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Abruzzo: quelle chiese terremotate ancora inagibili

Abruzzo: quelle chiese terremotate ancora inagibili

A San Demetrio ne’ Vestini, vicino all’Aquila, la ricostruzione dal sisma del 2009 non è mai stata ultimata. Così la sua piccola comunità si ritrova con importanti chiese, come la Santissima Annunziata, in stato di abbandono.


«Mi chiamo Nunziata Cardaci e sono una professoressa d’inglese in pensione. Vicino all’Aquila c’è il borgo di San Demetrio ne’ Vestini. Qui abbiamo ben otto chiese abbandonate e inagibili dal 2009. Una di questa, bellissima, risale al Seicento e, fortemente lesionata, ora è “tappezzata” dal guano dei piccioni… Le opere pregiate mai messe al riparo. Nemmeno in un pollaio ci sono condizioni simili. Chiedo aiuto a Panorama…».

Chi scrive parte allora per il capoluogo dell’Abruzzo. In città c’è folla, negozi e locali sono aperti. I ristoranti, pieni. La Fontana delle 99 cannelle, uno dei luoghi-simbolo, copiosa di acqua. La ricostruzione privata arriva quasi al 90%. L’Aquila è viva, rispetto al cratere, dove borghi e frazioni sembrano quasi fermi alla distruzione provocata dal sisma del 6 aprile 2009. Per esempio San Demetrio ne’ Vestini, che dista 16 chilometri dal centro. Un piccolo paese medioevale di 1.900 abitanti.

All’appuntamento davanti alla chiesa barocca della Santissima Annunziata, la professoressa Cardaci traccia un quadro desolante. «Questa chiesa è un “gioiello”, ma non ci si può entrare. La cupola a causa del terremoto è pericolante. A volte cadono calcinacci, macerie e le finestre sono in frantumi. I muri perimetrali, lesionati. Non sono stati messi al sicuro arredi e opere d’arte all’interno. E tutto è coperto da escrementi di piccione. Comune e Curia non hanno fatto niente. Ho coinvolto i vigili del fuoco che hanno mandato una relazione al sindaco e all’Asl. Io ho spedito raccomandate a Sovrintendenza, Comune, carabinieri e diocesi… Ma da 12 anni, nulla».

Per il rischio crollo, sono state chiuse le vie che costeggiano l’edificio. Fin dall’esterno il fetore è insopportabile. Dentro, il coro ligneo, un organo ottocentesco, statue come quella di San Giuseppe – cui è stato rubato il Bambino Gesù con la corona d’argento – e la pala d’altare settecentesca dell’Annunciazione: tutte opere in pessimo stato di conservazione.

Il sindaco del paese Antonio Di Bartolomeo, contattato da Panorama, non sembra preoccuparsi troppo: «’Sta cosa sta diventando un incubo, pare che abbiamo il Colosseo! Ho interessato l’Asl e la Sovrintendenza. Non è un immobile pubblico. Come amministrazione manderemo più richieste e solleciti di tempistiche certe alla Sovrintendenza. Mentre per l’Asl giustamente non c’è pericolo, visto che il problema è dentro la chiesa. Se non si entra, la salute viene comunque tutelata».

Ma l’Asl nel 2018 sollecitava il primo cittadino, quando Di Bartolomeo era vicesindaco, a «prendere provvedimenti per rimuovere il guano all’interno della chiesa». Augusto Cicciotti, segretario della Sovrintendenza regionale, spiega: «Siamo stati informati solo nel 2016 o 2017. C’è stato disinteresse da parte di Curia e amministrazione comunale. Purtroppo per la costruzione non abbiamo fondi. Dipende tutto dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica, ndr), in ritardo con i contributi». Don Artur Sidor dell’Arcidiocesi aquilana è direttore per i Beni ecclesiastici e culturali, ma non commenta. L’ufficio stampa della Diocesi invia una nota dal tono diplomatico: «La comunità ecclesiale aquilana esprime profondo rammarico e intensa preoccupazione per lo stato di degrado in cui versa la chiesa. Per questo, come ha già fatto, invoca la mobilitazione fattiva degli enti preposti».

Tra il ping pong di responsabilità e le pastoie della burocrazia, questo borgo diviso in piccoli quartieri, che hanno subito gravi danni dal sisma, non riesce a ripartire. E rischia di perdere non solo un patrimonio religioso e culturale, ma soprattutto il tessuto sociale. Attualmente non ci sono risorse per i lavori e il recupero degli edifici danneggiati – incluse le otto chiese chiuse, tra cui quella di San Giovanni Battista del 1200 – è fermo al 40%. Non sono state fatte stime precise, ma servono comunque milioni di euro. Così a San Demetrio si vive una situazione di apparente «normalità» che stride con questa ricostruzione senza fine.

L’unica parrocchia dove la comunità oggi si può riunire è la chiesa della Madonna e dei Santi Protettori. Ma non è un luogo di culto tradizionale: è un Mep, un modulo ecclesiastico prefabbricato, ovvero una struttura di 80 metri quadri in cartongesso realizzata in emergenza dopo il terremoto, ormai inadeguata ad accogliere i fedeli, le messe i matrimoni, i battesimi. E con la pandemia e il distanziamento sociale, la situazione è ulteriormente peggiorata. «Che si riesca ad aprire nel più breve tempo possibile almeno una delle nostre chiese» dice il parroco, padre Lorenzo Benedetti. «Sarebbe un segnale di speranza per tutti».

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