Nato a Marsiglia nel 1972, Stephane Bancel ha studiato ingegneria all’Università Paris-Saclay e all’Università del Minnesota, poi ha conseguito un master alla Harvard Business School. È stato direttore vendite alla casa farmaceutica Eli Lilly e quindi amministratore delegato di una società francese di biotecnologie. Una carriera brillante, ma che certo non lo avrebbe reso famoso. Fino a quando, nel 2011, la sua vita ha incrociato una piccola e oscura società fondata un anno prima a Cambridge (Massachusetts) da un biologo canadese, Derrick Rossi. La start-up si chiamava Moderna.
Bingo! Grazie alla nomina di chief executive officer di Moderna, Bancel è diventato uno dei manager dell’industria farmaceutica più ricchi al mondo. Il suo patrimonio è stimato dal periodico americano Forbes intorno ai 6,8 miliardi di dollari mentre lo stipendio viaggia sui 3,9 milioni all’anno. Non solo: approfittando della crescita del titolo in Borsa, il dirigente francese ha continuato a vendere le azioni di Moderna a ritmo forsennato: 88 mila nel 2019 per un controvalore di 1,6 milioni di dollari, un milione e mezzo di titoli nel 2020 con un incasso di quasi 98 milioni di dollari, un altro milione di pezzi nel 2021 per un valore di 249 milioni e già nei primi giorni di quest’anno ha piazzato sul mercato 29 mila azioni per 6,6 milioni di dollari. Complessivamente i manager che sono al vertice di Moderna hanno realizzato più di 2 miliardi di dollari vendendo sul mercato titoli della loro società.
Tutto merito del Covid-19. Moderna è infatti una delle poche aziende ad aver sviluppato un vaccino accettato a livello internazionale dalle autorità sanitarie. Dopo aver annunciato il 16 novembre 2020 la messa a punto di un prodotto con un’efficacia del 94,5 per cento, il titolo in borsa è passato da 19 dollari agli attuali 212 dollari, mentre il fatturato della società americana è schizzato dagli 800 milioni del 2020 ai circa 20 miliardi del 2021. Quasi tutti realizzati con l’antidoto, visto che Moderna è praticamente un’azienda monoprodotto.
Ancora di più ha incassato Pfizer, la seconda azienda farmaceutica del mondo: lo scorso anno ha ricavato dalle vendite del vaccino una cifra vicina ai 36 miliardi di dollari. Il suo numero uno, il veterinario greco Albert Bourla, ha uno stipendio di quasi 8 milioni di dollari e nel 2020 ha venduto titoli della sua società per un controvalore di 5,5 milioni di dollari e ha esercitato opzioni per 3,9 milioni. La tedesca Biontech, partner di Pfizer, prevede di realizzare con il vaccino anti-Covid un fatturato di 17 miliardi di euro nel 2022. Protagonista di performance stellari in Borsa, Biontech è guidata da Ugur Sahin che lo scorso anno ha guadagnato 686 mila euro.
A distanza seguono l’anglosvedese AstraZeneca e l’americana Johnson & Johnson con circa 3 miliardi di dollari a testa ottenuti dalla vendita dell’antidoto. Al vertice di AstraZeneca c’è Pascal Soriot con uno stipendio di oltre 6 milioni di euro mentre la Johnson & Johnson è diretta da Alex Gorsky, pagato 5 milioni di dollari.
Complessivamente lo scorso anno su questo pugno di aziende farmaceutiche si è riversato un fiume di oltre 60 miliardi di dollari di soldi pubblici, cui si aggiungono altri 8,3 di finanziamenti per la ricerca pagati dai governi degli Stati Uniti e dell’Europa. L’Italia dovrebbe spendere nel 2022 circa 1,85 miliardi per l’acquisto di vaccini e farmaci contro il Covid. Cifre enormi. Un piccolo gruppo di aziende farmaceutiche raccoglie così i frutti della più grande campagna di vaccinazione della storia: più di 9,52 miliardi di dosi sono state somministrate in 184 Paesi, secondo i dati raccolti da Bloomberg, a un ritmo di 37,2 milioni di dosi al giorno. Medicine pagate con denari che escono dalle tasche dei contribuenti di tutto il mondo, in particolare da quelli dei Paesi più ricchi, attraversano le centrali di acquisto messe in piedi dai vari governi, proseguono nelle casse delle case farmaceutiche, compensano lavoratori e ricercatori, ma una bella fetta viene intercettata da una sparuta pattuglia di manager.
Alla gratitudine per i successi ottenuti così rapidamente da Big Pharma nello sviluppo dei vaccini, si è unita la protesta. In particolare di alcune organizzazioni umanitarie, che accusano alcuni produttori di fare troppi profitti e di non consegnare dosi sufficienti ai Paesi più poveri né di cedere i brevetti. La confederazione di ong Oxfam sottolinea che Pfizer, Biontech e Moderna stanno realizzando utili di 65 mila dollari ogni minuto che passa. E questo grazie alla vendita di oltre il 90 per cento delle dosi al miglior offerente tra i Paesi ricchi e a rincari fino a 24 volte il costo stimato di produzione delle dosi: in altre parole, Stati Uniti ed Europa avrebbero pagato alle tre aziende 41 miliardi di dollari in più rispetto al costo di produzione. In agosto Pfizer ha rincarato il suo vaccino anti-Covid destinato all’Europa di più di un quarto, da 15,5 a 19,5 euro a dose. I Paesi a reddito medio pagano invece circa la metà di quel prezzo mentre quelli a reddito più basso solo il costo di produzione. Agli europei le singole dosi di Moderna costano 25,50 dollari (21,57 euro). Il prezzo degli antidoti di AstraZeneca e Johnson & Johnson invece è più basso.
Il 4 gennaio scorso un gruppo di investitori istituzionali ha chiesto alle aziende farmaceutiche di calcolare la paga dei loro dirigenti anche in base alle vendite dei vaccini in tutto il mondo. In una lettera resa nota dalla Reuters e inviata ai consigli di amministrazione di Pfizer, Johnson & Johnson, Moderna e AstraZeneca, gli investitori hanno chiesto alle quattro multinazionali di adottare una tabella di marcia per raggiungere un accesso equo al vaccino e legare quest’ultimo alla retribuzione dei dirigenti «in modo significativo, materiale, misurabile e trasparente».
Il gruppo di investitori ha invitato le case farmaceutiche a migliorare la partecipazione ai programmi internazionali sui vaccini e a concedere licenze di produzione in modo che i Paesi più poveri possano realizzare gli antidoti a livello locale. Anche sul fronte fiscale non mancano le accuse. Sulla base dei rendiconti trimestrali del 2021, la People’s Vaccine Alliance stima che Moderna abbia pagato in tasse su scala globale solo il 7 per cento degli utili. Pfizer invece avrebbe goduto di un’aliquota media del 15 per cento.
Ma a guadagnare con la pandemia non ci sono solo le imprese che producono i vaccini. Ci sono anche quelle che hanno sviluppato i test per il Covid e che con la variante Omicron hanno visto esplodere la domanda. Come la Abbott Laboratories di Chicago, guidata da Robert B. Ford (5 milioni di dollari di stipendio), uno dei maggiori produttori di test, che ha visto il suo giro d’affari crescere del 32 per cento su base annua. La Quidel, società californiana specializzata in test diagnostici rapidi, ha triplicato i suoi ricavi dal 2019 a oggi. La multinazionale Merck, con sede nel New Jersey, ha sviluppato invece una pillola anti-Covid che abbatte il rischio di mortalità: l’azienda, diretta da Robert M. Davis (oltre 8 milioni di dollari di pacchetto retributivo), prevede di realizzare nel 2022 con questo prodotto oltre 5 miliardi di dollari.
Tanti soldi possono far girare la testa a dirigenti diventati di colpo milionari. Nell’ultimo anno, i manager di una start-up di Pasadena, in California, hanno iniziato a volare verso destinazioni in tutto il mondo su un paio di jet Gulfstream appena registrati, uno dei quali decorato con finiture di lusso.
Due dirigenti della stessa azienda hanno anche comprato case multimilionarie non lontano dalla sede della start-up. E quando gli agenti immobiliari hanno chiesto la prova che potevano pagare quelle cifre, uno dei manager ha consegnato un estratto conto bancario che mostrava un deposito di 128 milioni di dollari sul conto della società versato dal governo britannico. Il beneficiario era la Innova Medical Group, una società costituita all’inizio della pandemia che è diventata un controverso fornitore globale di test per il coronavirus. Fondata da Charles Huang, un 57enne ex dirigente automobilistico cinese, Innova si è aggiudicata importanti commesse da vari Paesi. Ma poi nel giugno 2021 la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha comunicato di avere «preoccupazioni significative» che uno dei test realizzati da Innova potrebbe produrre risultati falsi.
Questo non ha impedito ai manager di intascare ricchissimi stipendi e di fare una vita da nababbi.
Nessuna illusione: Big Pharma non si ferma mai davanti a niente
L’obiettivo delle case farmaceutiche è fare profitti. E anche quando i loro prodotti sono dannosi, lo nascondono. Poi patteggiano…
di Mario Giordano
Il 2 luglio 2012, con una storica sentenza, la Glaxo fu condannata a pagare 3 miliardi di dollari per aver nascosto i dati su alcuni farmaci, fra cui un antidepressivo prescritto anche ai bambini. Sembra impossibile ma è successo davvero: hanno lasciato che 30 mila bambini prendessero una pillola pur sapendo che essa aveva effetti contrari a quelli dichiarati. Sapevano ma tacevano. Sapevano ma vendevano. Ora hanno patteggiato. Hanno pagato. Ma da allora mi domando: se davvero un’azienda farmaceutica può arrivare a manipolare i dati su un farmaco che viene somministrato ai bambini, di fronte a che cosa si fermerà?
Ho ricordato questa vicenda perché non può stupire che oggi Big Pharma non fermi la sua avidità neppure di fronte alla pandemia. Non può stupire perché non l’ha mai fatto. Non si sono mai fermati neppure di fronte a farmaci che provocavano sofferenze, dolori e morte. Non si sono fermati davanti al farmaco che faceva male ai bambini. Non si sono fermati di fronte all’antidiabetico Mediator che uccideva migliaia di persone. Non si sono fermati
di fronte all’antidolorifico OxyContin che faceva una strage (tra il 1999 e oggi oltre 400 mila morti negli Usa). E perché dunque dovrebbero fermarsi ora, mentre tutto il mondo trasforma i loro vaccini in divinità da adorare? Aggiustano un po’ il tiro, cambiano versione, modificano l’efficacia («Non copre dodici mesi? Allora riduciamo a nove. O a sei. O a cinque. Facciamo tre mesi e non se ne parli più»). Annunciano nuove versioni. E così continuano a incassare. I fatturati crescono, gli utili pure. I manager diventano tutti Paperon De’ Paperoni.
Ma del resto, come sorprendersi? Sono due anni che sentiamo ripetere che questi signori sono i salvatori del mondo, volete che loro non si facciano rimborsare per il disturbo? E qual è il disturbo per chi salva il mondo? Certo a tutti piacerebbe che i salvatori del mondo avessero la generosità di Jonas Salk, che scoprì il primo vaccino contro la poliomelite. Gli chiesero di chi fosse il brevetto e lui rispose: «Della gente, penso. Si può brevettare il sole?». E a tutti piacerebbe che i salvatori del mondo avessero la generosità di Albert Sabin, che scoprì il secondo vaccino contro la poliomelite. Gli chiesero di chi fosse il brevetto e lui rispose: «È il mio regalo per i bambini del mondo».
Di fronte a questi esempi fa un certo effetto vedere che oggi, in piena pandemia, gli scopritori dei vaccini non soltanto si tengono stretti i brevetti, anche a costo di rallentarne la produzione, ma si permettono pure di aumentare i prezzi di vendita mentre le campagne di vaccinazione sono in corso. Fa effetto. Ma lasciatemi dire che chi si stupisce di ciò è ipocrita. Perché non è da oggi che i colossi farmaceutici si comportano così. Anzi. Qualche tempo fa, per via di un semplice passaggio del marchio da un gruppo a un altro, lo stesso farmaco antitumorale, proprio lo stesso (l’Alkeran, per la cronaca), ha visto in poche ore aumentare il suo prezzo del 1.540 per cento.
Un antitumorale. Questo è la logica delle aziende farmaceutiche. Non può stupire. Ma perché abbiamo lasciato nelle loro mani l’intero sistema sanitario mondiale? Questo è il vero errore. Questo è il vero scandalo. Che delle aziende private mirino a fare profitti anche sulla salute delle persone può anche urtare la suscettibilità di qualcuno, ma è perfettamente lecito. È normale che una società quotata in Borsa pensi a far star bene i suoi bilanci più che a far star bene il prossimo. Non possiamo svegliarci una mattina e pretendere che Pfizer o AstraZeneca diventino benefattori dell’umanità. Non sono nati per quello. Il problema è che comandano loro. Comandano tutto. Comandano sui centri di ricerca (che è tutta in mano loro), comandano su tv e giornali (tramite la pubblicità), comandano persino sulle autorità che dovrebbero regolarli.
Il bilancio dell’Ema, l’agenzia europea per il farmaco,è all’85 per cento finanziato dalle aziende farmaceutiche. E quando il settimanale scientifico British Medical Journal ha rivelato che l’azienda texana Ventavia falsificava i dati della sperimentazione del vaccino Pfizer, è emersa chiaramente la timidezza della Food and Drug Administration americana nel fare i controlli.
Se prendete le liste di quelli che pudicamente vengono chiamati «trasferimenti di valore» trovate che a libro paga delle aziende farmaceutiche ci sono tutti: Asl, università, associazioni di malati. E i medici. Persino l’Istituto superiore di sanita tra il 2016 e il 2018 ha incassato 332.593 euro da una multinazionale del farmaco. Qualche tempo fa avevo trovato che l’infettivologo che aveva scritto le linee guida per la Campania sull’uso dei farmaci prendeva soldi dai produttori. Possibile? gli chiesi. E lui mi rispose: «Il sistema sta in piedi grazie alle sovvenzioni delle aziende farmaceutiche».
Proprio così. E allora come stupirsi se poi le aziende usano tutto ciò per guadagnare? Come mi spiegava un esperto che ha cercato (inutilmente) di lottare contro questo sistema è come se lasciassimo che a gestire il salvagente sulla spiaggia fosse una società privata che, per statuto e natura, lo vende al migliore offerente. Vi stupite poi se alza il prezzo quando c’è qualcuno che annega?
