Il pomodoro è davvero a peso d'oro
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Inchieste

Il pomodoro è davvero a peso d'oro

  • Perché sono esplosi i prezzi di frutta e verdura
  • La sanatoria in agricoltura è inutile: parola di migranti

Verdura e frutta sono quasi inavvicinabili, con aumenti che arrivano al 70%. Eppure i prezzi all'ingrosso sono scesi di molto... Perché allora la spesa è sempre più cara? Certo, incidono le misure di sicurezza anti-Covid per produzione e trasporto, ma il sospetto è che in gran parte sia semplice speculazione. Senza controlli a frenare le anomalie.


Avreste mai pensato di pagare i pomodori, a luglio, 7,90 euro al chilo? La signora Letizia, pensionata abituata a convertire ancora gli euro in lire, è rimasta a lungo perplessa davanti allo scaffale di un supermercato milanese prima di decidere se acquistarli. Finché ha desistito: 15.300 lire per un chilo di pomodori di stagione le sono sembrati veramente un furto. E meno male che la signora Letizia non sapeva che quello stesso giorno il sito web dell'Ismea, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo, fissava il prezzo all'origine proprio di quegli stessi pomodori in 0,50 centesimi al chilo.

Quello dei pomodori milanesi però non è un caso isolato. Le ciliegie ormai arrivano a costare 15 euro al chilo, più del triplo del prezzo all'origine, 4 euro. Stesso discorso per le albicocche (4,25 euro al chilo nei supermercati e 1,10 euro al produttore). Persino la cipolla di Tropea Igp schizza dai due euro in campagna ai 3,48 al cliente. In tutta Italia il carrello della spesa, quando ci si avvicina alle casse, inizia a scottare. Gli aumenti di frutta e verdura, e non solo, sono all'ordine del giorno. Lo certificano anche l'Istat e l'Osservatorio prezzi del ministero dello Sviluppo economico.

I dati ufficiali denunciano un incremento dei prezzi dei prodotti alimentari abnorme: +7,9% per la frutta, +5,3% per la verdura, +3,5% per il latte e +2,7% per la carne. Aumenti che secondo l'Unione nazionale consumatori si traducono, per una famiglia, in un esborso annuo di 212 euro. Panorama ha però potuto verificare sui mercati di Milano e Roma che gli incrementi di prezzo in realtà sono assai superiori, anche per la frutta e verdura di stagione, quella cioè che dovrebbe costare meno.

Sui siti per gli addetti al settore si registrano spesso picchi del +15% da una settimana all'altra. Il paradosso è che i prezzi di frutta e ortaggi, all'origine, salvo rari casi sono crollati. A fronte di un aumento della produzione di frutta, calano i prezzi all'ingrosso. Un'analisi di Unioncamere e Borsa merci telematiche addirittura fotografa, un -21% del costo dei meloni alla produzione, un -10% per le albicocche e un – 33% per le angurie.

Ma allora perché fare la spesa costa sempre di più? Qualcuno sta speculando? Proprio quando Banca d'Italia certifica che, a causa dell'emergenza Covid, il 50% delle famiglie italiane è in crisi e l'Istat rileva che in tre mesi sono stati bruciati 500.000 posti di lavoro. Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti non ha dubbi: «Le storture del sistema ci sono sempre state, ma in questo periodo sono aumentate. Di sicuro di questi aumenti non beneficiano i coltivatori. Gli ortaggi per noi hanno quotazioni che stanno mandando nella disperazione la categoria, a fronte dell'aumento dei prezzi al dettaglio assistiamo al crollo delle vendite dei nostri prodotti».

Perché la legge di mercato è chiara e semplice: se aumenta il prezzo di un bene, cala la sua domanda. «Il latte in stalla ci viene pagato ormai 35 centesimi al litro. Eppure al consumatore arriva con un aumento del 3,1%. Queste situazioni» denuncia Bazzana «porteranno alla chiusura di molte aziende. C'è bisogno di un maggiore controllo da parte dello Stato, anche per scongiurare l'intervento di mafie e criminalità».

A pesare sul bilancio degli agricoltori anche il settore Horeca, cioè gli hotel, i ristoranti e i catering, chiusi per tre mesi e ancora in difficoltà. La stima della perdita economica per il settore è di 34 miliardi di euro. Per Coldiretti significa una perdita di richiesta del 35% dei consumi alimentari del Paese. In pratica più di un terzo della loro produzione, il cui valore è precipitato. Gli agricoltori, come i consumatori, risultano quindi essere l'anello debole della filiera agroalimentare.

Allora dove si nascondono le cause degli aumenti? Italmercati è la rete delle imprese dell'ingrosso che rappresenta 16 mercati da Udine a Catania, con un volume di affari di 8,3 miliardi. Da loro passano ogni anno 5 milioni di tonnellate di prodotti ortofrutticoli. Il suo presidente, Fabio Massimo Pallottini, a proposito di aumenti di prezzi parla di «ricostruzioni fantasiose», di «voci allarmistiche che hanno l'effetto di raffreddare i consumi proprio ora che c'è bisogno di rilanciarli» e osserva che «i prezzi vanno confrontati sul lungo periodo». Poi, certo, i mercati hanno dovuto sostenere costi nuovi e imprevisti per mettere in sicurezza chi lavora in un settore a rischio (dai mercati si dice sia partito il virus cinese e nei mercati si sono sviluppati recentemente nuovi focolai): «Misurazione della temperatura, mascherine, guanti, distanziamenti e da ora anche i test; sono tutte cose che costano».

Il rapporto annuale sull'andamento dei prezzi all'ingrosso realizzato dalla Borsa merci spiega: «Si è osservato un progressivo aumento delle quotazioni delle mele, in parte dovuto a un incremento dei costi di lavorazione e trasporto determinati dalle misure di sicurezza anti Covid». Il Covid avrebbe influito quindi solo in parte sui prezzi. Lo stesso studio rivela che, nel periodo del lockdown, proprio la mela ha fatto registrare un aumento del prezzo del 18% rispetto all'anno precedente, le arance addirittura del 77,8% e le zucchine del 25,5%. La melanzana, ortaggio di stagione, è aumentata del 50% e «questo incremento è probabilmente determinato sia da un aumento della domanda sia da un aumento dei costi di raccolta, condizionamento e trasporto, dovuti alle difficoltà operative determinate dal virus».

Il costo del trasporto su camion è una delle cause che vengono più spesso indicate per giustificare l'aumento dei prezzi. Con la chiusura delle attività e la difficile riapertura di tante aziende, i rimorchi dei camion viaggiano spesso a vuoto: capita infatti che, una volta consegnato un carico non ce ne sia un altro da trasportare nell'itinerario di ritorno, che diventa quindi puro costo. Ma ancora non basta a giustificare aumenti fino al 70% dei prodotti. Le accuse di speculazione vengono respinte anche dai supermercati. Da Federdistribuzione fanno sapere che loro sono solo l'ultimo anello della filiera e che sui supermercati si cumulano gli effetti delle tensioni del sistema produttivo. La speculazione semmai «va cercata negli anelli intermedi della filiera». Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzione, rivela che «abbiamo avuto un incremento dei costi dal 2 al 4%, non solo per le misure di prevenzione del contagio, ma anche per riorganizzare il confezionamento, stante la maggiore richiesta di prodotti già confezionati e prezzati».

Nei supermercati quindi adeguarsi alle normative anti-Covid è costato assai meno di quanto siano aumentati i prezzi della merce. Per l'avvocato Marco Festelli, vice presidente nazionale di Confconsumatori: «Se è comprensibile che alcune attività cerchino di recuperare i costi oggettivi delle spese per la sicurezza sanitaria, come l'acquisto dei dispositivi di protezione, gel igienizzanti o guanti, non si può non rilevare come proprio i supermercati abbiamo avuto un notevole incremento di fatturato nei mesi del lockdown. Certo, i prezzi non si possono imporre per legge, ma servono norme di controllo più stringenti e una maggiore informazione per il consumatore».

Gli fa eco Marco Bulfon, esperto di prezzi di Altroconsumo: «Assistiamo da marzo all'aumento di prezzi, è evidente che qualcuno sta facendo la cresta. Occorre che il governo o l'Antitrust verifichi certe pratiche commerciali perché non c'è dubbio che ci sia un problema nella filiera dell'agroalimentare e che questi prezzi siano anomali». Maggiore trasparenza e provvedimenti ad hoc sono ormai urgenti.

Perché questa corsa al rialzo dei prodotti italiani, oltre a danneggiare le famiglie, ha già prodotto un importante aumento dell'importazione di ortofrutta dall'estero: l'Istat ha appena certificato un +6,8% in volume e un +11% in valore rispetto ai primi quattro mesi del 2019. L'Italia nel 2020 ha già importato quasi un milione e mezzo di tonnellate di frutta e verdura straniera, anche e soprattutto da Paesi extra Ue. Mentre le primizie del nostro territorio, sempre più care, restano sugli scaffali.

La sanatoria in agricoltura è inutile: parola di migranti

Sylla Cheikh, bracciante senegalese che vive nel Gran Ghetto del Foggiano dal 2006.

«Il ministro Teresa Bellanova non deve piangere nel suo grande studio di Roma, ma con noi, nelle campagne dove ogni giorno siamo sfruttati da padroni e caporali». Amani è un ragazzo di 28 anni originario del Gambia e da cinque fa il bracciante nelle campagne del Foggiano. È irregolare e lavora grazie al «capo», il caporale. Lo incontriamo con altri migranti a Foggia, davanti alla sede della Coldiretti, dove stanno protestando.

Sono oltre un centinaio, arrivati da quasi tutti gli insediamenti abusivi della zona: gridano slogan contro il governo, contro la sanatoria. «Chiediamo regole più chiare» dice Amani. «Questa sanatoria non serve a nulla. Il vostro governo fa le leggi senza capire però i nostri problemi». Il decreto Rilancio, dove è inserito il provvedimento per la regolarizzazione per gli irregolari, prevede la sanatoria per i clandestini, quelli sprovvisti di un titolo di soggiorno e per coloro che hanno un permesso ormai scaduto e non rinnovato.

I clandestini - che hanno già un lavoro o che hanno trovato qualcuno disposto ad assumerli - possono avere un nuovo contratto o dichiarare, attraverso il datore di lavoro, l'esistenza di un contratto in corso. Lo straniero, però, deve essere giunto in Italia prima dell'8 marzo, con l'inizio dell'emergenza coronavirus, e non deve essersi allontanato dal Paese per tutto questo periodo. Possono chiedere la sanatoria anche quei migranti che si trovano in Italia con un permesso scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in altra autorizzazione. Questi possono fare la domanda di permesso di lavoro temporaneo per sei mesi e, se in questo tempo trovano un lavoro stabile, possono convertire l'autorizzazione temporanea in una per motivi di lavoro subordinato.

«Fatta la legge, trovato l'inganno» dice l'adagio. Ma il decreto per l'emersione del lavoro nero è nato già con troppi inganni. E a dirlo sono proprio loro: i migranti, i destinatari di questa legge. È sufficiente verificare i dati - su 600.000 irregolari meno di 100.000 avrebbero avviato le pratiche richieste dalla sanatoria - per capire che il provvedimento voluto fortissimamente dal ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova si è rivelato, almeno sino a oggi, un flop.

«Protestiamo contro la sanatoria del governo perché invece di aiutarci favorisce il caporalato». Sylla Cheikh è un migrante senegalese di 62 anni che, dal 2006, vive in un container messo a disposizione della Regione Puglia nel Gran Ghetto, l'insediamento - uno dei tanti - nelle campagne tra Rignano Garganico e San Severo.

In Capitanata sta cominciando la raccolta del pomodoro. Qui si produce il 30-40% del frutto italiano. Sono oltre 3.000 i produttori su una superfice di circa 17.000 ettari per un volume di due milioni di tonnellate di ortaggi. In tutta Italia si producono 5 milioni e mezzo di tonnellate di pomodoro. Ma se la Capitanata è il territorio dell'«oro rosso», è anche dove si concentra di più il caporalato.

Nel Foggiano si contano molti più ghetti rispetto ad altre province italiane. C'è quello di Borgo Mezzanone - nell'ex pista di un aeroporto militare a una decina di chilometri dal capoluogo, proprio accanto al dismesso Cara, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo - che tra giugno e settembre diventa il rifugio di quasi 2.000 braccianti stranieri. I ghetti sono il «centro per l'impiego» dei caporali che, qui, trovano braccia da sfruttare in agricoltura.

Un fenomeno, quello del caporalato, tornato tragicamente alla ribalta delle cronache nazionali nell'agosto 2018, quando sulle strade del Foggiano morirono, in due incidenti stradali, 16 braccianti nordafricani, vittime dello sfruttamento del lavoro. Nonostante lo sforzo delle forze dell'ordine, della procura e della prefettura di Foggia, il fenomeno non sembra attenuarsi.

A luglio i carabinieri hanno arrestato e messo ai domiciliari - e scarcerato pochi giorni fa - uno dei più importanti imprenditori agricoli della zona, Settimio Passalacqua, 78 anni, con l'accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L'imprenditore, con l'aiuto di un suo collaboratore - il caporale - avrebbe utilizzato nelle sue cinque aziende agricole 222 lavoratori: quasi tutti, dicono gli investigatori, reclutati dai ghetti presenti in provincia, ma anche comunitari e italiani, impiegati in condizioni di assoluto sfruttamento approfittando dello stato di bisogno dei braccianti, in dispregio delle più basilari norme di sicurezza e salute suoi luoghi di lavoro.

Una situazione che avrebbe dovuto trovare soluzione con la sanatoria del ministro Bellanova. «Invece questa legge ci danneggia» continua Sylla Cheikh. «Per ogni assunzione i lavoratori devono pagare 500 euro. Invece accade che i padroni chiedono a noi di pagare 1.000-1.500 euro per essere assunti». E lui non è l'unico irregolare a cui sarebbero stati chiesti soldi per diventare un «regolare». Anche Amani avrebbe avuto la stessa richiesta. «Se volevo essere assunto» precisa il giovane gambiano «dovevo pagare io i 500 euro e tutte le altre spese necessarie per la regolarizzazione. Anche se, mi hanno fatto capire, non erano sicuri che la pratica sarebbe andata a buon fine».

Critiche alla sanatoria sono state espresse pure da Elisabetta Melandri, presidente del Cies che si occupa di integrazione dei migranti e fa parte del Grei, il Gruppo di riflessione sulla regolarizzazione composto da 250 persone tra avvocati, studiosi, medici e attivisti: tutte esperte di immigrazione che avevano proposto diversi emendamenti per migliorare il decreto.

«Il percorso di regolarizzazione» spiega Melandri «è rimasto prevalentemente nelle mani dei datori di lavoro, che oltre al costo da sostenere dovranno assumersi la responsabilità dell'emersione; con il risultato che nella gran parte dei casi è al lavoratore che viene richiesto di pagare i 500 euro, lasciando spazio a speculatori di improvvisarsi imprenditori e lucrando sull'aspirazione di molti migranti a regolarizzarsi. Il problema è che si danno false illusioni per richieste prive dei requisiti d'accesso alla sanatoria».

Va poi detto che - essendo la sanatoria valida solo per alcune categorie di lavoratori quali braccianti agricoli, colf e badanti - non è escluso che qualche irregolare, non compreso dalle tipologie previste dal decreto, si licenzi dal suo impiego per cercare di avere un finto contratto in agricoltura o come badante per ottenere la regolarizzazione. Alcune denunce già stanno registrando questa «scorciatoia».

È comunque una normativa che piace poco anche ai sindacati. «Stiamo perdendo un'opportunità per far emergere dall'illegalità gli irregolari» commenta Mohammed Elmajdi, presidente dell'Anolf Puglia, l'Associazione nazionale oltre le frontiere. «La legge è poco chiara e ha creato confusione anche tra gli esperti d'immigrazione».

Un esempio di incongruenza: il decreto, per Elmajdi, stabilisce che può regolarizzare il proprio personale l'azienda con un reddito di 30.000 euro. Nel Foggiano ci sono aziende agricole con un volume di affari altissimo anche se hanno un reddito netto inferiore ai 30.000 euro. «Così» aggiunge l'esponente dell'Anolf «sono pochissime le ditte che possono assumere. Inoltre alcuni datori di lavoro non vogliono sentir parlare di regolarizzazione per timore di subire controlli e ispezioni. Avevamo anche chiesto di allargare i requisiti per accedere attraverso il permesso di soggiorno, ma non siamo stati ascoltati. Non ci possiamo meravigliare, allora, se le richieste di regolarizzazione sono molto, molto poche».

Luca Pernice

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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