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L’arte firmata dai robot

L’arte firmata dai robot

L’autoritratto dipinto dall’androide Ai-Da è solo l’ultimo esempio di creatività espressa dalla nuova intelligenza delle macchine. Che è anche in grado di comporre musica e scrivere poesie. Dove si pone, arrivati a questo punto, il confine tra umano e non-umano?


Del celebre autoritratto di Rembrandt all’età di 63 anni lo storico dell’arte Ernst Gombrich scrisse che guardandolo «ci sentiamo di fronte a un vero e proprio essere umano, ne percepiamo il calore, il bisogno di affetto e anche la solitudine e le sofferenze». Rembrandt aveva ritratto un sé, proprio ciò che manca al robot Ai-Da. Forse è per questo che i suoi ritratti comunicano un sottile senso di disagio e inquietudine, un turbamento acuito dal vedere un «non-umano» fare ciò che è prerogativa di un umano. Seguono domande di difficile risposta: gli autoritratti di un robot sono arte? Potrebbe l’opera di un robot essere scambiata per quella di un umano?

Ai-Da non sa solo dipingere: scolpisce, gesticola, fa l’occhiolino, cambia abiti a seconda dell’occasione, ha una voce femminile, risponde alle domande del pubblico, tiene conferenze e, occasionalmente, indossa parrucche fluenti al posto del suo solito caschetto bruno alla francese. A tradirla sono solo le due braccia meccaniche in metallo. I suoi autoritratti, esposti al Design Museum di Londra fino al 31 agosto, mostrano labbra carnose, occhi nocciola e talvolta uno sguardo interrogativo che evoca un barlume di coscienza.

Creata in due anni da un gruppo di ingegneri, esperti di arte, psicologi e filosofi della scienza dell’Università di Oxford e di Leeds, Ai-Da deve il suo nome ad Ada Lovelace, la matematica inglese dell’Ottocento che ha ideato il primo algoritmo al mondo pensato appositamente per una macchina.

A rendere possibili le abilità di Ai-Da è un’intelligenza artificiale formata da una serie di algoritmi di apprendimento automatico (machine learning) che permettono a una macchina di imparare grazie all’esperienza a eseguire compiti complessi in un modo molto simile a un essere umano. Il punto di partenza è sempre un insieme di dati, detto «insieme di addestramento», costituito da numeri, fotografie, brani musicali, transazioni bancarie e molto altro ancora.

Una volta forniti le informazioni iniziali, i programmatori scelgono un modello matematico con cui la macchina tratterà i dati e si auto-addestrerà, per esempio, a riconoscere caratteristiche comuni tra cose diverse e a fare predizioni.

Nell’ultima decade, il machine learning ci ha regalato cose che fanno parte della vita quotidiana: traduzioni automatiche di testi, riconoscimenti vocali e di volti, ricerca efficiente su Internet di termini, veicoli autoguidati, manipolazione dei genomi.

Nel caso di robot come Ai-Da, i computer vengono istruiti, tra le altre cose, a predire e a prevedere i gusti artistici delle persone e dunque a dipingere o scolpire in maniera da soddisfare i giudizi estetici degli umani. In uno studio apparso su Nature Human Behavior, circa 1.500 volontari venivano invitati a valutare dipinti di vari generi (impressionismo, cubismo, astrattismo…) e le risposte venivano usate come insieme di addestramento di un programma.

John O’Doherty, professore di psicologia nel laboratorio di Caltech, California Institute of Technology spiega: «Abbiamo distinto vari aspetti dei dipinti, per esempio il contrasto, la saturazione, la tonalità, il dinamismo, la quiete. Poi abbiamo raccolto le valutazioni delle persone relative a ognuno di questi aspetti e le abbiamo fornite al computer. In tal modo il programma imparava a combinare varie caratteristiche del dipinto così da ottenere valutazioni positive e a predire se il prodotto finale era originale, cioè differente rispetto all’insieme di addestramento».

Ai-Da non è il solo robot a ricordarci quanto sfumata stia diventando la differenza tra macchina ed essere umano. «Un sole splendente/ il vento che soffia/alberi nudi/e tu che danzi»: sono i versi di un robot poeta – creato da ricercatori del Microsoft Research Asia – posto di fronte alla fotografia di un paesaggio. Una canzone di Natale piuttosto originale è stata invece composta da un automa addestrato con 100 ore di musica pop da ingegneri dell’Università di Toronto.

Se qualcuno obiettasse che un robot non può provare sentimenti avrebbe ragione solo in parte, visto che un esemplare della Columbia University è stato istruito a essere «empatico». Basandosi su alcuni video di un robot compagno, ha appreso a prevederne le reazioni a varie situazioni e a reagire di conseguenza. Insieme, i due ricordano una coppia di umani che vivono insieme da tanto tempo e si capiscono al volo.

È prossimo un mondo in cui i robot scriveranno libri, non solo romanzi e poesie ma perfino trattati filosofici, costruiti componendo, ricomponendo e aggiungendo idee tratte dalle grandi opere del pensiero. Finiremo con il leggere un libro, ascoltare un disco, vedere un dipinto e non sapere se è opera umana o androide.

I «veri autori», in fondo, saremo sempre noi visto che i computer sono addestrati a partire dalle nostre opere. Basterà a dire che la creatività è prerogativa esclusivamente umana? E che un robot non può produrre vera arte o vera letteratura? Domande senza risposte chiare, anche perché la creatività è da sempre un concetto poco indagato, finora sfuggito alla nostra comprensione più profonda.

Il filosofo Immanuel Kant vedeva nel genio artistico l’abilità di produrre opere non solo originali ma anche con un significato. È fondamentale che entrambe le caratteristiche siano soddisfatte: si possono creare immagini in un modo del tutto nuovo ma il risultato è senza valore se non veicola emozioni o suscita riflessioni. Ma se l’arte è un modo di trasformare la realtà, secondo norme che l’artista stesso crea, così da emozionare e far riflettere, allora non c’è dubbio che gli autoritratti di Ai-Da siano arte. Ci turbano e ci fanno pensare a cosa vuol dire essere umani. n

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