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La grande madre Russia non fa più figli

La grande madre Russia non fa più figli

Il Paese più grande del mondo vive lo stesso dramma strutturale dell’Italia: una denatalità che ne mina il futuro. Così per Vladimir Putin incentivare le nascite è diventata «la priorità assoluta».


L’imponente statua di Lenin, residuo dell’epoca sovietica, guarda da lontano il quartiere di Presnenskij, dove sorgono i grattacieli di Moscow City, l’avveniristico centro d’affari della capitale: costruito negli anni Novanta, dovrebbe rappresentare la Russia del futuro. L’avvenire, però, sembra molto meno radioso, almeno dal punto di vista demografico.

Non c’è solo l’Italia col suo drammatico tasso di fecondità di 1,29 figli per donna appena certificato dall’Istat. La Russia, dice il servizio statistico nazionale il Rosstat, sta perdendo popolazione, ed entro il 2035 potrebbe scendere di altri 12 milioni, toccando il minimo storico di 134,2 milioni di abitanti. Il campanello d’allarme era già suonato nel 2018, quando sono state registrate circa 19.000 nascite in meno del 2017. Nel 2019 si è arrivati a quasi 300.000 bebè in meno e, con i limiti posti all’immigrazione, la situazione è diventata ancora più difficile da bilanciare.

Le cause sono diverse, da più immediate abitudini alimentari a più generali motivi di organizzazione sociale. Una cosa è tuttavia certa: secondo i demografi, se questo trend non si invertirà, nel medio termine la Russia andrà incontro a serie difficoltà. La prima, prettamente economica, riguarda le pensioni: con sempre meno persone che entrano sul mercato del lavoro, sarà dura continuare a pagare gli assegni mensili di chi già non lavora più. A più lungo termine, poi, la Russia potrebbe non avere più sufficiente personale per garantire il funzionamento dello Stato, a partire dall’esercito e dalle forze dell’ordine.

Il presidente Vladimir Putin lo sa bene, tanto che durante il tradizionale discorso di fronte all’Assemblea Federale, tenuto a gennaio, ha parlato di «priorità assoluta» nella sua agenda. «Il futuro della Russia e le sue prospettive storiche» ha affermato «dipende da quanti saremo». Più chiaro di così non lo poteva dire. Il Cremlino ha messo già a disposizione incentivi, fino a 7.350 dollari, per chi ha tre figli. «So che non è abbastanza» ha riconosciuto. «Dobbiamo aumentare gli standard di vita, il potere d’acquisto degli stipendi. La predisposizione a creare una famiglia dipende anche dall’economia e dalle prospettive offerte dal Paese». Problemi uguali, guarda caso, a quelli che vivono molte realtà dell’Occidente.

Il leader del Cremlino cerca soluzioni di emergenza, ma la questione demografica, viene da lontano. I primi cali di popolazione avevano iniziato a registrarsi negli anni Sessanta e Settanta. Ma erano numeri ancora contenuti, poco coerenti con l’immagine di prosperità e grandezza che voleva offrire l’Unione sovietica e quindi tenuti opportunamente nascosti. Il vero allarme è stato lanciato negli anni Novanta, nel turbolento periodo della crisi politica ed economica seguita alla caduta del comunismo.

La popolazione, ridotta alla fame, iniziò a non fare più figli tanto che nel 1993 l’indice di natalità si era dimezzato rispetto alla fine degli anni Ottanta. «Se nel 1990 c’erano 1,9 milioni di nuovi nati in Russia, nel 1997 erano scesi a 1,2 milioni» dice a Panorama Andrey Korotaev, professore alla Scuola superiore di economia di Mosca. «Quando si verificano cali del genere, significa anche che diminuisce il numero delle madri potenziali. Il problema, dunque, è destinato a ripetersi, peggiorando.

Non è un caso che questa nuovo calo demografico generalizzato coincida con gli anni in cui i nati dopo il crollo del comunismo erano in età fertile». In questo momento il tasso di fertilità in Russia è di 1,6 bambini per donna, contro l’1,7 di media dei Paesi più sviluppati. Nel 2000 il governo lanciò un piano di aiuti da 40 miliardi di dollari che riuscì, in parte, a migliorare la situazione. Ora Putin intende stanziarne altri dieci, ma potrebbero non bastare. A fronte dei russi che non nascono più, infatti, ci sono anche quelli che se ne vanno. Dall’inizio del suo potere, sono stati circa 1,6 milioni i suoi connazionali che hanno lasciato il Paese.

Se la colpa non è addebitabile direttamente al presidente, l’esodo avvenuto dopo il collasso dell’Unione Sovietica e la crisi che ne è conseguita ha messo comunque in ginocchio l’economia nazionale. Un report della società di consulenza Gallup ha evidenziato come il 20 per cento della popolazione in età lavorativa sarebbe disponibile a trasferirsi all’estero, se ne avesse la possibilità.
Ci sono poi gli stili di vita ad avere un impatto negativo sull’equilibrio demografico. Il primo aspetto è quello della vita media degli individui.

Se nelle grandi città come Mosca o San Pietroburgo i dati sono analoghi a quelli dei Paesi occidentali, nelle aree rurali l’aspettativa di vita per gli uomini è di 66 anni, per le donne di 77. La Russia ha una mortalità media del 13,4 per mille abitanti, contro i 9 di quella mondiale. Il motivo? C’entra, in gran parte, il consumo di alcol smodato, che ha conseguenze sia sui decessi prematuri degli uomini sia sul calo di fertilità delle donne. Altra «piaga» nazionale è il ricorso eccessivo all’aborto, che ai tempi dell’Unione sovietica veniva utilizzato come un normale strumento per regolare la pianificazione familiare.

Oggi la società ha fatto passi avanti in tema di educazione sessuale, ma l’interruzione volontaria della gravidanza resta un metodo a cui numerose donne fanno ricorso. Si calcola che nel 2018 nel Paese ci siano stati almeno 567 mila aborti (la metà, peraltro, rispetto al 1995). Ogni mille nati ci sono 480 aborti contro i 200 di Europa e Stati Uniti. Numeri fuori controllo, contro i quali la potente chiesa ortodossa ha cercato di lottare, chiedendo a più riprese di porre limiti a una legge che concede la possibilità di interrompere una gravidanza fino alla dodicesima settimana e che, secondo un recente sondaggio, viene difesa dal 72% della popolazione.

Le iniziative per rilanciare la natalità sono tante, dalla promozione di stili di vita più sani all’aiuto alle famiglie che vogliono avere figli, ma non hanno sufficiente successo. Sono stati anche stanziati fondi per aiutare le coppie che vogliono ricorrere alla fecondazione in vitro, il cui costo in Russia parte da una cifra pari a 1.600 dollari, cioè tre volte lo stipendio medio. Fra 2016 e 2018 le procedure sono passate da 46.000 a 78.000 e potrebbero arrivare 94 mila nel 2024. Troppo poco per fare la differenza, ma che possono aiutare a tamponare la situazione che, dicono alcuni esperti, è comunque irreversibile.

Alla Ivanova, sociologa dell’Accademia delle scienze, ha spiegato che «la generazione della Seconda guerra mondiale, ben più numerosa delle successive quanto a nascite, è quella che ha raggiunto l’età della vecchiaia e può contare su un sistema sociale e pensionistico non più sostenibile nei decenni a venire».

Il calo della popolazione provocherà inevitabilmente una contrazione economica nelle entrate dello Stato, con ripercussioni sulla spesa sociale: meno persone nascono, meno ne entrano sul mercato del lavoro, meno si riesce a mantenere la macchina pubblica che, nel caso della Russia, è elefantiaco. Putin ha provato anche a varare una riforma delle pensioni, aumentando l’età del ritiro dal lavoro, ma è stato costretto a edulcorarla a causa delle proteste nel Paese, fermandosi a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne a partire dal 2034.

Una strada per bilanciare la situazione potrebbe essere quella dell’immigrazione. Ma il piano per fare entrare nel Paese 10 milioni di persone madrelingua e provenienti dalle ex repubbliche sovietiche non ha dato i risultati sperati. E con il 10 per cento della popolazione musulmana, il Cremlino sembra restio ad adottare politiche che potrebbero sì aiutare l’incremento demografico, cambiando però gli equilibri interni. Un rischio che il potere, nonostante la retorica del ritorno alla Grande Russia, non vuole correre.

Ma la denatalità avanza anche nel resto dell’Europa

Si rafforza l’inverno demografico in Europa. Secondo quanto riportato da Eurostat, nel 2017 in Unione europea sarebbero nati 5,075 milioni di bambini: dato che corrisponde a un tasso di fecondità grezzo (il rapporto tra il numero di nascite durante l’anno e la popolazione media di quell’anno) del 9,9. Una discreta diminuzione rispetto al 2000, quando il tasso era del 10,6, e rispetto al 1985, quand’era del 12,8. Nonostante una piccola ripresa nel 2008 (con 5,469 milioni di nascite), si sono poi registrati cali annuali fino al 2017.

Negli ultimi decenni gli europei hanno generalmente avuto meno figli. E questo spiega in buona parte il decremento della popolazione. Si pensi che, nel 2017, il tasso di fecondità totale nell’Unione europea (il numero medio cioè di figli per donna) sia stato di 1,59 (rispetto all’ 1,60 dell’anno precedente). Nel dettaglio, il tasso di fecondità totale europeo è aumentato da un minimo di 1,46 nel 2001 e 2002 a un massimo di 1,62 nel 2010, cui è poi seguita una lieve diminuzione a quota 1,55 nel 2013, per presentare infine un leggerissimo incremento tre anni fa.

In questo contesto, non bisogna neppure trascurare che, negli ultimi due decenni, è aumentata l’età media delle donne che hanno figli: se nel 2001 era di 29 anni, nel 2017 è passata a 30,7 anni. Del resto, il trend generale sulla diminuzione della popolazione europea non sembra destinato a invertirsi. Basti pensare che l’anno scorso le Nazioni Unite hanno elaborato una serie di predizioni, secondo cui – nel 2100 – l’Unione europea avrà il 13% della popolazione in meno rispetto a oggi (la stima è di circa 449 milioni di persone).

Come ha sottolineato il Financial Times a gennaio, l’Europa ha oggi i tassi di fertilità più bassi al mondo ed è la regione con la popolazione più anziana: l’età media è di 43 anni (12 in più, rispetto al resto del mondo). In particolare, si stima che, dal 2035, circa una persona su quattro in Europa risulterà sessantacinquenne, mentre nel 1950 si trattava di una su 13. Tra l’altro, a risultare maggiormente colpite dal calo delle nascite si rivelerebbero le nazioni dell’Europa meridionale (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia): il tasso di fertilità in quest’area è dell’1,37 (significativamente al di sotto della soglia del 2, necessaria per un pieno ricambio della popolazione).

Tutto questo – ha notato il quotidiano britannico – produrrà impatti negativi sulla crescita economica e sulle finanze dei singoli Stati: secondo Philipp Engler, economista presso il Fondo Monetario Internazionale, il PIL pro capite nelle economie avanzate (soprattutto in Europa) sarà destinato a contrarsi in modo «sostanziale».

La diminuzione della popolazione è un fenomeno che colpisce pesantemente soprattutto il nostro Paese. Secondo quanto riportato recentemente dall’Istat, i residenti in Italia al primo gennaio del 2020 risultano 116.000 in meno rispetto allo scorso anno. In particolare, il calo caratterizzerebbe principalmente le regioni del Centro e del Mezzogiorno, mentre a Nord si registrerebbero numeri in crescita (soprattutto in Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto). Nel corso del 2019, il grado di fecondità più elevato si è registrato nel Nord (con 1,36 figli per donna): un dato significativamente superiore a quello del Sud (con 1,26 figli per donna) e del Centro (con 1,25).

Secondo l’Istat, alla base della diminuzione della popolazione vi sarebbe un considerevole calo delle nascite, che risulterebbero essere 453.000 contro ben 647.000 decessi. In tal senso, l’istituto ha dichiarato che «il ricambio naturale della popolazione appare sempre più compromesso», in quanto si tratta del livello più basso toccato dal 1918. Tutto questo, sebbene il numero dei decessi sia lievemente calato (di appena 2.000 unità) rispetto al 2017. I dati negativi sul numero delle nascite non hanno tuttavia intaccato quelli relativi alla fecondità, che è rimasta sostanzialmente in linea con il 2018: 1,29 figli per donna. Inoltre, l’Istat ha rilevato come l’età media delle donne partorienti sia in aumento, arrivando a 32,1 anni.

Non in tutto il Vecchio Continente la situazione risulta ciononostante così drammatica, visto che in alcuni Paesi il calo delle nascite appare significativamente inferiore. Stando ai dati della Banca Mondiale del 2017, il tasso di natalità in Francia – pur essendo diminuito negli scorsi anni – resta uno dei più alti in Europa, con 1,92 nascite per donna. Una situazione similare si ha anche in Svezia, dove – sempre secondo la Banca Mondiale nel 2017 – il tasso è di 1,9 bambini per donna. Come sottolineato a gennaio dalla Bbc, in entrambi i casi alla base di questi dati positivi vi sarebbero politiche sociali particolarmente adeguate. Fra cui, benefici alle famiglie numerose, assistenza sovvenzionata ai bambini e congedo parentale.

Stefano Graziosi

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