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Santa Sede: un palazzo, molti veleni

Santa Sede: un palazzo, molti veleni

Per il Vaticano l’acquisto dell’edificio londinese di Sloane Avenue, pagato centinaia di milioni di euro, diventa sempre più imbarazzante. Un report delle autorità antiriciclaggio europee e un memoriale del «mediatore» sott’accusa rischiano di coinvolgere le alte cariche finanziarie vicine al Papa.


Gli ispettori di Moneyval (l’autorità di vigilanza del Consiglio d’Europa sull’antiriciclaggio) hanno finito il lavoro: il report arriverà a fine anno, ma dalle parti della Segreteria di Stato vaticana non si sta troppo tranquilli. C’è da mettere a tacere quanto più in fretta si può lo scandalo londinese del palazzo di Sloane Avenue 60 che il Vaticano voleva comprare dal fondo Athena di Raffaele Mincione, che è transitato per una mediazione sospetta di Gianluigi Torzi e oggi è sì di proprietà della Santa Sede, ma è costato un occhio della testa, prosciugando l’obolo di San Pietro, il salvadanaio delle elemosine del Papa. E ora ci sono sospetti di mazzette e ricatti.

Anche perché nel mezzo dell’inchiesta c’è finito l’ex direttore dell’Aif (Autorità d’informazione finanziaria) di Oltretevere Tommaso Di Ruzza, ufficialmente andato in pensione a gennaio. Il che agli ispettori di Moneyval non deve essere sembrato un buon avvio del nuovo corso delle finanze vaticane. Lo sa bene il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, impegnatissimo a evitare che il terremoto immobiliare destabilizzi il precario equilibrio della governance delle finanze dello Stato, ottenuto con la nomina di Carmelo Barbagallo (ex Bankitalia) alla presidenza dell’Aif e quella di Juan Antonio Guerrero Alves a prefetto della Segreteria per l’economia del Vaticano. Parolin ha chiamato al posto di Di Ruzza Giuseppe Schlitzer per mettere ordine nelle carte, ma anche per tranquillizzare Francesco che dicono essere su tutte le furie.

Le ragioni sono due. La prima è che la crisi economica del Vaticano causa Covid e la disaffezione dei fedeli è pesante, ma ce n’è una seconda assai più preoccupante: è la piega che può prendere l’inchiesta sull’ormai celebre palazzo di Londra. Gianluigi Torzi, il broker anglo-molisano che ha trattato in ultimo l’acquisto dell’immobile londinese pagato appunto con i soldi dell’obolo di San Pietro (e già questa è un’anomalia), arrestato dai gendarmi vaticani, è tornato in libertà. Per ora non ha fatto nomi, ma in un memoriale di oltre 50 pagine consegnato all’inquisitore papale Gian Piero Milano il broker si è difeso e i suoi avvocati Ambra Giovene e Marco Franco hanno commentato la scarcerazione riconfermando che «l’arresto era frutto di un fraintendimento».

Ma che cosa c’è scritto nel memoriale? Nell’inchiesta sono finite già anche troppe alte cariche della Santa sede. La più clamorosa è quella di monsignor Alberto Perlasca cui sono stati sequestrati documenti e computer, poi c’è monsignor Maurizio Carlino, indagato con altri quattro dipendenti vaticani (Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi, Caterina Sansone oltre a Di Ruzza). Ci sono i cardinali coinvolti a vario titolo perché hanno partecipato alle trattative dell’acquisto dell’immobile londinese (contro di loro non c’è alcuna accusa), Giovanni Angelo Becciu che dette il là all’affare e fu sollevato da Bergoglio, ed Edgar Peña Parra – l’attuale «ministro» delle Finanze vaticane – che di fatto ha avallato l’acquisto definitivo di Sloane Avenue attraverso Torzi.

Tutto questo turbinio di porpore non lascia tranquillo Parolin e inquieta il Papa. Per due circostanze. La prima è che Raffaele Mincione, il finanziere che ha venduto il palazzo al Vaticano attraverso il fondo Athena, ha raccontato che Gianluigi Torzi è stato ricevuto da Bergoglio in persona. Con il Papa dunque ha parlato dell’affare? Ci sarebbe – stando ad alcune dichiarazioni che Mincione ha fatto all’Adnkronos – addirittura una foto di Torzi con Francesco. Sostanzialmente Mincione difende Torzi, affermando all’agenzia di stampa: «Io il palazzo l’ho venduto al Vaticano. L’ho venduto a Edgar Peña Parra, allo sceriffo messo da altre persone per fare questa cosa. Non l’ho venduto a Torzi. Torzi è stato incaricato dal Vaticano di comprare il palazzo per loro: è differente la storia».

E su questa «storia differente» i difensori di Torzi – che non è affatto un broker sconosciuto, si è parlato di lui come referente di Vincenzo De Bustis, il «banchiere rosso» finito nei guai per la Popolare di Bari che gli aveva chiesto di piazzare delle azioni della banca a Londra – puntano per smontare le accuse. Nel memoriale il broker racconta di aver ricevuto minacce e pressioni, rivela – stando a quanto è trapelato – di aver avuto promesse anche di incontri con escort di alto bordo e lascia intendere che alcuni personaggi dell’ambiente vaticano chiedevano mazzette per chiudere l’affare.

Offerte che lui avrebbe rifiutato, per questo sarebbe stato arrestato e si è difeso affermando: i 15 milioni che ho chiesto sono la mia mediazione per far acquistare definitivamente il palazzo al Vaticano. Insomma Torzi sostiene di aver dato corso all’incarico ricevuto da Peña Parra e di aver curato gli interessi del Vaticano.

L’inchiesta è tutt’altro che conclusa anche se Bergoglio vuol mettere la parola fine. Ma resta il buco nelle finanze del Papa: il conto per Sloane Avenue 60 ammonta a 350 milioni di euro. Ora sperano di archiviare il caso Londra in fretta perché c’è da salvare sì qualche faccia, ma soprattutto il bilancio.

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