendo le polemiche mediatiche: la società occidentale ha creato una guerra tra i sessi e cerca disperatamente di placarla rifugiandosi nella burocrazia, cioè in un sistema di regole che rende la repressione sempre più soffocante, sfiorando l’autoritarismo. Non si fa più differenza tra molestia sessuale e violenza, la più scontata ironia viene trattata come una perversa manifestazione di sessismo, l’ossessione per la brutalità maschile tracima da film, libri e serie televisive.
L’antica «lotta al patriarcato» un tempo condotta in un nome della libertà (anche se di una libertà male interpretata), oggi è divenuta sistema normativo e disciplinare che non lascia scampo e che minaccia di trascinare in tribunale chiunque non si pieghi al discorso dominante. Basta che un professore critichi uno studente che si presenta a scuola con la gonna e scoppia il putiferio, il docente è additato quale pericoloso bigotto e linciato sulla pubblica piazza televisivo-giornalistica.
Ebbene, questa è la restaurazione, ed è anche piuttosto intollerante e violenta. Da dove nasce? Intuirlo non è difficile: dalla «rivoluzione sessuale» che ha travolto l’America e tutto l’Occidente a partire dagli anni Sessanta. L’amore libero si è presentato con i volti sorridenti e i bei corpi nudi dei ragazzi e delle ragazze di Woodstock, poi ha mostrato una faccia diversa. Ha, in realtà, scardinato l’amore, e con il passare degli anni si è ridotto a iper regolamentazione della sessualità tramite leggi e contratti. Che sarebbe andata a finire così, qualcuno lo aveva capito con larghissimo anticipo: il sociologo russo Pitrim A. Sorokin, uno che di rivoluzioni si intendeva eccome.
Nato in Russia nel 1889 da una famiglia non certo ricca, sin da giovane ardeva del fuoco della politica, e si impegnò nella lotta al potere zarista. Rivoluzionario sì, ma socialista, e lontano dalle posizione di Lenin e compagni. Ben presto, quando i bolscevichi presero il potere, Sorokin iniziò a essere trattato da nemico del popolo. La scampò per il rotto della cuffia, salvandosi dalla persecuzione solo grazie a una lettera inviata a Lenin in persona in cui ammetteva i suoi errori politici.
Annunciò ufficialmente il ritiro dall’impegno attivo, e si dedicò allo studio della sociologia, ma non trovò pace nemmeno fra i libri: i bolscevichi continuarono a criticare le sue opere, e il povero Sorokin, per evitare di essere spedito in un gulag e poi all’altro mondo, dovette imboccare la via dell’esilio. Prima in Europa dell’Est, poi negli Stati Uniti.
Il suo percorso si concluse ad Harvard, dove divenne uno dei professori più stimati e letti. Almeno fino alla pubblicazione, nel 1956, di un corposo saggio intitolato La rivoluzione sessuale americana, ricomparso nelle librerie grazie all’editore Cantagalli, per la curatela di Leonardo Allodi. Sfogliando il volume se ne può apprezzare la straordinaria attualità, e se si pensa a quando è fu scritto viene da pensare che si tratti di un fenomenale esercizio di preveggenza.
In realtà, Sorokin stava semplicemente svolgendo alla perfezione il suo compito di indagatore dei meccanismi sociali, e aveva intuito dove ci avrebbe condotti la riduzione dell’essere umano a macchina desiderante. Mentre autori come Wilhelm Reich avevano celebrato i fasti della rivoluzione sessuale, auspicandone l’affermazione a livello globale, Sorokin metteva in guardia sulle conseguenze che avrebbe avuto la totale separazione di sesso e amore, e la riduzione dell’accoppiamento ad attività meccanica.
Manco a dirlo, gli studenti in lotta alla fine degli anni Sessanta preferirono abbeverarsi agli scritti di Reich, mentre soltanto un manipolo di conservatori (nel senso migliore del termine) preferì eleggere Sorokin a nume tutelare. La comunità accademica, in compenso, accolse il libro con quasi totale indifferenza, ma l’autore si aspettava anche questo: «Sono consapevole che i costumi e la morale sessuale oggi prevalenti sono ostili ai punti di vista e alle prospettive morali di questo studio» scrisse nell’introduzione. «Per tale ragione è probabile che incontri una accoglienza non amichevole o “silente” dei partigiani della “libertà sessuale”».
Andò esattamente così. L’intellighenzia progressista americana ed europea, dopo tutto, non poteva certo gradire un saggio che si apre con un elogio del matrimonio. In Francia, per esempio, le star intellettuali del dopoguerra erano Jean- Paul Sartre e Simone De Beauvoir, che avevano fatto della «relazione aperta» la cifra del loro rapporto di coppia. Sorokin, invece, scriveva che «di solito, le relazioni sessuali illecite raramente vanno oltre una effimera unione “copulativa”. Ogni partner rimane un mero apparato sessuale per la soddisfazione del piacere dell’altro. I partner restano largamente sconosciuti l’uno all’altro; i loro ego non sono fusi in un “noi” né il loro egoismo viene temperato da mutua devozione e amore. […] Per un breve momento di piacere sensuale le parti normalmente pagano un alto costo di frequenti e lunghi periodi di angoscia, ansia, paura, rimorso, odio e sofferenza».
Attenzione: qui non parliamo di un bacchettone che si diletti a far la morale agli altri, ma di uno studioso serio che aveva scorto una grande verità. «Una rivoluzione sessuale incide in modo drastico nella vita di milioni di persone, disturba profondamente la comunità e influenza in modo decisivo il futuro della società» spiegava Sorokin. E oggi, con il senno di poi, è difficile dargli torto.
Il fatto è che non si tratta di condannare la promiscuità, le relazioni clandestine o chissà che altro. Ma di comprendere che cosa abbia fatto all’amore – dunque, alla più grande potenza creativa di cui siano dotati gli umani – la rivoluzione sessuale.
In più di un senso siamo stati ridotti a carne pulsante, a un groviglio di istinti, a robot che talvolta si rifugiano nell’accoppiamento seriale. Il sesso nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ha prodotto l’aumento del narcisismo, il crollo delle nascite e, in fondo, anche l’isolamento sociale.
Sorokin si oppose a tutto questo. E lo fece anticipando il suo conterraneo Aleksandr Solzhenitsyn. Come hanno notato Dmitrij Uzlaner e Kristina Stoeckl in un saggio pubblicato sulla rivista Confronti, «Sorokin ha sviluppato una prospettiva particolare sulla sociologia urbana e rurale secondo la quale solo uno stile di vita rurale basato su un modello tradizionale della famiglia, un’economia fondata sul lavoro manuale e domestico, un forte legame tra l’individuo e il territorio abitato è sociologicamente, demograficamente ed economicamente sostenibile».
La rivoluzione sessuale ha ferito l’amore, ha colpito ferocemente la famiglia ma non ci ha resi affatto più liberi. Anzi, ha sbriciolato l’intero edificio europeo e occidentale. Avrebbe dovuto renderci più felici, ci ha resi più tristi e meno liberi.
