Non solo il titolo più venduto della storia, ma tanti altri videogiochi hanno tenuto compagnia a ragazzi e adulti durante il lockdown. Ecco quali sono e cosa li caratterizza, a cominciare dall’universo parallelo più longevo e di successo di tutti, dove si condividono esperienze, valori, progetti educativi.
Confinati nelle loro stanze durante il lockdown, milioni di ragazzi di tutto il mondo si sono ripresi la libertà di sconfinare. Hanno trovato un modo per esplorare montagne innevate, gli abissi del mare, campagne senza fine e altri paesaggi lontani. Oppure, hanno ricostruito luoghi vicini, a lungo sbarrati e irraggiungibili: il cortile della scuola, il parco dietro casa, un muretto in un viale alberato dove dare appuntamento agli amici di sempre. Nelle settimane della fisicità azzerata, del contatto proibito, bambini e adolescenti hanno riconquistato nell’universo virtuale di Minecraft una via d’uscita, le sensazioni rassicuranti di un altrove accessibile. Con loro, tanti adulti in vena di evasioni.
Minecraft è il videogame più venduto della storia: è stato acquistato oltre 200 milioni di volte. Definirlo solo un gioco, significa però non conoscerlo o averlo frainteso: si tratta di un pianeta in perenne evoluzione, una sorta di lego digitale partecipato. Il suo scopo è edificare spazi partendo da piccoli blocchi, da accostare assieme come in un puzzle. Tirando su pareti, scavando fondamenta a colpi di piccone, alternando verde e cemento, acqua e terra, pieni e trasparenze. Liberando la fantasia in comitiva, perché la fatica si condivide con sconosciuti o compagni di classe, compaesani o iscritti da una nazione qualunque agli antipodi.
Questo continente parallelo censisce 126 milioni di abitanti attivi ogni mese e si è popolato parecchio durante la quarantena: solo ad aprile ha avuto un incremento di presenze del 25 per cento. Di più: la modalità multiplayer, quella in cui s’incontrano altri utenti, si chiacchiera con loro e ci s’improvvisa architetti e muratori, è cresciuta del 40 per cento. È diventata un rifugio dinamico da una quotidianità immobilizzata.
Sette giochi che hanno spopolato durante il lockdown

Secondo alcune stime forse un po’ larghe, Fortnite conta mezzo miliardo di giocatori. Di sicuro, durante la quarantena, è stato il luogo prediletto dagli adolescenti per competere tra di loro. O solo ritrovarsi: il concerto del rapper Travis Scott ha raccolto 12 milioni di persone in contemporanea da tutto il mondo.

Se Fortnite mantiene una patina più ludica, in Call of Duty si fa sul serio. Soprattutto in Warzone, l’arena in cui si gioca a farsi la guerra l’un contro l’altro armati. Durante il lockdown, è stato un formidabile antistress.

Con il campionato di calcio e le coppe europee ferme, la nostalgia del calcio si è fatta sentire tantissimo. Fifa 20 è stato il rimedio per chi è entrato in crisi d’astinenza dal pallone.

Per capire quanto sia ipnotico Animal Crossing, bisogna provarlo. Alla pari di Minecraft è diventato una sorta di social network, un punto d’incontro virtuale parallelo. Un posto felice con venature d’innocenza in cui sentirsi altrove e qualcun altro.

Ring Fit Adventure, a un certo punto, è diventato introvabile. Perché a differenza degli altri titoli che si possono scaricare in digitale, questo aveva un supporto fisico: una sorta di volante in cui inserire il controller della Nintendo Switch e allenarsi imitando gli esercizi sul televisore. Un toccasana, un antidoto all’immobilismo forzato della clausura domestica.

Qui siamo nel terreno del grande ripasso. The last of Us Part II, uscito da poco, era uno dei videogame più attesi degli ultimi anni. In tanti hanno approfittato del lockdown per ripercorrere i paesaggi e vivere le avventure del primo spettacolare episodio.

Con la macchina chiusa in garage o parcheggiata tristemente non troppo lontano da casa, Forza Horizon 4 è stato il rifugio dei patiti dei motori. Che si sono potuti regalare sorpassi e sgommate virtuali in bolidi da sogno, in scenari strepitosi. Meglio di niente…
«Mentre tutto il resto sembrava fuori controllo, pareva in preda al caos, Minecraft era un luogo stabile nel quale avventurarsi o riunirsi con gli amici» riassume a Panorama dagli Stati Uniti Deirdre Quarnstrom, general manager di Minecraft Atlas, che si occupa delle strategie di diffusione e sviluppo globale della piattaforma. Il cui merito è, anche, livellare le differenze, mettere tutti i partecipanti sullo stesso piano. Non importa se ci si collega da una villa con giardino o da un sottoscala condiviso con i genitori, nonni e fratelli. L’io di ciascuno coincide con un piccolo omino dalla testa cubica: «L’identità virtuale con cui ci si presenta elimina le barriere e le distanze del mondo reale». Prescinde da religione, censo, handicap fisici: «Incoraggia la risoluzione dei problemi, stimola la collaborazione. Fa capire che, per realizzare grandi cose, non puoi farcela da solo. Hai bisogno degli altri».
La grafica stessa rimane basica: il gioco esiste da 11 anni e, nonostante qualche adeguamento, conserva l’apparenza non troppo elaborata delle origini. Un aspetto con echi rétro che, mentre lo caratterizza, lo stacca dai codici contemporanei e lo fa funzionare su dispositivi di ogni generazione, inclusi quelli più datati ed economici: «C’è un poderoso messaggio che si nasconde dietro la semplicità» commenta Quarnstrom.
Mojang, lo sviluppatore svedese che ha realizzato Minecraft, è stato acquisito dalla Microsoft nel 2014 per 2,5 miliardi di dollari. Un investimento ingente rimborsato dal tempo, visto che sei anni dopo l’ascesa non si è arrestata e il titolo è disponibile, a pagamento, su tutte le principali piattaforme, dal Nintendo alla PlayStation, in app per iPhone e telefonini Android, per Windows come per la Xbox. «Nella storia del gaming difficilmente nascono serie così longeve e trasversali. La sua forza sta nella pluralità, nelle sue tante facce. Ha una variante che utilizza la realtà aumentata, un’altra ottimizzata per insegnare agli studenti a imparare a programmare. A capire, divertendosi, i rapporti di causa ed effetto, le logiche che hanno dietro» spiega Cédric Mimouni, responsabile Xbox per l’area mediterranea e la Penisola Iberica.
Del videogame esiste una versione Education dedicata alle scuole. Durante il lockdown, sono stati scaricati oltre 50 milioni di contenuti gratuiti, che hanno trasportato le aule, già traslocate in digitale, in contesti meno monotoni rispetto alle stanze di alunni e docenti. Dentro Minecraft si possono fare lezioni di gruppo: visitare un museo di bit e scoprire i dettagli di ogni quadro esposto; curiosare in un laboratorio scientifico, salire a bordo della stazione spaziale internazionale, tornare indietro fino al medioevo o all’epoca dell’impero romano. La Galleria Nazionale delle Marche, tempo fa ha lanciato un progetto che consente agli istituti scolastici di approfondire la storia di Raffaello nella sua città natale, Urbino. «Sono tutti contesti che sollecitano il pensiero e l’immaginazione» dice Mimouni. Con un pregio evidente rispetto ad altri simulatori: «In Minecraft si rimane se stessi. Compagni di classe, elementi di un gruppo. Si estende la propria vita, non la si stravolge, non si tenta di riscriverla daccapo». Il punto, più che apparire, è partecipare. Contribuire a un’opera collettiva.
Una squadra di quattrocento persone, così, sta costruendo Greenfield, una città grande quanto Los Angeles, nata accostando 20 milioni di mattoncini. Ha grattacieli, fabbriche, strade. Non impone restrizioni alla circolazione nemmeno durante il più severo dei lockdown. Negli Stati Uniti decine di università, da Berkeley a Stanford, hanno ricreato il loro campus, dormitori inclusi; scuole di ogni ordine e grado hanno usato il programma per organizzare i balli scolastici e le cerimonie del diploma spazzate via dal coronavirus. Da noi non c’è stato lo stesso clamore, «ma di sicuro Minecraft è stato uno dei fenomeni principali che ha dato continuità alla socialità dei ragazzi italiani» assicura Mimouni. E tantissimi genitori possono confermarlo.
La sua diffusione ha persino aiutato i docenti a far passare messaggi attuali e cruciali: «Come la necessità di lavarsi spesso le mani. O di prendere confidenza con il distanziamento sociale. Semplicemente, è stato chiesto ai ragazzi di collocare i blocchi nel gioco a un metro tra loro» ricorda Quarnstrom. Sottintendo, ancora una volta, il potere speciale di Minecraft, la formula che lo immunizza dagli scricchiolii della vecchiaia: alleggerire la pesantezza sdrammatizzandola, spalancare un mondo da inventare in cui ciascuno parte dalle stesse possibilità. Uno spazio che continua ad allargarsi, anche quando il proprio orizzonte è costretto a restringersi.
